domenica 11 dicembre 2011

Dall’arricchito all’impoverito

"Fat boy", la bomba atomica di Nagasaki

Viste le continue cattive notizie in campo economico, ho deciso di trattare un tema più distensivo: le armi nucleari.
Si leggono notizie in questi giorni, confinate in brevi trafiletti, al limite tra lo spionaggio, la guerra vera propria e la finzione, al riguardo dell’Iran e della sua presunta produzione di armi nucleari.

Sembra che l’Iran sia sotto l’attacco concentrico di più servizi segreti avversari coordinati dagli Usa:
“Reza Baruni, ingegnere aeronautico e padre del programma dei velivoli teleguidati iraniani, è entrato nella sua villa senza notare nulla di strano e del resto lo stabile e l’intero quartiere che ospita personalità di spicco del regime iraniano sono controllati da un servizio di sicurezza gestito dai Guardiani della rivoluzione islamica.
Le tre bombe probabilmente erano state collegate con un timer all’accensione delle luci di casa oppure qualcuno con un telecomando ha atteso nelle vicinanze il rientro di Baruni, ucciso nella triplice deflagrazione che ha distrutto la villa”
“Una guerra fatta di defezioni, questa, di uccisioni e rapimenti di scienziati iraniani impegnati nel programma nucleare ma anche di alti ufficiali dei pasdaran, che ha visto un mese dopo il virus informatico Stuxnet (elaborato a quanto pare nei laboratori di cyberwar statunitensi e israeliani) paralizzare per mesi il programma nucleare iraniano. Il 12 ottobre 2010 è stata colpita da un forte esplosione la base missilistica sotterranea di Imam Ali, sui monti Zagros nei pressi di Khorramabad, nella provincia iraniana occidentale del Lorestan uccidendo 18 pasdaran e distruggendo molti missili balistici Shahab-3, guarda caso le armi in grado di colpire Israele e preposte all’impiego di testate atomiche.

Esplosioni simili hanno distrutto un centro di ricerche a Isfahan e, il 12 novembre di quest’anno, un’altra base missilistica, non lontano da Teheran, nella quale veniva testato il combustibile solido necessario agli Shahab per colpire obiettivi a più lungo raggio.
Tra i 17 morti anche il generale dei pasdaran Hassan Moghaddam alla guida dei programmi missilistici strategici. Difficile attribuire il sabotaggio ad israeliani, statunitensi o agli arabi anche se pare sempre più probabile un coordinamento tra tutti i Paesi che temono il riarmo atomico di Teheran e che hanno avviato una vera corsa agli armamenti.”

(La guerra segreta tra l’Iran e i suoi nemici  blog.panorama.it)

 

Fino all’episodio più recente:

“Per l’amministrazione Obama, è motivo di imbarazzo. E lo è pure per la Cia, colta in fallo. Il 4 dicembre un drone - privo di pilota - è caduto in Iran, nei pressi della località di Kashmar a 225 chilometri dal confine afgano. O forse, come sostiene il generale Amir-Ali Hajizadeh (capo dell’unità aerostazione delle Guardie Rivoluzionarie), “è stato abbattuto da un’unità dei pasdaran specializzati in guerra elettronica“.
Giovedì scorso il New York Times ha scritto che non si trattava di un drone della Nato, andato perduto sorvolando l’Afghanistan, ma sarebbe proprio di un drone della Cia per spiare i siti nucleari iraniani. Il modello RQ-170 è lo stesso usato a maggio per fornire le immagini - in tempo reale - sulla missione del corpo speciale degli US Navy Seal nel compound pachistano di Bin Laden.”

 

(Iran: il drone abbattuto dai pasdaran specializzati in guerra elettronica blog.panorama.it)



 

Probabilmente siamo alla preparazione di un qualche tipo di scontro che sarà più importante di una serie di “scaramucce” tra agenzie spionistiche. Ci sarà un’escalation militare nell’area del Golfo Persico ancora una volta per difendere gli interessi petroliferi americani, e per difendere la loro dependance in medio oriente: Israele.


Non sono mai stato acerrimo nemico di Israele, ma ho sempre avuto una vaga sensazione di fastidio, per quella nazione anacronistica imposta nel dopoguerra quasi a compensazione dell’olocausto subito dagli Ebrei nell’Europa sotto i nazisti.
Mi pare che ricostruire nazioni cancellate dalla storia non abbia molto senso: perché non si riconsegna per esempio l’Amazzonia, o lo Yucatan ai nativi indios? Perché non ci si è minimante preoccupati di sottrarre delle terre di proprietà di genti arabe palestinesi per darle a coloni ebrei che in realtà erano coloni europei e americani?

Ma oltre ai quesiti posti da questo disastro di politica internazionale, che diventa sempre più incorreggibile e irrimediabile, un’altra questione mi diventa sempre più incomprenibile. Cioè quegli interessi petroliferi che sembra stiano a cuore degli Usa. E’ vero che ci sono enormi interessi economici sul petrolio, quest’ultimo petrolio rimasto, ma mi chiedo se il “gioco” di una guerra, possa valere la “candela” di un ritorno economico.

E questo sospetto viene ancora più amplificato se si valuta il contendere “nucleare” di questa prossima guerra. Cioè gli Usa si appresterebbero ad attaccare una nazione che si avvierebbe a produrre un’arma nucleare di prima generazione, simile a quelle sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Mentre pare che gli americani avrebbero a disposizione una tecnologia in grado di superare il problema nucleare e del petrolio.

Oggi, con la fine della guerra fredda, nessuno parla più di armamenti nucleari. Nessuno si è più interessato all’evoluzione di questo “prodotto” bellico. Eppure, da voci di corridoio, sembra che anche in questo campo ci sia stata una notevole evoluzione. Stando a queste voci, oggi esisterebbero (solo in Usa) armi nucleari di quarta generazioni, molto più versatili. Così versatili che sembra siano state impiegate senza che nessuno o quasi se ne sia accorto.

Facciamo un po’ di storia degli ordigni nucleari:
“La prima bomba atomica fu realizzata presso i laboratori di Los Alamos (Nuovo Messico) nel 1945, ad opera di un team di scienziati eterogeneo per nazionalità, aderenti al cosiddetto Progetto Manhattan guidato da Robert Oppenheimer seguendo le rive di Einstein, al progetto lavorava uno scienziato italiano, Enrico Fermi, che scoprì la fissione dell'atomo.”

La prima generazione di armi nucleari era dunque:
“1) La bomba atomica o bomba A, la prima ad essere costruita, sfrutta una reazione di fissione di uranio o plutonio e può raggiungere potenze variabili da 0,5 kilotoni a 1,5 megatoni, con una soglia critica individuata attorno ai 10 megatoni.”
Anche se del tipo più arcaico, è senz’altro molto pericolosa e in grado di provocare la distruzione di Israele nel caso fosse prodotta dagli Iraniani. E’ realizzata sul principio della massa critica di uranio raffinato (uranio arricchito dell’isotopo U235, presente in natura in una percentuale inferiore all’1% rispetto al resto agli altri isotopi dell’uranio) che si aggira sui 13 Kg. Questa bomba è in sintesi un contenitore con una decina di chili di uranio diviso in due parti da un separatore. La bomba è provvista di una carica esplosiva chimica, in grado di comprimere fra loro le due parti separate di uranio, che a questo punto raggiungono la massa critica per generare la fissione nucleare.
Quindi è un’arma che ha dei limiti di dimensioni e pesi.

Si è poi giunti alla seconda generazione di bombe atomiche, le bombe all’idrogeno, che erano/sono ancora più ingombranti:
“2) La bomba all'idrogeno o bomba H invece sfrutta la fusione fra nuclei di deuterio e trizio, riuscendo così a sprigionare molta più energia: questo tipo di bombe è il più potente in assoluto ed arriva a sprigionare potenze pari a 100 megatoni.”
Il meccanismo di funzionamento di quest’arma è ancora più complesso: al suo interno contiene una bomba atomica all’uranio (del primo tipo) che attiva poi la fusione del deuterio e del trizio (isotopi dell’idrogeno). Questa bomba era confezionata con grandi quantità di litio, metallo che viene oggi comunemente impiegato nelle batterie dei nostri più ricercati gioielli di elettronica.
Voci di corridoio dicono che le batterie al litio fossero già ben conosciute negli anni ’60 e ’70, ma era impossibile produrle poiché le miniere di litio erano sotto stretto controllo militare.
Voci di corridoio dicono che da quando (alla fine degli anni ’80) si è smesso di produrre queste bombe è stato consentito utilizzare il litio per scopi civili: ma perché si è smesso di produrre bombe all’idrogeno? Forse il motivo è che ora sono prodotte in modo diverso, lo vedremo più avanti.

La terza generazione di armi nucleari è molto in dubbio. Si sa che sono realizzabili ma non si è certi che siano state realizzate: si tratta della famigerata bomba al neutrone, evoluzione della bomba all’idrogeno:
“3) La bomba al neutrone o bomba N, come la bomba H è una bomba a fissione-fusione-fissione ma a differenza di questa è studiata per sprigionare la maggior parte della sua energia come radiazioni (neutroni veloci). Lo scopo dell'ordigno è uccidere gli esseri viventi lasciando la maggior parte delle strutture nemiche intatte.”

Per Wikipedia la quarta generazione è questa:
“4) La bomba al cobalto, o Bomba gamma o "bomba G", particolare bomba H nella quale, al momento dell'esplosione, i neutroni prodotti dalla fusione termonucleare si uniscono al cobalto, forte emettitore di raggi Gamma. Essa può essere definita anche come una bomba Termonucleare Sporca (denominata più correttamente radiologica, vedi sotto).
le cosiddette bombe sporche: costituite da materiale radioattivo non fissile (che quindi non può esplodere con reazione nucleare, ma potrebbe incendiarsi se metallico) trattato per renderlo molto volatile ed associato ad una carica esplosiva convenzionale, di potenza anche modesta, con il compito di disperdere il materiale radioattivo nell'ambiente, contaminando oggetti e persone”



Io mi sono fatto l’idea che si tratta di qualcosa di simile, ma completamente diverso. Mi ha aperto la mente un “finto” romanzo inchiesta dal ridicolo titolo:
“Il segreto delle tre pallottole” di Maurizio Torrealta e Emilio Del Giudice.
Ecco chi sono gli autori:
“Maurizio Torrealta è un giornalista: uno dei fondatori di Radio Alice, è stato redattore del Tg3 e ha collaborato con la trasmissione radiotelevisiva "Samarcanda". Attualmente lavora per RaiNews24. Ha pubblicato -Ultimo. Il capitano che arrestò Totò Riina- (Feltrinelli, 2001) e -La trattativa. Mafia e Stato: un dialogo a colpi di bombe- (Editori Riuniti, 2002).
Emilio Del Giudice è laureato in Fisica e specializzato in Fisica Teorica all'Università di Napoli, ateneo presso il quale è stato prima professore incaricato (Teoria delle Forze Nucleari, Fisica delle Particelle Elementari, Fisica per Geologi) e poi assistente ordinario (Fisica Teorica). Oggi è ricercatore dell'INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), sezione di Milano, e vicepresidente della Fondazione Omeopatica Italiana. I suoi interessi di ricerca: Fisica delle Particelle Elementari, Fisica della Materia Condensata, Fisica dei Sistemi Biologici. Presenta al suo attivo numerosissime pubblicazioni, tra cui First Steps Toward an Understanding of «cold» Nuclear Fusion assieme a Giuliano Preparata e Tullio Bressani.”

Di che cosa tratta questa inchiesta romanzata, in cui quasi tutte le interviste sono vere? Si traccia l’identikit del mondo della nuova ricerca nucleare sconosciuto a tutti, che intreccia i presunti fallimenti della “fusione fredda” con gli sviluppi sulle armi così dette a “uranio impoverito”.

Non posso affermare che le tesi degli autori siano vere, o siano un abbaglio cospirativo, ma certo molte cose da loro riportate fanno pensare (al peggio).

“tra il 1984 ed il 1989, il professore inglese M. Fleischmann e il suo collega americano S. Pons hanno lavorato in gran segreto alla possibilità di produrre una reazione nucleare a bassa temperatura creando un contenitore ben isolato termicamente e riempiendolo con la cosidetta ‘acqua pesante’. In questo recipiente hanno poi immerso due elettrodi, uno di palladio e l’altro di platino. Facendo passare la corrente, sono riusciti a produrre, in vicinanza del palladio, un calore che in termini energetici, risulta maggiore dell’energia fornita. Complessivamente hanno prodotto una potenza di 4 watt contro un watt fornito dalla batteria, con un rendimento del 400%.”

Questo fu il primo esperimento conosciuto di fusione fredda. E in Italia (intervista vera a un funzionario dell’Enea):

“Nel 1999 quando il premio Nobel (C. Rubbia n.d.r.) divenne presidente di questo ente (Enea n.d.r.)”… “ci furono affidati un miliardo e 150 milioni di lire e trentasei mesi di tempo per verficare”… “se la fusione fredda fosse una bufala”
“I risultati ottenuti dimostrarono la validità della teoria della fusione fredda: c’era effettivamente una relazione diretta tra la produzione di atomi di elio 4 la produzione di calore. Il premio Nobel si dimostrò molto contento della notizia, anzi partecipò con noi alla stesura del rapporto, prodigandosi in consigli e suggerimenti.
Pochi giorni dopo, però, lo scenario mutò radicalmente: le riviste”… “non pubblicarono il rapporto, il premio Nobel si rese irreperibile”

Secondo la dottoressa intervistata, il progetto morì così in uno strano improvviso disinteresse e senza finanziamenti, malgrado l’interessamento dei francesi del CEA e dell’EDF (Enel francese). Secondo l’inchiesta di Torrealta e Del Giudice, molte persone che ebbero a che fare con la fusione fredda furono o dissuase dal continuare gli studi, o addirittura fecero una brutta fine: da incidenti strani a contaminazioni con sostanze radioattive ancora più improbabili. Molti enti internazionali pubblici e privati si cimentarono in esperimenti del genere, ma tutti i risultati sono rimasti chiusi nei rispettivi cassetti.

Ed ora un salto all’indietro, prima della II guerra mondiale, con l’effetto Bridgman:
Il tutto nasce da “un articolo pubblicato dalla Physical Review del novembre 1935 a firma dello stesso P. W. Bridgman, premio Nobel per la fisica”… che “annunciava che esiste una soglia critica di pressione oltre la quale la materia solida si polverizza e vengono emesse radiazioni ionizzanti e particelle veloci.” Lo studioso utilizzò “un campione di metallo sottoposto a 50 mila atmosfere”. Riassumendo molto, sembra che la rottura della struttura cristallina dei metalli, generi queste micro reazioni nucleari.

Ora però bisogna capire come funziona (o dovrebbe funzionare) a grandi linee la fusione fredda. Mentre nell’energia atomica tradizionale la parola chiave è “arricchimento”, nella fusione fredda la parolina magica è “caricamento”. Ecco la ricetta della fusione fredda:

-         Si prende un metallo pesante: platino, palladio, tungsteno, iridio… ed anche volendo uranio;
-         Si prende dell’idrogeno sotto forma di isotopo deuterio (acqua pesante);
-         Si “carica” il metallo pesante con il deuterio attraverso elettrolisi per un certo periodo;
-         Quando il tutto è pronto, il metallo sottoposto a una debole corrente è in grado di generare un calore superiore all’energia ricevuta.

Per “caricamento” si intende il bombardamento del metallo con atomi di deuterio attraverso una procedura di elettrolisi. Il tempo necessario al caricamento dipende dal tipo e quantità di metallo. La sua funzione è quella di produrre delle fratture nel reticolo cristallino, esattamente come nell’effetto Bridgman prodotto da grandi pressioni.

Ma ora la domanda che sorge spontanea, e che si trova al centro del libro inchiesta di Torrealta e Del Giudice è questa: ma cosa succede realmente se viene caricato dell’uranio, e soprattutto perché viene utilizzato quello impoverito nei proiettili anti bunker?
La risposta potrebbe essere questa:

l’utilizzo di uranio in questi proiettili è uno spreco di risorse (il che in ambito militare è normale), ma potrebbe essere invece utile se: l’uranio venisse caricato con deuterio fino al 99% e poi montato nelle ogive; al momento dell’impatto, per effetto Bridgman verrebbe colmato quel 1% mancante con la forte pressione sull’obiettivo (il terzo proiettile, i primi due sono fisici), che quindi consentirebbe di generare una micro esplosione nucleare.

L’inchiesta giornalistica si è spinta quindi a valutare l’effetto dell’esplosione di questi ordigni. Ed in effetti sembrerebbe che l’esplosivo chimico contenuto in questi proiettili sia insufficiente a giustificare gli effetti distruttivi ottenuti su bunker e carri armati blindati. Inoltre questi proiettili sembrano lasciare un residuo radioattivo che è molto difficile valutare come dovuto solo alla diffusione di polveri di uranio, ma troppo basso per essere attribuito ad un’esplosione nucleare classica.

Ecco quindi la nuova arma nucleare di quarta generazione: un’arma estremamente versatile, sia in dimensioni (dalla pistola, alla testata nucleare), sia in potenza calibrabile con la quantità e caricamento del materiale radioattivo. Inoltre, come sembra dall’inchiesta, rilascerebbe quantità di radiazioni minori (almeno nelle armi usate finora).

Ed un’altra domanda sorge spontanea:
Ma se l’umanità dispone di questa nuova fonte di energia molto economica e poco pericolosa, che è la fusione fredda, per quale motivo ci si deve accanire nella difesa/conquista di costosi ed inquinanti giacimenti petroliferi? Si vuole forse sfruttare quest’energia fossile arcaica fino all’ultima goccia per guadagnare il più possibile? O forse la scoperta è in mani militari che preferiscono mantenerla segreta, perché altrimenti dovrebbero rilevare imbarazzanti arsenali nucleari non denunciati? O forse Torrealta e Del Giudice ci sono cascati come due frollocconi? Ma allora l’Ing. A. Rossi dell’ e-cat è un millantatore (http://e-catalyzer.it/)?

Sinceramente non ho risposte certe, ma mille sospetti.

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