venerdì 5 dicembre 2014
Tenere d'occhio il petrolio
Questa situazione mi ossessiona un poco. Ancora non ho capito chi ha innescato la guerra del prezzo del greggio. Quando mi convinco che non possono che essere stati i poteri forti ed occulti degli Usa per punire la Russia, un altro articolo mi insinua notevoli dubbi. A quanto pare gli Usa ed il mondo possono rischiare una nuova crisi come quella del 2007-2008 dei subprime legati ai mutui. Se a provocare questa guerra del petrolio è stata la macchina bellico-industriale-finaziaria Usa, si tratterebbe di un'altro caso di autolesionismo finaziario largamente sottovalutato.
"Déjà vu. Nel 2007 fu l'immobiliare. Ora sarà il petrolio a scatenare crisi finanziaria mondiale?
Il collasso del petrolio potrebbe innescare una nuova crisi finanziaria? Secondo Nick Cunningham di OilPrice.com, l'interrogativo è quanto mai attuale. D'altronde, come afferma lo strategist Marc Chandler, il settore energetico sta soffrendo il suo Minsky's moment ("momento di Minsky") e dunque, le ripercussioni a suo avviso ci saranno, anche se a essere colpito non sarà il mercato azionario, ma quello dei bond high yield, caratterizzati da rendimenti elevati (e dunque strumenti finanziari più rischiosi).
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Hyman Minsky è un economista le cui teorie, sei anni fa, vennero utilizzate per spiegare il tonfo dei prezzi sul mercato immobiliare
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"In molti due anni fa, ma anche un anno fa, dicevano che i prezzi del petrolio avrebbero potuto solo salire. 'Siamo al picco', dicevano, facendo riferimento anche alla conseguente possibile scarsità della materia prima. Così come era successo con i prezzi delle case: 'Possono solo salire', avevano detto. Dunque, vista la profonda convinzione, si iniziò a ricorrere al debito (scommettendo sulla garanzia rappresentata dal petrolio)".
Il risultato è che il settore energetico Usa si è indebitato per $90 miliardi nel mercato delle obbligazioni a elevati rendimenti nel corso degli ultimi tre anni, fa notare Chandler, rendendo i produttori energetici "una grande componente del mercato high-yield".
Il problema è che "molti prestiti, così come era accaduto con le case, non sono stati erogati tenendo tanto in considerazione la capacità del debitore di rimborsare la somma (il noto merito creditizio). Così come le banche e gli investitori non hanno acquistato i bond high yield (emessi dai gruppi energetici) fidandosi della capacità del debitore di ripagare il dovuto". L'erogazione è avvenuta tenendo conto solo del "valore del petrolio", così come era accaduto in precedenza quando i prestiti erano stati erogati sulla base del "valore dell'immobile".
E ora le conseguenze saranno da effetto domino. Chandler parla del fatto che per le aziende che si sono indebitate, il tallone d'Achille è rappresentato dal fatto che nessuna di esse riceverà più i cosiddetti "prestiti facili". Sempre se le aziende stesse riusciranno a rimborsare quanto dovuto. Perchè altrimenti, sicuramente non avranno un futuro.
Stesso discorso di Nick Cunningham, che ricorda come il boom petrolifero e di gas naturale, negli Stati Uniti, sia "stato reso possibile grazie ai notevoli crediti che sono stati concessi alle società di trivellazione".
E "i finanziamenti non sono arrivati solo dagli azionisti e dalle banche tradizionali, visto che centinaia di miliardi di dollari" si sono riversati sul mercato dei "junk bond". Molte società di trivellazione hanno deciso di emettere obbligazioni junk, quindi spazzatura, nella speranza di vedere i bond sottoscritti da investitori con alta propensione al rischio e alla ricerca di elevati rendimenti. E questi investitori hanno risposto, finanziando anche le operazioni di "fracking" per l'estrazione del gas di scisto.
Tutti hanno continuato a scommettere sul rialzo infinito dei prezzi del petrolio. Scommesse nuovamente rischiose, troppo rischiose, come mostra ora il mercato dei junk bond nel settore energetico, che ha raggiunto la cifra astronomica di $210 miliardi, il 16% circa dell'intero valore del mercato delle obbligazioni spazzatura, che secondo i calcoli è di $1,3 trilioni ($1.300 miliardi). Una percentuale notevole, se si considera che il debito energetico junk era appena del 4% dieci anni fa". E ora?
"Se i prezzi del petrolio rimarranno a $65 per tre anni, il 40% di tutti i junk bond emessi dalle società energetiche potrebbero fare default, stando a una stima recente di JP Morgan) . Nel frattempo, le società energetiche - non essendo riuscite a onorare i debiti - inizierebbero a incontrare diversi ostacoli nell'accesso al credito. La conseguenza sarebbe una serie di chiusure e fallimenti.
Lo scenario di JP Morgan è contemplato nel lungo termine ed è incerto. Detto questo, il Financial Times riporta che un terzo di obbligazioni emesse dalle società energetiche è in condizioni "distressed", quindi in pericolo di non essere rimborsate.
La domanda dunque è d'obbligo: i problemi dell'industria petrolifera potrebbero innescare una crisi finanziaria? Non dimentichiamo che ci sono diverse banche e istituzioni finanziarie che potrebbero avere ancora una esposizione eccessiva verso il debito emesso dal settore energetico. E lo stesso Andcrew Critchlow, in un articolo pubblicato giorni fa sul Telegraph, ha scritto: "In base a recenti stress test effettuati su società subprime del settore energetico degli Stati Uniti da Deutsche Bank, se il prezzo del petrolio WTI dovesse scendere a $60, ci potrebbe essere un rischio di default fino a 30% per i titoli obbligazionari Usa con rating B e CCC emessi dai gruppi energetici". Oleg Melentyev e Daniel Sorid, analisi di Deutsche Bank, hanno scritto. "Uno shock di tale portata potrebbe essere sufficiente a scatenare un ciclo di default molto più ampio nel mercato high-yield".
E d'altronde lo stesso GEAB ha avvertito, considerando anche il tonfo dei petrodollari: "Tutti questi fattori stanno convergendo verso uno shock dei mercati petroliferi nei prossimi due anni. I tempi saranno duri per le società energetiche. Dal momento che queste rappresentano una quota significativa della capitalizzazione del mercato azionario globale, l'effetto domino sugli indici azionari e sull'economia non si farà attendere. I mercati finanziari potrebbero essere colpiti da un enorme shock nel 2015, che questa volta non sarà da addebitare alle banche, ma all'industria petrolifera".
(www.wallstreetitalia.com)
Però poi tutti se la prendono con i più deboli, con quelli su cui è più facile buttare merda...
«Aumento del debito e crescita debole»: S&P taglia il rating italiano a BBB-, a un passo dal livello «spazzatura»
"La decisione, spiega S&P in un comunicato, «riflette la debolezza ricorrente che vediamo nella performance del Pil reale e nominale dell'Italia, inclusa l'erosione della competitività, che sta minando la sostenibilità del suo debito pubblico». «Un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e bassa competitività, non è compatibile con un rating BBB, secondo i nostri criteri» "
E mentre le società di rating puntano il dito e lo sguardo arcigno su un paese distrutto dalla perdita di sovranità, alle loro spalle una montagna di dinamite sta per deflagrare a loro insaputa. Come al solito.
giovedì 4 dicembre 2014
Forse in arrivo una piccola ripresa
Contr'ordine compagni pessimisti e anti euro. Potrebbe esserci all'orizzonte una piccola ripresa. Piccola perchè condizionata dai fattori negativi tutti italiani consistenti in elevata tassazione, burocrazia folle e mercato ancora troppo chiuso dal pesante corporativismo italico ereditato dal fascismo e mai rinnegato. E non solo come si vedrà più avanti.
Ma ci sono due fattori esogeni che potrebbero dare una spinta sia sull'export che nel mercato interno. Bisognerà capire solo quanto durerà la pacchia: il primo fattore che ci avvantaggia è il basso prezzo del petrolio, il secondo è la costante svalutazione dell'euro.
Pare che il petrolio rimarrà a lungo sotto gli 80 dollari al barile.
"I prezzi del petrolio si stabilizzeranno attorno ai $60 al barile. E' quanto ritiene il principale produttore di petrolio dell'Opec, l'Arabia Saudita, stando al alcune fonti sentite dal Wall Street Journal. La posizione presa da Riyad sembra confermare l'inerzia del paese, che apparentemente non ha alcuna intenzione di tagliare la produzione nel breve termine"
(www.wallstreetitalia.com)
Questo è un vantaggio per noi fin tanto che gli svantaggi provocati in altri paesi non toccheranno anche la nostra economia. Per esempio:
"Il rischio che il Venezuela faccia default balza al massimo dal gennaio del 2009.
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Il prezzo attuale del Cds suggerisce che esiste una probabilità di default attorno all'85%; questo, dopo che il valore dei bond venezuelani con scadenza nel 2027 sono scesi al minimo in cinque anni, smobilizzati in gran massa dagli speculatori, che ritengono che il paese abbia poche chance di salvarsi, vista la decisione dell'Opec di mantenere invariata la produzione di petrolio."
(www.wallstreetitalia.com)
Probabilmente non risentiremmo molto del default del Venezuela. Ma sarà lo stesso nel caso di un dissesto russo e svalutazione eccessiva del rublo? L'economia del gigante russo rimane importante per il made in Italy.
Ugualmente, un'eventuale fallimento a catena delle compagnie Usa dello shale oil, potrebbe trascinare nel vortice molte banche americane. Se si verificasse una nuova crisi in stile Lemann Brothers potremmo essere nuovamente coinvolti e trascinati nella crisi Usa con ripercussioni ancora più pesanti oggi che siamo così deboli.
"Petrolio 65$…Prime Conseguenze anche in USA, Crollano le Richieste di Permessi per Trivellare lo Shale Oil
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Ora come è noto i giacimenti di Shale-Oil hanno un calo di rendimento rapidissimo e vanno rimpiazzati nel giro di 12-18 mesi e dunque vanno richiesti sempre nuovi permessi per trivellare.
Poi c’è una banale mancanza di “coperture” per avere altro credito, a questi prezzi le compagnie attive nello shale oil sono improvvisamente sono diventate radioattive per le banche."
(www.rischiocalcolato.it)
Quindi la caduta del prezzo del petrolio è un vantaggio per il nostro paese, ma provoca dissesti in altre aree del mondo, che potrebbero ritorcersi negativamente anche sulla nostra economia.
Per quanto riguarda la svalutazione dell'euro siamo totalmente nelle mani della Bce e delle promesse di quantitative easing di Draghi. Che però in ultima analisi significa essere nelle mani della Bundesbank. Per cui la svalutazione proseguirà fino a che lo vorrà la Germania. Quando i tedeschi cominceranno a spaventarsi per la perdita di valore della moneta, si bloccherà la discesa. Per noi italiani occorrerebbe almeno raggiungere la parità con il dollaro. Non so se la Germania consentirà di raggiungere questo obiettivo.
Ed infatti oggi, dopo aver toccato un cambio euro/dollaro di 1,23, la delusione per le parole di Draghi che ha rimandato il Q.E. a data da destinarsi, ha fatto tornare il cambio verso 1,25. La discesa dell'euro c'è stata comunque in questi mesi, da quando era stazionario ad 1,40 sul dollaro. Ma scende molto lentamente e probabilmente a malapena raggiungera 1,20 sul dollaro
Ad ogni modo per un certo periodo il nostro paese si troverà avvantaggiato per un cambio più favorevole dell'euro e per la riduzione dei costi energetici. Una piccola crescita che ci potrebbe portare fuori dalla recessione provocata dall'austerità é quindi possibile. Non bisogna però aspettarsi chissà che cosa.
Dal punto di vista geopolitico gli Usa stanno di nuovo vincendo. Il dollaro torna forte e quindi moneta privilegiata per gli scambi internazionali. Di sicuro la Russia non potrà pretendere che gli si paghi il gas in una moneta svalutata come il rublo. Non ne avrebbe nemmeno la convenienza.
La dipendenza energetica dell'Europa dalla Russia permane. Ma i rapporti si riequilibrano dalla parte occidentale. La Russia ora ha un bisogno vitale di valuta forte e non può permettersi di chiudere i rubinetti del gas. Se lo fa, può ritrovarsi in forti difficoltà interne.
Quindi anche in questo caso l'Italia ne sta traendo un vantaggio economico-strategico.
Permangono comunque le zavorre interne di cui sopra (tasse, burocrazia, corruzione...), e probabilmente anche qualche zavorra istituzionale. Avere riforme costituzionali in corso, legge elettorale indefinita, e capo dello Stato con le valige pronte, sicuramente non ci mette in una situazione favorevole. Ad ogni modo potrebbe arrivare una boccata d'ossigeno all'economia, malgrado i ritiradi della politica.
Poi accanto al vantaggio della riduzione dei costi energetici, c'è un nemico subdolo, poco evidente, interno ed esterno: la deflazione che deriva dall'austerità europea e che ora verrà rinforzata dal calo del costo del petrolio. E' un piccolo tarlo che erode l'economia, anche se a prima vista pare meglio dell'inflazione. In realtà provoca un rallentamento della "velocità" del denaro. Si rimandano gli acquisti considerando che si avrà un maggior vantaggio a posticiparli quando i prezzi saranno più bassi.
Questo è molto evidente se si osserva il prezzo calante degli immobili: perché acquistare oggi? Aspettiamo che il valore si schianti per benino con l'arrivo della riforma catastale...
Già ora gli italiani stanno mettendo in crisi le catene dei supermercati: invece di acquistare i prodotti a prezzo pieno aspettano le offerte. Gli acquirenti sanno che prima o poi il supermercato farà una campagna sui prodotti che vorrebbero acquistare. Quindi attendono.
Questo comportamento ha pero un risvolto molto negativo. I venditori sono costretti a inseguire le aspettative dei clienti, quindi riducono sempre più i prezzi e per non andare in perdita riducono i costi. Tra cui anche i costi del lavoro, abbassando gli stipendi e licenziando. Fenomeno che alimenta ancora maggiormente l'adamento deflattivo dell'economia.
Quindi se ripresa in futuro ci sarà, sarà seriamente minata e limitata da molti fattori negativi.
Petrodollari forti e vincenti
Oggi sta avvenendo qualcosa di simile ma al contrario. Un piccolo incremento di produzione combinato ad una diminuzione di consumo, sta schiantando il prezzo del greggio. E come negli anni settanta sta facendo molto male ad alcuni e avvantaggia altri. Questa volta a rimetterci sono i paesi produttori.
Se questa è una guerra del petrolio scatenata dagli Usa, bisogna ammettere che stanno vincendo:
"Rublo ai nuovi minimi storici sui mercati, sempre zavorrato dalle conseguenze delle sanzioni del mondo Occidentale per la crisi ucraina e, soprattutto, per il crollo dei prezzi petroliferi (dai cui la Russia trae le maggiori risorse in entrata).
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La divisa russa da inizio anno si è svalutata di oltre il 40% rispetto alla moneta europea e di oltre il 60% nei confronti del biglietto verde. Dopo la decisione dell'Opec di confermare le quote produttive del greggio (giovedì scorso) c’è stata un’accelerazione al ribasso del rublo."
(www.ilsole24ore.com)
I russi sono sicuramente una vittima predestinata, avendo minacciato l'egemonia del dollaro americano, in combutta con la Cina. Naturalmente ci sono vittime collaterali in questa guerra energetica contro la Russia. Che visti i trascorsi storici forse non sono poi veramente così collaterali.
"Tra i Paesi esportatori di petrolio quello che rischia di più, in tema di sostenibilità delle spese governative e del debito pubblico, è l'Iran. Il punto di pareggio di bilancio è fissato infatti con un petrolio a 140 dollari al barile
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l'economia venezuelana rischia il default. Il break even tra spese ed entrate governative in relazione alle esportazioni di petrolio è fissato su un prezzo di 120 dollari al barile, circa il doppio dei valori attuali."
(www.ilsole24ore.com)
Naturalmente a rimetterci sono anche le societá americane dello shale oil. Ma sarà così in una delle economie più finanziarizzate e più sostenute dalla banca centrale?
"... i prezzi bassi possono inibire in maniera sensibile nuovi investimenti negli Stati Uniti. Sospendendo nuove perforazioni negli Stati Uniti, la produzione potrebbe cadere rapidamente. E le perforazioni in oceano aperto che sono state anche importanti per sostenere la produzione negli Stati Uniti e in tutto il mondo, sono diventate ancora più difficili oggi con i prezzi bassi."
(icebergfinanza.finanza.com)
Probabilmente alcune piccole società operanti nel settore del petrolio di scisto falliranno. Ma anche se fallisse tutto il settore e le banche coinvolte, ci sarebbe sempre la Fed alle spalle pronta a coprire le perdite con un nuovo quantitative eading.
Qual'è la morale di tutto ciò? E' che non basta avere giacimenti petroliferi per essere al riparo dalle crisi. Evidentemente è necessaria una buona amministrazione di queste ricchezze, un ambiente sano adatto all'impresa e con poca corruzione. E qui qualche dubbio sul Venezuela ce l'avrei.
Ma anche questo non basta. Bisogna far parte del club giusto. Per esempio l'Opec. Ma ancora non basta , perchè sia Iran che Venezuela ne sono soci.
Bisogna poi anche fare parte dell'alleanza strategica giusta. Per esempio a fianco degli Usa. Ed in effetti, nè Iran, nè Venezuela e neppure la Russia sono in buoni rapporti con gli Usa. E probabilmente quest'ultima situazione è la chiave per capire la guerra sul prezzo del petrolio. Viste così le cose, appaiono molto semplici. Si potrebbe dire che con una fava gli Usa acchiappano tre grossi piccioni: Russia, Iran e Venezuela.
Pagandone un prezzo ovviamente. Il probabile collasso dell'industria estrattiva domestica. Ma forse un rischio calcolato ed accettabile. Mentre il rischio per l'alleato saudita è al momento ancora basso. Il petrodollaro ha di nuovo vinto e sta scacciando i rivali euroasiatici, un petrodollaro con cui si acquista quasi il doppio di petrolio rispetto ad un anno fa.
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