Ad Obama è toccato assistere al fallimento delle politiche aggressive dei Repubblicani americani in Iraq, ma non solo. E naturalmente ne "incasserà" le conseguenze negative, aprendo probabilmente la strada all'elezione di un nuovo presidente repubblicano di tipo autoritario. Certo diventerà sempre più difficile fare politiche di deficit per finanziare guerre, ma è probabile che gli Usa ripartano in futuro con le loro missioni militari utilizzando meno uomini e mezzi pesanti, e più robotica. Del resto con Obama è iniziata l'era dei droni, e penso sarà questa la strada che seguiranno gli Usa militarmente.
In futuro ci saranno sempre meno portaerei e divisioni corazzate, e più droni e droidi di tutti i tipi. Non solo quelli volanti, ma probabilmente arriveranno anche quelli terricoli. Per ora Obama non può comunque permettersi molto di più che qualche missione di droni mirata ad obiettivi minimi.
"«Le forze di sicurezza irachene purtroppo hanno dimostrato di non essere capaci di difendere alcune città. E il popolo iracheno è ora in pericolo», ha aggiunto Obama tornando a ripetere che gli Stati Uniti offriranno comunque un aiuto a Bagdad. L’Iraq ha più volte chiesto un intervento diretto agli Usa ma Washington non vuole rientrare nel conflitto. «Proseguiremo con un’intensa azione diplomatica nella regione», ha infatti aggiunto Obama. Gli Stati Uniti «hanno interesse che la situazione sia risolta, nessuno vuole che l’Iraq finisca nel caos», tanto più che i contribuenti e l’esercito americano hanno fatto sforzi enormi in Iraq.
«Ci vorranno giorni per valutare le opzioni»
«Abbiamo enormi interessi» in Iraq e «dobbiamo valutare la situazione con attenzione», ha detto ancora Obama sottolineando di aver chiesto al consiglio per la sicurezza nazionale di rivedere le opzioni. «Ci vorranno diversi giorni» per decidere come intervenire al fianco del governo di Bagdad, ha ammesso il presidente, «non è una cosa che si decide nel corso di una notte». Per il presidente è necessario «avere chiara la situazione», disporre di «tutti i dati di intelligence necessari», affinché «qualsiasi azione sia mirata ed abbia un effetto garantito»."(www.corriere.it)
Ma è un fatto che oggi gli Usa non possono fare altro che riconoscere il fallimento della loro politica muscolare degli anni passati. Non solo sono fallite le missioni con grande dispiegamento di aviazione e truppe di terra, ma stanno fallendo anche le "primavere arabe" obamiane.
Mi pare che fra tutte le situazioni di rivolta assecondate dall'occidente, solo quella tunisina sia andata a buon fine. Ma potrei sbagliarmi. Comunque tutte le altre rivolte e rivoluzioni arabe sono finite in un disastro. L'Egitto ha visto l'arrivo di una fase democratica poi subito soffocata poiché i cittadini egiziani hanno portato alla vittoria il partito sbagliato (I Fratelli Mussulmani), e quindi oggi l'orologio politico egiziano è tornato alla situazione precedente le rivolte: il potere è tornato in mano ai militari.
In Libia la situazione è così confusa che ormai non è chiaro se il Parlamento governa veramente la nazione, o questa è già divisa fra tribù, clan e signori del petrolio improvvisati.
Ma il bello viene in Siria, dove l'Occidente (quindi gli Usa) ha incentivato le rivolte, utilizzando anche estremisti mussulmani che non sono affatto amici dell'Occidente. La rivolta si è trasformata in poco tempo in conflitto civile, da cui l'Occidente si è ben presto smarcato per mille motivi. Il principale è che i paesi occidentali non volevano entrare direttamente nel conflitto, ma nemmeno "quasi indirettamente" utilizzando solo l'aviazione e la marina come in Libia. Troppo rischioso combattere in un'area che avrebbe potuto vedere coinvolti Iran e forse chi lo sa, Russia e poi Turchia. Così l'Occidente si è limitato a far passare un po' di armi ai "poveri" ribelli, fino poi a dimenticarsi anche di loro.
Oggi il conflitto sembra ormai giungere alla fine (ma non è detto) con il presidente siriano Assad sempre in sella e in procinto di riprendersi il paese. Tanto che viene il dubbio circa il comportamento dell'Occidente, che forse ora si è pentito e sta di nuovo finanziando Assad. O perlomeno ha smesso di sostenere i ribelli comprendendo che ormai sono fuori controllo e comunque mai saranno riconoscenti all'Occidente.
Con le recenti vicende irachene infine, abbiamo avuto la chiusura del cerchio. L'unione dei fallimenti dei Bush con quelle di Obama. Il fallimento delle politiche militari di invasione con quelle di intervento "moderato" delle primavere arabe.
La guerra civile in Siria ha prodotto il fertile terreno di coltura per trasformare cellule terroristiche e ribelli fanatici di ogni tipo, in uno Stato (Isis) con i piedi in due nazioni: nel nord della Siria e nel nord dell'Iraq. In Siria queste milizie stanno incontrando la resistenza energica del governo Assad. Cosa che probabilmente in Occidente e negli Usa non era stata presa dovutamente in considerazione.
Quando in recipiente si genera una tremenda pressione, di solito questa va a sfogarsi dove trova pareti meno resistenti. E' quello che sta accadendo in Iraq, i cui confini sono stati "sfondati" dalla pressione bellica siriana. L'Iraq è un paese reduce da una guerra pesantissima e mai del tutto pacificato, malgrado le truppe occidentali se ne siano andate da tempo:
"Apparentemente inarrestabili, i ribelli jihadisti dell’ISIS continuano la loro avanzata all’interno dell’Iraq. L’offensiva iniziata con la presa di Mossul, seconda città più importante del Paese, e la relativa fuga di mezzo milione di profughi civili, è continuata questo giovedì quando i fondamentalisti dell’ISIS si sono impadroniti della città diTirkut. La complessità dello scenario, ha indotto diverse testate a raccontare quanto sta accadendo nel Medio Oriente con delle infografiche, alcune delle quali sono riproposte di seguito."
(www.rischiocalcolato.it)
In questa situazione disastrosa, il vero vincitore sembra essere l'Iran. Il quale pare anche prendersi beffe dell'antico arci-nemico americano:
"... all’Iran è arrivata una proposta di collaborazione per contrastare l’avanzata dei jihadisti: «Contrastare nella pratica e con le parole i gruppi terroristici» ha detto il presidente iraniano Hassan Rohani nel corso di una conferenza stampa Teheran, aprendo a una collaborazione con Washington e con il governo iracheno nella lotta all’estremismo. Non si parla però di interventi militari: l’aiuto avverrà «nell’ambito del diritto internazionale» ha detto Rohani, smentendo la notizia di uomini delle Guardie rivoluzionarie inviati da Teheran nella provincia di Diyla. Secondo fonti del ministero degli Esteri di Teheran, però, nei giorni scorsi il generale Qasem Soleimani sarebbe stato inviato a Baghdad per coordinare l’assistenza militare iraniana e contrastare l’avanzata dei miliziani: due le compagnie di Pasdaran che sarebbero già presenti in Iraq per fermare i sunniti dell’Isil. "
(www.lastampa.it)
Situazione imbarazzante per gli Usa che vedono vincere in Siria il presidente Assad da sempre appoggiato dagli iraniani, e ora si vedono giungere ramoscelli d'ulivo velenosi dallo stesso Iran che non nasconde di voler allargare la propria influenza anche sull'Iraq. E' come se in tutti questi anni gli Usa avessero lavorato per l'Iran e per rafforzare la sua supremazia geopolitica nell'area. Del resto la politica fallimentare Usa si misura anche da queste cose. Quando il tuo obiettivo è di avere più nazioni arabe "amiche" ed ottieni l'opposto, ci deve essere qualcosa di sbagliato nell'approccio. Qualcosa che gli Usa devono rivedere nelle loro relazioni diplomatiche con il medio oriente.
Dove gli Usa pagano sempre e comunque l'amicizia ed il sostegno politico militare verso Israele. Ma pagano anche gli errori di strategia di questi anni. Come sta avvenendo oggi in Ucraina, gli Usa hanno tentato dopo le primavere arabe di insediare presidenti fantoccio ai loro ordini. Ma queste cose funzionano solo se: 1) convinci buona parte della popolazione che è conveniente per tutti diventare filo americani; 2) se la nuova situazione politica crea sviluppo economico tale da dare un'occupazione, una stabilità e qualcosa a cui dedicarsi anche a coloro che non accetteranno mai il sistema americano. In sostanza quello che è successo in Europa dopo la seconda guerra mondiale, ma che non ha mai più avuto una replica negli anni seguenti. Ma senza soldi, non si può pretendere di comprare intere nazioni con delle cambiali senza valore.
Lo stanno saggiando sulla loro pelle gli ucraini:
Le incomprensioni continuano a ripercuotersi sul fronte del gas. Kiev ha tempo fino a lunedì mattina per pagare ai russi 1,9 miliardi di dollari, altrimenti Mosca introdurrà un regime
di pagamento anticipato e chiuderà i rubinetti."
(it.euronews.com)
Presidente Obama, Cancelliera Merkel, chi pagherà la democrazia... opss... il gas agli ucraini?
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