Il governo è ottimista. In realtà deve esserlo, se le sue stime non lo fossero addio al deficit sotto il 3%, si dovrebbero trovare nuove imposte per le coperture, dopo la faticaccia per aumentare l'Iva di un punto e per inventarsi la triste Trise che secondo il governo implica una riduzione d'imposte di 1 miliardo, mentre per la Cgia di Mestre invece un aumento di 1 miliardo. Ma il governo non può permettersi pessimismi, ne verso l'elettorato, e nemmeno verso l'Europa. Deve tenere la baracca in piedi a tutti i costi. Tutti buoni e tranquilli in attesa degli eventi.
E molti segnali indicano che si teme il peggio, o addirittura che lo si sta ricercando. Anche perché quella che potrebbe essere per molti (governo compreso) una disfatta, potrebbe invece essere una liberazione per altri (me compreso). Sto parlando dell'uscita dall'euro, che ogni giorno si avvicina sempre più.
Per esempio il report di Mediobanca parla velatamente di uscita dall'euro, e questa è una banca che ha sempre avuto le antenne sintonizzate sugli umori della finanza che conta.
La sparata dell'Fmi sul prelievo del 10% sui conti correnti, di cui ormai ci siamo dimenticati, in realtà potrebbe essere l'ultima pallottola d'argento in mano agli eurofanatici, che non sono disposti ad ammettere l'enorme errore dell'euro. Anche i sostenitori dell'euro vedono avvicinarsi pericolosamente il momento fatidico e vorrebbero, se non evitarlo almeno ritardarlo.
Al riguardo mi ha fatto riflettere la seguente notizia:
"La situazione delle piccole banche italiane non è particolarmente florida: lo dimostra il recente commissariamento di Banca Marche che fa salire a 12 il numero di banche sottoposte ad amministrazione straordinaria da inizio 2013.
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i correntisti e depositanti godono della tutela dal Fondo Interbancario Tutela Depositi.
Ciascun depositante infatti ha diritto ad un indennizzo per un importo massimo di 100 mila euro rispetto al capitale depositato;
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In Europa si sta lavorando a una proposta didirettiva comunitaria (che dovrebbe giungere nel 2014) il cui obiettivo è quello di rinvigorire la tutela offerta dal FITD.
In primo luogo si vuole modificare il criterio di alimentazione del fondo: le banche non devono essere chiamate a rimpinguare il fondo nello stesso momento in una banca è in crisi (ossia in prossimità di essere messa in liquidazione); al contrario il contributo di partecipazione obbligatorio dovrebbe essere versato ex-ante e non all’occorrenza. Di fatti è stato rilevato che ammonterebbero a circa 476 miliardi di euro i depositi sotto la garanzia del FITD, ma che ci sarebbero accantonamenti solo per 1.9 miliardi;"
C'è paura per gli stress test di Draghi, per nuovi collassi delle piccole banche, ma probabilmente anche per una fuga di capitali che sta già avvenendo ma che potrebbe divenire precipitosa, nel caso si diffondesse la voce di un prelievo forzoso come a Cipro.
In Italia:
"– Nel 2012 i capitali fuggiti all’estero ammontavano a 275 miliardi di euro, nel 2013 è aumentato a 284 miliardi di euro;" (www.rischiocalcolato.it)
Quindi, il sospetto è che si stiano predisponendo gli strumenti per ogni evenienza. Per poi operare con un prelievo in stile cipriota nel tentativo di salvare l'euro e l'Europa. Sarebbe l'ultima possibilità, come ci insegna l'esperienza italiana (vedi: "Facciamo tesoro degli insegnamenti del passato"), prima del collasso definitivo della zona euro (o anche solo del nostro paese). Ma purtroppo dal passato i nostri statisti al governo non imparano mai nulla, sempre pronti a giustificarsi con la frase: "questa volta sarà diverso". Invece si ripeterà tutto come nel 1992.
Un altro segnale giunge dall'Istat, che dopo aver aiutato il governo a mentire meglio, ora lo contraddice (ma forse continuando ad essere troppo ottimista).
Qualche giorno fa l'Istat era filo governativo e un poco "impreciso", e per questo l'Ms5 l'ha denunciato:
"E’ guerra di numeri sul rapporto deficit-Pil italiano. Il Movimento 5 Stelle ha presentato in procura a Roma un esposto nei confronti dell’Istat, che “avrebbe ritoccato il dato sul rapporto deficit-Pil presentato all’Europa il 30 settembre scorso, riportando un 3% tondo e non il 3,1% riferito dalla nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza stilata dal ministero del Tesoro“.L’iniziativa del M5S arriva nel giorno in cui l’Europa ha tagliato le stime nei confronti del rapporto deficit-Pil italiano, che a maggio sono previste passare dal 2,9 al 3 per cento. "
Ora invece smentisce e sembra sfidare il governo:
"Il duo Leptas-Sakkomannis aveva appena sparato +1,1% di PIL 2014 e qualcosa come addirittura +2% nel 2015...
Le stime sulle prospettive dell’economia italiano pubblicate dall’Istituto nazionale di statistica indicano anche per quest’anno una contrazione dell’economia pari all’1,8%.
I consumi delle famiglie si contrarrebbero invece del 2,4% nel 2013 per poi crescere moderatamente (+0,2%) nel 2014, “nonostante il permanere delle difficolta’ sul mercato del lavoro e la debolezza dei redditi nominali.
Il Pil, infine, potrebbe crescere dello 0,7%”....."POTREBBE Crescere"....potrebbe....+0,7% nel 2014..."
(www.ilgrandebluff.info)
...
A Saccomanni non sono piaciuti i numeri di cui sopra, gli è venuto un mezzo coccolone e s’è subito messo a polemizzare con l’istituto di statistica, che una cosa l’ha, comunque, già accertata: nel quarto trimestre dell’anno, nessuna crescita, nessuna ripresa! Ma l’Istat, che è un ente di Stato, ha detto anche altre cosette, non più di una settimana fa. Tipo:
- Nel 2012 gli italiani a considerare la casa come un investimento prioritario erano il 79%, nel 2013 è calato al 24%;
– Nel 2012 i risparmi degli italiani erano in media attorno ai 15.000 euro a testa, nel 2013 sono calati a 5.000;
– Nel 2012 il 12% degli italiani si indebitava per affrontare le spese quotidiane, nel 2013 è cresciuto al 29%;
– Nel 2012 2 italiani su 10 credevano che da questa crisi non si usciva facilmente, nel 2013 sono 7 su 10;
– Nel 2012 i capitali fuggiti all’estero ammontavano a 275 miliardi di euro, nel 2013 è aumentato a 284 miliardi di euro;
– Nel 2012 le tasse sul reddito erano al 43,7%, nel 2013 sono aumentate al 44,5% (in rapporto col Pil, la pressione fiscale è più alta di molto, nda);"
Sembra che all'Istat non credano più alla tecnica governativa delle bugie pietose, per spargere ottimismo nel tentativo di promuovere l'arrivo della "fata ripresa" come la definisce Krugman. La ripresa non ci sarà mai, ci sta dicendo l'Istat. E non è bastato cacciare Berlusconi, non sono bastate due volte le larghe intese, non sono bastati i governanti-tecnici idonei e "capaci". Il problema è altrove.
Ora tutti stanno comprendendo e si stanno risvegliando a poco a poco come belle addormentate nel bosco. Anche gli ultra liberisti del www.leoniblog.it per cui la colpa della crisi era sempre da attribuire alla corruzione, agli sprechi, allo statalismo, che non bisognava dare addosso alla Germania se noi italiani siamo dei somari incapaci ecc. oggi invece ci informa con il più classico "noi l'avevamo detto" che:
"Tra il 1996 e il 1997, prima della scelta finale della terza fase della moneta unica cioè dell’avvio dell’euro in quanto tale, pochi italiani autorevoli, di culture ed esperienza economica, finanziaria e manageriale assai diversa, tentarono invano di attirare l’attenzione della politica e dei media. Erano manager come Cesare Romiti, economisti keynesiani rigorosi alla Franco Modigliani come Paolo Savona, e offertisti come Antonio Martino. C’era anche l’allora governtaore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, che nel consolidamento bancario italiano solleverà poi polemche e inchieste, ma che di moneta per riconoscimento unanime ne capiva e ne capisce eccome. A organizzare eravamo, all’epoca noi della fondazione Liberal.
L’eterogenea compagnia ripeteva che un’area monetaria ottimale deve avere alcune caratteristiche, per funzionare: libera mobilità del lavoro tra le frontiere, ergo unificazione vera dei mercati dei beni e dei servizi oltre quella del lavoro, convergenza dei cicli economici attraverso la flessibilità di prezzi e salari. In assenza di queste caratteristiche (e senza trasferimenti straordinari, interinali e d’emergenza da Paesi forti a Paesi deboli, per affrontare il percorso iniziale di convergenza), l’unica via per Paesi a squilibrio elevato di finanza pubblica e bassa produttività per restare nell’euro – cioè per aggiustare le ragioni di competitività – sarebbe stata la deflazione interna, cioè la perdita del valore reale dei salari e dei redditi."
Mi sembra tanto un tipico "contrordine compagni", anche se ci troviamo in un'area politica del tutto opposta. Mi pare che Giannino non facesse una battaglia sull'euro, anzi: per Giannino l'euro non andava toccato, bisognava puntare sull'ottimizzazione della spesa pubblica, e quindi sui tagli. Eppure chi è l'autore di quanto su riportato? proprio Oscar Giannino.
Che infatti puntualizza: "Personalmente non penso affatto che sia – come ripete la vulgata – colpa dei tedeschi, che come abbiamo qui più volte sottolineato ... Credo però semplicemente che oggi sia irresponsabile negare i fortissimi rischi di rottura, di esplosione sociale, e di reazione demagogico-populista che tumultuosamente affiorano in mezza Europa."
Ma nel proseguo dell'articola, Giannino dimostra di aver interiorizzato ed elaborato il "lutto" dell'euro, citando la recente critica degli Usa alla Germania, citando Prodi, citando François Heisbourg...
"Personalmente, è la mia stessa posizione. Non sono sospettabile di essere “morbido” sulle pesanti responsabilità italiane, nell’aver preferito nei primi 8 anni di dividendo dell’euro – coi bassi tassi che ci ha regalato – alzare la spesa corrente invece di riformare il perimetro dello Stato e accrescere la produttività. Ma dopo anni di inseguimento della spesa con alte tasse, con il prodotto procapite degli italiani a meno 11% rispetto al 2007, e un debito pubblico che dal 119% del Pil del 2010 sta andando dritto a quota 134%, mentre il presidente greco Papoulias ha comprensibilmente ammonito la Trojka che la Grecia non ha più niente da dare col suo 30% di disoccupazione, penso che davvero sia del tutto sbagliato restare in silenzio, di fronte ai durissimi anni che ci aspettano se non mettiamo mano alle regole europee."
E si. In un'area valutaria squilibrata come quella europea è difficile venirne fuori con "riforme" che in realtà sono repressione fiscale. L'unica riforma possibile, sarebbe adottare le stesse normative e gli stessi sistemi del paese più forte, cioè la Germania. Solo diventando un land tedesco si potrebbe ottenerne gli stessi vantaggi, ma bisognerebbe convincere sempre i tedeschi a concedere dei trasferimenti fiscali per le aree depresse come avviene nella ex Germania dell'est. E questo è molto difficile avvenga.
Anche Giannino sente odore di disfatta. Ha quasi gettato la spugna:
"Non resta allora che essere realisti anche sulle regole europee. Tutti sappiamo che criteri come il 3% di deficit sul Pil e il 60% del debito pubblico furono ricavati da equazioncine che avevano per sottostanti tassi di crescita irrealizzati e attualmente irrealizzabili. Sappiamo che abbiamo una curva demografica declinante, e che restiamo con una manifattura che si batte leoninamente sui mercati mondiali, ma che da sola non può farcela a tirar su la crescita verso il 2% annuo e oltre, come sarebbe necessario....
Ci si può illudere di fare un altro tratto di strada ricorrendo ad altri LTRO della BCE, come sin qui si è fatto in questi anni, escogitando “una pezza” alla volta ai guai europei, nell’inpacacità poitica generale di adottare correttivi profondi e rapidi. Ma resta un’illusione, avere una moneta unica a mercati separati. E, alla fine, la molla si spezzerà. Com’è accaduto, nella storia, per il 99,% delle unioni monetarie"
Ma alla fine non ce la fa a tirare le conseguenze. Preferisce ancora credere alla rettifica dei trattati europei. Cosa che i tedeschi, inebriati dalla loro politica mercantilista, non permetteranno mai. Giannino scrive "Attenti a non preferire l’incubo di chi predica uscite solitarie dall’euro con metodi argentini" ma dopo un articolo così, penso che in cuor suo sappia benissimo quale sarà l'epilogo di questa storiaccia europea.
Ed ha ragione Prodi ad ammonire i tedeschi ad essere più malleabili: quando l'euro si spezzerà, la Germania perderà brutalmente il 50% della sua crescita già oggi anemica, vicina allo zero. E potrebbe cadere in recessione. E' infatti questa la quota di Pil nazionale di cui si è avvantaggiata la Germania a discapito degli altri paesi europei, grazie all'euro.
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