L’articolo “LA CRISI DEL PICCO PETROLIFERO: 2012, L’APOCALISSE SI AVVICINA?” su
ci avverte che il picco di produzione del petrolio e vicino. In realtà, secondo J. Leggett, ex diringente pentito della BP, oggi fervente ecologista, il picco è stato superato da 5-10 anni. E’ molto difficile da individuare questo punto di non ritorno, soprattutto se lo si sta vivendo, ma è molto probabile che sia stato toccato alla fine degli anni ’90.
J. Leggett nel suo saggio “Fine corsa” uscito nel 2006 ci informa che già alcuni mitici giacimenti hanno raggiunto questa situazione. Per esempio il grande giacimento del Mar Caspio, nell’Azerbajan ha avuto il suo picco di estrazione negli anni ’50. Oggi questi giacimenti terrestri che in quegli anni erano i più grandi del mondo, sono esauriti.
Anche J.R. di Dallas non ha più molti motivi per sorridere sotto il suo cappello bianco, infatti in Texas il picco di produzione è stato raggiunto negli anni ’60.
Anche gli Inglesi che avevano dovuto accettare la fine dell’Impero Britannico consolandosi con il nuovo della BP, oggi hanno come unico conforto il barcollante impero finanziario dei derivati: i giacimenti del Mare del Nord hanno raggiunto il picco di produzione negli anni ’70.
I giacimenti più importanti al mondo, quelli del medio oriente della penisola arabica, hanno raggiunto presumibilmente il picco di produzione alla fine degli anni ’90. Raggiungere il picco di produzione non significa che l’estrazione cessa di colpo, anzi può ancora durare per decenni.
Significa però che si esauriscono le scoperte di nuove aree di estrazione. Anzi, secondo Leggett, il “picco di scoperta” di nuovi giacimenti è stato addirittura raggiunto negli anni ’60. Da allora i nuovi giacimenti sono diventati sempre più rari.
Inoltre, raggiunto il picco di produzione, prima dell’esaurimento del giacimento, si verifica un aumento del costo di estrazione. Questo perché all’inizio il petrolio è in giacimenti poco profondi: è sufficiente trivellare il suolo, il petrolio risale per effetto della pressione a cui è sottoposto in profondità. Mano a mano che il giacimento si esaurisce è necessario ricorrere a pompe attive giorno e notte. Ma questo è ancora nulla: oggi si è costretti ad effettuare trivellazioni particolari che usano trivelle in grado di correre anche orizzontalmente alla caccia di sacche di petrolio nascoste. E quando il prezioso liquido non arriva più neanche pompandolo, si inietta acqua (più pesante del greggio) per stanarlo.
Inoltre i giacimenti terrestri si esauriscono e oggi si cercano quelli in acque marine profonde, utilizzando costose piattaforme in grado di superare 3000-4000 m di mare, prima di raggiungere il suolo.
Tutte queste tecniche di estrazione, sono indubbiamente più costose di quelle adottate negli anni ’60. L’aumento del costo di estrazione, unito all’esaurimento dei giacimenti, provocherà nel tempo un continuo aumento del greggio. Il massimo dei costi si raggiunge con le estrazioni non convenzionali di sabbie bituminose, per esempio rinvenute in Canada, dove per ogni barile estratto, uno viene bruciato per le operazioni di estrazione. Con in più costi ambientali enormi: per estrarre queste sabbie vengono distrutti molti chilometri quadrati di ecosistemi naturali, anche con l’uso indiscriminato di esplosivi.
Secondo Leggett le compagnie petrolifere, dalla fine degli anni ’90 non perdono più tempo ad aggiornare le stime sulle riserve petrolifere. Sarebbe inutile e si avrebbe solo l’effetto di deprimere ulteriormente i mercati.
Ma qualche buona notizia Leggett la fornisce. Se per esempio si prendono in considerazione tutti gli idrocarburi fossili, le scorte totali dovrebbero raddoppiare o triplicare. Esistono ancora molte miniere di carbone e molti giacimenti di gas naturale da sfruttare.
Il vantaggio del petrolio, fino a qualche anno fa, era la sua economicità e facilità di trasporto.
Il carbone oggi non è più ecologicamente accettato come combustibile. Esistono tecniche per abbattere gli inquinanti ed utilizzarlo in grandi impianti termoelettrici, ma le popolazioni li avversano e non li vogliono nel loro territorio. Non è più un prodotto utilizzabile per usi domestici come accadeva solo poco tempo fa, anche a causa delle normative sull’inquinamento. E’ possibile rendere il carbone meno “sporco” gasificandolo, ma questo è un processo costoso e tanto vale utilizzare il gas naturale.
Il gas naturale è un ottimo combustibile, con lo svantaggio che per essere trasportato bisogna o costruire lunghissimi gasdotti, che attraversano spesso territori “difficili”; o realizzare impianti industriali per la sua liquefazione per il trasporto con navi. Inoltre non è molto indicato per l’autotrazione e in più è ritenuto pericoloso dall’utenza. Ed in effetti molti gravi incidenti sono stati provocati dall’esplosione di condutture domestiche. Ma per il futuro prossimo, il gas naturale, sarà sicuramente il combustibile fossile preferito dall’occidente.
Constatato che per decenni potremmo ancora avere l’energia per la luce, il frigorifero, il riscaldamento e il trasporto, seppure a prezzo sempre più alto, è ovvio che dovremmo cominciare a pianificare un futuro diverso per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico e il tipo di combustibile da utilizzare.
Ci sono ad oggi diverse possibilità, o piuttosto, diverse potenzialità, per la sostituzione o l’integrazione dei carburanti fossili. Le energie rinnovabili, al momento sembrano non poter ancora dare le risposte giuste, ma sviluppando le relative tecnologie potremmo in futuro non dover rimpiangere il petrolio, ne per l’economicità, ne per l’abbondanza degli anni passati.
Energia solare
I modi di produzione dell’energia elettrica attraverso il solare sono essenzialmente di due tipi, per mezzo di pannelli con cellule fotovoltaiche al silicio, e con specchi riflettenti che riscaldano un “bollitore”.
I pannelli fotovoltaici sono preferibili per utilizzazioni domestiche e/o piccoli e medi impianti. In realtà tali pannelli sono nati per la ricarica delle batterie dei veicoli spaziali, in quanto in quell’ambiente ritenuti il sistema più efficiente per svolgere quella funzione. A livello “terrestre”, invece si tratta di un sistema antieconomico per produrre energia, hanno una resa inferiore al 15-20% (per le celle più costose e efficienti). Sono attualmente molto utilizzati grazie agli incentivi statali.
Si sta facendo ricerca in questo settore, anche in Italia. Per esempio la nota ditta Beghelli ha studiando da tempo fotocellule a base di arseniuro di gallio (ossidi di gallio), ma a quanto pare il costo proibitivo ne impedisce una produzione industrializzata. Attualmente ha innovato la produzione di pannelli abbinandoli a quelli termici (ad acqua calda), o aumentandone l’efficienza (30-40%) migliorando le superfici di captazione della luce (
www.beghelli.it)
Anche l’Eni ha condotto ricerche per la sostituzione del silicio nei pannelli fotovoltaici (
www.eni.com) con materiali polimerici e/o organici. L’intenzione è quella di ridurre i costi del pannello e aumentarne l’efficienza.
A meno di qualche importante innovazione e di un abbassamento dei costi, il solare fotovoltaico presenta ancora oggi molti inconvenienti. Potrebbe rappresentare comunque già oggi una fonte di energia considerevole, se per esempio si coprissero anche solo i tetti di tutti gli edifici pubblici. Una importante sperimentazione ed utilizzazione è stata condotta in Italia con alcune grandi centrali fotovoltaiche come quella di Montaldo di Castro (
www.ilsole24ore.com).
Altri due problemi non trascurabili del fotovoltaico, sono la durata limitata dei pannelli (dopo 10 anni il rendimento scende, dopo 20 anni devono essere sostituiti) e gli orari di produzione. L’energia viene fornita solo in orari diurni, e poca in giornate nuvolose. Il sistema andrebbe abbinato ad un metodo di accumulo dell’energia, nel caso di un suo utilizzo a livello industriale.
Il solare termico, si può distinguere a seconda delle dimensioni: di livello domestico, e di livello industriale. A livello domestico è ormai conosciuto da moltissimi italiani che hanno installato i relativi pannelli sui tetti di casa, molto prima dei fotovoltaici. Il suo limite è che può fornire molta energia termica in estate, quando il suo utilizzo è meno importante. Volendolo utilizzare per il riscaldamento invernale, diventa antieconomico e può contribuire solo per un massimo del 15% dell’energia necessaria.
Il solare termico utilizzato nelle grandi centrali elettriche, ha ultimamene fatto passi da giganti, grazie anche alla ricerca italiana di C. Rubbia. Il rendimento di questa tecnologia può raggiungere l’80%. Ne ho già scritto qui:
"Volare alto" di alcune realizzazioni importanti in Spagna, dove tali impianti sono all’avanguardia. Le centrali a specchi riflettenti da 20 MW sono normalmente realizzate in quel paese, mentre in Italia siamo ancora in fase sperimentale (
www.corriere.it). E’ un peccato che l’Italia, terra del sole anch’essa, sottovaluti questo tipo di produzione energetica.
Secondo uno studioso l’uso della sola energia solare potrebbe risolvere ogni problema energetico dell’umanità:
“
Gerhard Knies, un fisico delle particelle tedesco, è stato il primo a stimare la quantità di energia solare richiesta per soddisfare la domanda di elettricità dell’umanità. In 1986, in risposta al disastro nucleare di Chernobyl, ha messo giù le prime ipotesi arrivando ad un’importante conclusione: in sole sei ore, la superficie desertica presente sul pianeta riceve più energia dal sole di quanta gli esseri umani ne consumino in un anno. Se solo una piccola frazione di questa energia venisse sfruttata – ad esempio un pezzo del deserto del Sahara grande quanto il Galles potrebbe, in teoria, alimentare tutta l’Europa – Knies era certo che avremmo potuto dire addio ai combustibili inquinanti e pericolosi per sempre. Facendo eco alle frustrazioni di Schuman, Knies chiede apertamente se “siamo davvero, davvero così stupidi come specie” da non fare un utilizzo migliore di questa risorsa. Per le due decadi successive, l’uomo ha lavorato per diffondere questa mentalità” (
www.giornalettismo.com)
Va detto che anche con il solare termico permangono problemi legati agli orari, e al tempo atmosferico, anche se esistono attualmente tecniche di conservazione del calore del fluido termovettore per parecchie ore. Utilizzando fluidi con particolari sali disciolti, le centrali eliotermiche sono in grado di produrre energia anche nelle ore notturne.
Eolico, maree, correnti e idroelettrico.
Si tratta di sistemi di produzione di energia con eliche montate su rotori, attraverso lo sfruttamento di fluidi naturali in movimento. Si tratta forse dei sistemi più antichi per la produzione di energia, a partire dall’antichità fino ad oggi. I terreni sotto il livello del mare in Olanda, sono stati prosciugati con l’uso dei caratteristici mulini a vento, a partire dalla fine del medioevo. La rivoluzione industriale è iniziata con l’uso della forza motrice idraulica che muoveva telai e magli, ma i mulini ad acqua per macinare il grano risalgono almeno al medioevo.
In Italia, si ha una rilevante produzione di energia con fonti rinnovabili, proprio grazie alle vecchie
centrali idroelettriche realizzate lungo l’arco alpino e lungo l’Appennino. Oggi si continuano a costruire dighe e centrali idroelettriche in Italia, ma le mega dighe alla Vajont (
http://www.vajont.net/), non sono più, giustamente, accettate dalla popolazione residente. Si cerca piuttosto di realizzare più chiuse lungo i fiumi, che sfruttino salti di quota modesti ma grandi volumi d’acqua. Le moderne turbine sono in grado di funzionare anche con modesti dislivelli. E’ un sistema di produzione che può ancora essere incrementato (oggi per l’Italia rappresenta circa il 15% della produzione totale), si potrebbe aumentare la produzione di qualche punto percentuale, ma non esaudire la richiesta totale d’energia.
Parenti dell’idroelettrico, sono i sistemi che sfruttano
maree o correnti marine. Si tratta ancora di sistemi a livello di prototipo. Alcune sperimentazioni sono in atto, come quella nello stretto di Messina, (
archivio.lastampa.it), ma molto di più si potrebbe ottenere dallo sfruttamento di queste energie rinnovabili.
Se si viaggia in Danimarca, una terra piattissima costituita al 90% di sabbia marina, le uniche emergenze visibili sono i rotori delle pale eoliche, diffuse su tutto il territorio nazionale. Qui questo sistema di produzione dell’energia è così diffuso che ha radicalmente modificato il paesaggio. Si tratta però, malgrado la sua grande evidenza paesaggistica, di un sistema che attualmente produce circa il 2% di energia elettrica nel mondo, forse potrà raggiungere a breve il 3%.
In Italia, e in altre nazioni, le torri eoliche hanno anche incontrato molte resistenze presso associazioni ambientaliste e presso le popolazioni locali. Inoltre non possono essere impiantate ovunque, ma solo in zone dove i venti sono costanti e di medie intensità: quindi molto spesso i luoghi migliori sono i litoranei marini.
L’eolico potrebbe diventare invece molto competitivo, anche rispetto alle produzioni termoelettriche tradizionali, se si riuscisse a sfruttare correnti aeree ad alta quota, dove i venti sono più potenti e costanti come proposto da studi italiani che prevedono di realizzare degli “aquiloni” o “parapendii” da innalzare ad almeno
600 metri dal suolo (
archivio.lastampa.it) – (
it.wikipedia.org)
Energia nucleare
Qui si toccano note dolenti, e chi mi legge comincerà ad imprecare prima ancora di aver raggiunto la fine del capitolo. Ma se si analizzano i sistemi di produzione di energia alternativi al termoelettrico a combustibile fossile, non può mancare una analisi anche di questi sistemi.
Premetto comunque, che il nucleare che descriverò qui, non esiste ancora o è in fase sperimentale. Le attuali centrali a fissione, basate su uranio e plutonio, sono ormai obsolete, inquinanti e dopo due esperienze altamente negative (Chernobyl e Fukushima) direi grandemente pericolose.
Ma il nucleare pulito (o quasi pulito) potrebbe esistere e potrebbe anche essere molto conveniente.
Fra queste tipologie di produzione atomica, una è quella della centrale a fusione nucleare. Si tratta purtroppo attualmente di soli studi e prototipi non ancora del tutto funzionanti.
Mentre nelle attuali centrali nucleari si utilizza materiale fissile radioattivo che quando viene concentrato in vasche si surriscalda (raggiunge la massa critica), nelle future centrali a fusione si cerca di imitare i processi nucleari che avvengono all’interno delle stelle. Il vantaggio rispetto alla tecnologia a fissione è che non necessitano e non producono materiale radioattivo; inoltre queste centrali a fusione possono essere accese e spente a piacere, senza l’inconveniente che renderà le centrali di Fukushima e Chernobyl pericolose per decenni, non essendo possibile disattivarle.
L’idea, a grandi linee, è quella di comprimere gas di idrogeno fino a raggiungere temperatura e pressione per innescare la reazione nucleare che frantuma i suoi atomi che si ricombinano trasformandosi in elio.
Il progetto francese (e internazionale) ITER (
www.fusione.enea.it - International Thermonuclear Experimental Reactor) è un classico esempio di questa tecnologia che funziona nel seguente modo:
“La tecnica e' quella del confinamento magnetico. Un plasma, cioe' un gas di atomi privi di elettroni e quindi dotati di carica elettrica positiva, e' imprigionato da potenti campi magnetici e portato nelle condizioni di densita' e di temperatura (oltre i 100 milioni di gradi) necessarie per vincere la repulsione elettrica dei nuclei. Il reattore, in estrema sintesi, e' un recipiente toroidale, cioe' a forma di ciambella, circondato da elettromagneti, nel quale viene fatto il vuoto e iniettato il gas. Comunemente e' chiamato <Tokamak > , dall' acronimo russo di camera magnetica toroidale. Impiegando una miscela di deuterio e di trizio (la fusione tra questi isotopi dell' idrogeno e' la piu' facile da ottenere), gli scienziati del Jet sono riusciti a raggiungere una temperatura di 200 milioni di gradi, realizzando la fusione nucleare per un tempo di quasi due secondi e producendo una potenza di due milioni di Watt”
In realtà, queste frasi sono state scritte nel 1993 e da allora non sono stati fatti molti passi avanti. Il problema di questa tecnologia non è raggiungere la pressione necessaria per creare il plasma, ma piuttosto contenerlo nel toroide con i campi magnetici. E’ uno stato della materia non facilmente maneggiabile.
Un altro esperimento di fusione nucleare viene condotto in Inghilterra ed utilizza fasci di raggi laser per produrre la temperatura e la pressione d’innesco del plasma (
www.hiper-laser.org). Vedremo se avrà un maggior successo di Iter, ma al momento credo che questa sperimentazione sia ancora più immatura della francese.
Sempre nel campo nucleare, bisogna annoverare anche la
fusione fredda, che bistrattata nei decenni trascorsi, oggi conta sempre più adepti e sperimentatori. Evidentemente qualcosa di vero in questa tecnologia ci deve essere. Una serie di riflessioni su questa tecnologia, e sui possibili motivi che ne hanno impedito l’impiego, l’ho condotta qui:
"Dall'arricchito all'impoverito"Se questa tecnologia si rendesse veramente praticabile, sarebbe anche in questo caso di gran lunga più pulita del nucleare tradizionale, e di gran lunga più economicamente conveniente anche della fusione nucleare.
In queste pagine si tenta di svelare il funzionamento del “catalizzatore” che gli inventori mantengono segreto:
La fusione fredda in versione E-cat sembrerebbe più adatta ad un uso domestico che industriale. Inoltre, le ridotte dimensioni di un singolo catalizzatore (gli inventori propongono più catalizzatori in un container) renderebbe idonea questa tecnologia anche per motorizzare il trasporto pubblico e privato. Cosa che non è del tutto possibile con le altre fonti rinnovabili (o alternative al petrolio) su descritte. Anche se sono state realizzate vetturette alimentate dal fotovoltaico e alcuni studenti italiani si sono cimentati nella realizzazione di un veicolo a energia solare termica: in pratica la riedizione aggiornata del motore a vapore.
Se i due sistemi di produzione nucleare trattati qui sopra sono in una fase sperimentale avanzata, quello che prenderò in esame di qui in avanti si può considerare più un’eventualità fantascientifica. Teoricamente è una tecnologia utilizzabile, praticamente presuppone una sistema industriale di sfruttamento molto costoso.
Si tratta della fusione nucleare con elio-3, un isotopo particolarmente indicato ed efficiente per questo tipo di tecnologia. Il problema è che l’elio-3 dovrebbe essere ottenuto dal suolo lunare, che ne è particolarmente dotato, e trasportato sulla Terra:
“L’elio 3 si concentra per il 50% nei mari lunari (20% della superficie lunare). Le analisi hanno ipotizzato la presenza una percentuale dello 0.01% di elio 3 tra le rocce lunari (circa 1mil. tonn). tonnellata di elio-3 puo’ produrre 10.000 MW/anno di elettricità. Quindi, 25 tonnellate. di elio-3 possono soddisfare il bisogno di elettricità degli Stati Uniti. Nell’ipotesi in cui l’energia elettrica mantenga in futuro gli stessi costi, il valore dell’elio-3 sarebbe stimabile in 3 mill. doll./kg. Il suo costo energetico equivarrebbe a quello del petrolio a 7 dollari il barile.”
Naturalmente lo sfruttamento dei suoli lunari impegnerebbe delle risorse notevoli, ma potrebbe essere un investimento condiviso fra più nazioni, enti privati e pubblici. Sarebbe l’occasione per rendere l’esplorazione spaziale anche un’attività utile per l’uomo comune, non solo per il progresso scientifico. Darebbe un grande slancio a questa industria che è oggi alla ricerca di nuove motivazioni.
Attualmente il costo dell’invio nello spazio di materiale si aggira sui 5.000 euro al Kg, probabilemte una cifra da aggiornare (
it.wikipedia.org) Il costo dell’invio dell’elio-3 dalla Luna alla Terra dovrebbe essere però inferiore, primo perché lasciare il suolo lunare richiede meno energia, secondo perché oggi l’attività spaziale è ancora molto “artigianale” e quindi più costosa.
Ma comunque attivare un’attività mineraria selenita e di trasporto Luna – Terra non avrebbe costi molto contenuti, quindi prima di utilizzare l’elio-3, sarebbe preferibile sfruttare tutte le possibilità di produzione energetica “terrestri”.
Idrogeno
L’idrogeno è nella mitologia di molti di noi il carburante del futuro, ma andrebbe considerato oltre a un importante eco-combustibile, anche e soprattutto un sistema di immagazzinamento d’energia.
Attualmente l’idrogeno industriale è prodotto attraverso processi che utilizzano idrocarburi fossili come il metano.
In realtà è molto semplice produrre idrogeno con l’elettrolisi come dimostra questo video “casalingo” -
Video - www.youtube.com – (anche se qui si produce “gas di Brown”, una miscela idrogeno e ossigeno) ma è antieconomico.
Se per esempio invece l’idrogeno venisse prodotto con centrali solari (o altro tipo di rinnovabili) quando ci sono dei picchi di energia in eccesso rispetto alla richiesta, sarebbe un ottimo modo per accumulare energia che andrebbe sprecata. Le perdite di rendimento in questa conversione sarebbero minori rispetto ad altri sistemi di immagazzinamento energetico.
L’idrogeno può poi essere utilizzato sia come combustibile in motori a scoppio, sia nelle batterie “fuel cell” per alimentare motori elettrici (
it.wikipedia.org).
Nella prima ipotesi, se è vero che sarebbero sufficienti poche modifiche per utilizzarlo nei motori attuali, si deve considerare che il trasporto e la distribuzione dell’idrogeno liquido possono essere sia costosi che pericolosi.
Dal mio punto di vista sarebbe meglio utilizzare l’idrogeno in batterie fuel cell dove verrebbe adoperato in quantità minori e quindi sarebbe più gestibile. Questa soluzione naturalmente scarica molti costi sull’utenza pubblica e privata che sarebbe costretta a rinnovare il parco automezzi.
Tempo fa un inventore americano, oggi scomparso, (
www.postarelibero.com) sosteneva di aver costruito un’automobile “ad acqua”.
Dal punto di vista tecnologico la cosa è fattibile e per sommi capi funziona così: l’acqua viene trasformata per elettrolisi in idrogeno ed ossigeno utilizzando la batteria di bordo, l’idrogeno fa funzionare il motore che attraverso l’alternatore ricarica la batteria.
Dal punto di vista energetico invece mi pare che questo veicolo sia in realtà una “specie di auto elettrica”. Questo perché l’energia necessaria per scindere la molecola dell’acqua è superiore a quella fornita dal processo inverso, e per di più una quota rilevante è utilizzata per il movimento del veicolo. Secondo il mio parere il bilancio energetico è negativo e l’energia mancante proviene dalla batteria (che si scaricherà velocemente). Come si dice: “non esistono pasti gratis”.
Comunque l’idrogeno potrebbe essere una risorsa importante nel caso si trovasse un sistema semplice ed economico per produrlo (pannelli solari su piattaforme marine, uso di batteri o altri organismi naturali ecc.).
Eco-combustibili naturali
La natura, prevalentemente attraverso il mondo vegetale, è in grado di produrre il combustibile per la vita (zuccheri di base) attraverso la fotosintesi. Utilizzando in modo ingegnoso acqua, anidride carbonica ed energia solare (alla fine la fonte primaria) le piante producono le molecole che i nostri organismi bruciano e che poi sono composti simili agli idrocarburi fossili.
E’ quindi spontaneo chiedersi se non sia possibile riprodurre il sistema artificialmente per estrarre i carburanti che servono alla nostra società industriale. Si sta tentando quindi di utilizzare organismi viventi, modificati o no per questo genere di servizio. Nel post “Volare alto” (
Link) avevo già analizzato il progetto per produrre carburante utilizzando particolari aghe (
www.genitronsviluppo.com) da cui, con un complesso procedimento, si estrae l’olio naturale dalle cellule, e si trasforma in biodiesel. Il tutto senza recare danno all’agricoltura destinata all’uomo.
Secondo C. Venter, padre dei “microbi artificiali” sarà possibile in futuro ottenere combustibile da batteri geneticamente modificati. (
archivio.lastampa.it)
In effetti i batteri vivono ovunque e in qualunque ambiente, anche i più controindicati per la vita. Se non è ancora del tutto provato che si trovino nei meteoriti, sicuramente sono stati trovati nei bui fondali marini in corrispondenza di nocivi camini vulcanici, e anche a centinaia di metri sottoterra sottoposti a temperature e pressioni elevate.
Si tratta di organismi estremamente versatili che potrebbero essere “istruiti” a produrre qualsiasi sostanza chimica, quindi anche combustibili basati su carbonio e idrogeno.
Il carbonio legato in molecole stabili sulla Terra è piuttosto abbondante, si deve soltanto trovare un modo vantaggioso di estrarlo. E’ presente nell’anidride carbonica dell’aria, negli scarti vegetali dell’agricoltura, fino alla riserva di carbonio di gran lunga superiore a tutti i giacimenti e miniere di idrocarburi fossili: le rocce calcaree (carbonati di calcio e magnesio). Anche l’idrogeno, sotto forma di acqua è molto abbondante.
Se tramite batteri, o processi vegetali, si utilizzasse l’anidride carbonica per produrre combustibile si avrebbe, se non un abbattimento della stessa, almeno una sua stabilizzazione. Alleviando un eventuale riscaldamento globale antropico (di cui io non credo molto -
"Crisi e clima")
Il vantaggio di produrre bio-combustibili a base di idrocarburi, sarebbe indubbiamente quello di non dover cambiare le nostre abitudini e tecnologie. Il motore a scoppio manterrebbe la sua leadership.
Non ho preso in considerazione la produzione di combustibili dalla fermentazione di prodotti agricoli (mais, grano, barbabietole, colza ecc.), in quanto presenta due enormi problematiche: si sottrae terreno agricolo alla produzione alimentare e comunque la terra coltivabile non sarebbe sufficiente a sostenere la domanda mondiale di combustibili. Attualmente solo il Brasile sembra in grado di sostenere la sua produzione interna di alcool per autotrazione, grazie allo sfruttamento dei suoi estesi latifondi.
Sistemi “alternativi”?
Trascurando il moto perpetuo, mi sembra doveroso prendere in considerazione ancora due idee circolanti in rete da alcuni anni: l’estrazione di energia dal “vuoto” e il motore magnetico.
La prima ipotesi è affascinante e posa la sua teoria su supposizioni di fisica quantistica che pur non essendo certezze, non vengono scartate dal mondo scientifico. Secondo la fisica quantistica il vuoto non esiste, perché particelle virtuali riempirebbero ogni luogo dell’universo, ma si troverebbero a “vivere” in interstizi spazio-temporali talmente brevi (sotto la lunghezza di Plank, la distanza e il tempo più piccolo esistenti) da non costituire materia visibile. Per fare un paragone, è come se immagini e testi fossero riportati tra un fotogramma e l’altro di una pellicola: quando viene proiettata noi vediamo solo i fotogrammi, non quello che si trova fra di loro.
Tutta questa massa di particelle virtuali, per quanto effimere, ha comunque (probabilmente) una certa energia. Si presume che la famosa “energia oscura” (da non confondere con la “materia oscura”) responsabile dell’accelerazione dell’espansione universale, sia proprio costituita da questa marmellata quantistica.
In rete si possono trovare diversi sedicenti inventori che presumono di aver ottenuto qualche risultato concreto di estrazione di energia dal vuoto. Io ne dubito molto, ma spero che un giorno possa diventare possibile, confermando le teorie quanto-cosmologiche. Sarebbe un tipo di energia veramente inesauribile.
La seconda ipotesi (motore magnetico) confina molto con l’idea del moto perpetuo. Il moto perpetuo cerca di solito di sfruttare la forza di gravità, per ottenere l’energia necessaria per creare un movimento auto sostenuto, che a causa della dissipazione dell’energia nell’ambiente non è possibile ottenere.
Invece il motore magnetico sfrutta l’energia magnetica, che non è inesauribile, ma ha una persistenza di qualche secolo. In effetti in rete pare si trovino video di prototipi funzionati, anche se permangono notevoli dubbi di autenticità.
A me pare comunque che la differenza con il moto perpetuo sia dovuta alla presenza di questa energia attrattiva/repulsiva, che può essere in qualche modo accumunata alla pressione del vapore nel motore omonimo, o alla pressione dei gas combusti, nel motore a scoppio.
Il motore magnetico potrebbe diventare un tipo di produzione di movimento ed energia molto pulita e divertente, ma credo presenti notevoli problematiche di ordine meccanico e di rendimento.
Conclusioni
Sarebbe necessario, che i governi nazionali, a partire dal nostro, prendano l’iniziativa per sperimentare e pianificare un futuro senza petrolio, analizzando alcune o tutte le tecnologie su esposte. L’Italia, proprio perché mancante di materie prime, dovrebbe avere il massimo interesse a trovare alternative ai combustibili fossili. Purtroppo invece i piani energetici prevedono spesso una diversa ripartizione dei combustibili (meno olio combustibile, più gas, più carbone ecc.) oppure un nostalgico ritorno alla mitologia nucleare, per fortuna oggi sconfessata agli ultimi avvenimenti tragici del Giappone.
Si dovrebbe invece incrementare e finanziare centri studi in quei campi energetici che sono attualmente solo promesse. Ma il trattamento riservato a C. Rubbia sul solare, conferma che la nostra classe dirigente è tutta orientata alla visione contingente e non sa prevedere e pianificare il futuro.