Sarà un caso che l'agenda Monti sia stata pubblicata alla vigilia di Natale? Se Berlusconi rideva accondiscendente alla barzelletta di Begnini che lo collocava sopra Dio, anche Monti non scherza in fatto di richiami religiosi. Del resto se il Cavaliere è l'unto del Signore, Monti è il "Salvatore" d'Italia. Un accostamento più esplicito al Sator cristiano-mitraneo non poteva esserci.
In effetti l'agenda omonima è come il Vangelo dei cristiani: non si può mettere in discussione. Nella sua ultima conferenza stampa da premier, come Mosè di fronte il Mar Rosso, ha diviso le acque dei buoni da quelle dei cattivi. I buoni quelli che seguiranno la sua agenda, i cattivi quelli come Berlusconi, Vendola e la Cgil che rifiutano di sottomettersi alla nuova teologia.
Non si potrebbe fare, ma dato che sono tendenzialmente eretico commenterò criticamente i passaggi più importanti.
Commento: questi tecnocrati non votati da nessuno, non vedevano l'ora di intervenire sfruttando il terrore del popolo per togliere ogni diritto, dalla scuola, al lavoro fino alla pensione, per trasformare le democrazie in oligarchie abitate da pochi eletti e un mare di schiavi.
Belle frasi, dove campeggia e si spreca la parola "democrazia", che però mal si conciliano con altre affermazioni più avanti riportate. E soprattutto con l'Europa con cui ci confrontiamo effettivamente ogni giorno, dominata da tecnici senza alcun mandato popolare. Inoltre non mi paiono parole di Monti, ma di qualche apostolo che ha male interpretato. Infatti Monti disse che l'obiettivo del'Europa non doveva essere gli Stati Uniti d'Europa, ma una maggiore integrazione economica.
"L’Europa da sola non è la ricetta che risolve i problemi dell’Italia.
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Per contare nell’Unione europea non serve battere i pugni sul tavolo.
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Per questo l’Italia, paese contributore netto al bilancio europeo e che sostiene finanziariamente lo sforzo di salvataggio dei Paesi sottoposti a programma del Fondo Europeo Salva Stati, deve chiedere all’Europa politiche orientate nel senso di una maggiore attenzione alla crescita basata su finanze pubbliche sane, un mercato interno più integrato e dinamico [ecc.]"
Questo è il capitolo dedicato, a cosa può ambire di chiedere l'Italia all'Europa. Traduzione rapida: niente. Continuare a pagare l'Efsf, evitare di protestare (pugni sul tavolo), essere remissivi e sperare che la fata austerità porti la crescita.
"l’Italia deve confermare il proprio impegno al rispetto delle regole di disciplina delle finanze pubbliche e ad assumere le priorità strategiche definite in sede europea e le raccomandazioni specifiche che l’Unione europea rivolge ogni anno all’Italia, come a tutti gli altri Stati Membri, come parametri di riferimento per la formulazione della sua politica economica."
Questo è quanto chiede invece l'Europa all'Italia: seguire l'agenda Merkel-Monti. Non c'è altra scelta, del resto un vangelo non permette di seguire altre divinità. La nostra divinità è l'Europa, e non si capisce nemmeno dove risieda. Non si sa se stia a Bruxelles o a Berlino.
Il capitolo riguardante l'Italia nel mondo, mi pare preso dal "vecchio testamento" della politica estera italiana. Niente di nuovo insomma sulla collocazione politico strategica dell'Italia nel mondo. Preferisco quindi saltarlo.
"La crescita non nasce dal debito pubblico. Finanze pubbliche sane, a tutti i livelli.
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Bisogna rovesciare la prospettiva e prendere il quadro europeo come lo stimolo a cercare la crescita dove essa è veramente, nelle innovazioni, nella maggiore produttività, nella eliminazione di sprechi.
La crescita si può costruire solo su finanze pubbliche sane."
Qui c'è un dogma di origine germanica. E probabilmente è l'errore più grave del montismo. Io credo che sia proprio il contrario: la crescita si ha con debito pubblico. E' sempre stato così, anche nei paesi anglosassoni (vedi Roosevelt dopo la crisi del '29). Solo uno Stato sovrano che può battere moneta riesce a stimolare lo sviluppo dell'economia. Con i giochini della finanza in stile Catena di Sant'Antonio, in stile schema Ponzi, non si crea sviluppo, ma bolle finanziarie come quella del 2008 negli Usa, che stiamo ancora pagando adesso.
Mi fa specie poi che si parli innovazione, quando le politiche di Monti non permettono investimenti. E quando si parla di produttività, attenzione che si intende deflazione salariale. Si vuole ottenere le stesse ore lavorate a fronte di minor salario.
Seguono nel vangelo montiano i capisaldi delle richieste europee. Gli stessi che stanno strozzando l'economia e renderanno impossibile la crescita:
- pareggio di bilancio;
- riduzione del debito al ritmo di un ventesimo all'anno (tradotto 40-50 miliardi di euro all'anno! follia pura);
- dismissioni del patrimonio pubblico, che si traduce in consegna agli stranieri delle nostre aziende pubbliche migliori.
"L’aggiustamento fiscale compiuto quest’anno a prezzo di tanti sacrifici degli italiani ha impresso una svolta.
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Per la prossima legislatura occorre un impegno, non appena le condizioni generali lo consentiranno, a ridurre il prelievo fiscale complessivo, dando la precedenza alla riduzione del carico fiscale gravante su lavoro e impresa. Questa va comunque perseguita anche trasferendo il carico corrispondente su grandi patrimoni e sui consumi che non impattano sui più deboli e sul ceto medio. Servono meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitali."
La stangata del 2012 ha aiutato a mettere a posto i conti, per esempio quelli del Monte Paschi di Siena, dice il vangelo montiano. In futuro si potrà ridurre il carico sui contribuenti quando ci saranno le condizioni. Tradotto dal montiano all'italiano: mai, fintanto che si adotteranno le misure europee su esposte. Inoltre il vangelo montiano apre al centro sinistra: dice si alla patrimoniale. Un'altra illusione come la vendita del patrimonio pubblico demaniale: il gettito della patrimoniale è insufficiente, e come si sta vedendo in Francia, produce solo l'emigrazione dei ricchi in paesi più favorevoli.
"Se la corsa della spesa pubblica non viene fermata e la dinamica del debito non è invertita, il Paese non può ripartire.
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Spending review non vuol dire solo “meno spesa”, ma “migliore spesa”.
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La spending review lanciata quest’anno ha permesso risparmiare 12 miliardi e ulteriori risparmi saranno conseguiti nel 2013, quando le misure entreranno pienamente a regime."
Belle parole del vangelo montiano che non hanno grande attinenza con la realtà. Quando si è cercato di ridurre gli sprechi si è constatato che incidevano ben poco sulla polpa viva della spesa sociale. Inoltre il sistema dei costi standard che non si è voluto prendere in considerazione, sarebbe stato più efficiente dei tagli lineari poi scelti. L'unica spending review che ha funzionato è stato tagliare i trasferimenti agli enti locali, che in definitiva significa scaricare il default dello Stato centrale sugli enti periferici. Infatti molti di questi rischiano il fallimento.
"Una pubblica amministrazione più agile, più efficiente, più trasparente. Usare meglio i fondi strutturali europei
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Entro i primi 100 giorni di attività del nuovo governo dovrà essere lanciata una consultazione per identificare le 100 procedure da eliminare o ridurre con priorità assoluta.
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Lo spreco dei fondi strutturali dell’Unione europea, un’occasione unica di investimento per la crescita nelle regioni del nostro Mezzogiorno, è uno scandalo che il nostro Paese non può più permettersi. Non si possono chiedere risorse allo Stato, e quindi ai contribuenti, mentre si lasciano svanire risorse europee, che sono peraltro anch’esse finanziate dal contribuente italiano."
Ecco qui l'unica crescita possibile: sfruttare al massimo i fondi europei, perché quelli dello Stato italiano non ci sono e non ci saranno più (continuando con Monti). Eliminare o ridurre 100 procedure è un'ottima idea, ma pensare di farlo con questi partiti politici è veramente complicato. Non ce li vedo ex democristiani ed ex comunisti ridurre gli iter burocratici: è contro la loro indole e la loro forma mentis.
Nel capitolo successivo Monti fa un auto elogio alle privatizzazioni del suo governo, il cui impatto sull'economia mi pare sia in realtà molto trascurabile.
"Ed è stata un contributo ad accrescere l’equità, favorendo gli outsiders e i nuovi ingressi nel mercato. Sono stati interessati gli ordini professionali, banche ed assicurazioni, i mercati del gas e dei carburanti, i trasporti, le farmacie, i servizi pubblici locali, per citare solo alcuni settori."
E quindi? cosa è cambiato? mha.... Piccoli ritocchi qua e la che non hanno inciso di nulla. Soprattutto sui costi d'impresa e i costi finali all'utenza.
Ed inoltre se le liberalizzazioni continuano a trasformarsi in continui aumenti tariffari sui servizi di base, difficilmente saranno considerate positivamente dagli elettori. Anche su queste tema andrebbe fatto un po' di revisionismo. Non tutto può e deve essere privatizzato: ci sono servizi che è meglio rimangano pubblici, proprio perché si rivolgono ad utilizzatori di base che non si possono permettere tariffe piene, ma solo tariffe pubbliche simboliche.
Ancora una volta si cade nell'errore di considerare lo Stato un'azienda che deve fare utili: l'amministrazione pubblica deve anche prendere in considerazione di lavorare in perdita, perché la sua missione è un'altra.
"ILVA, IRISBUS, ALCOA sono solo alcuni dei nomi delle oltre trecento vertenze che in questi mesi hanno segnato la cronaca delle crisi industriali.
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Riduzione degli oneri burocratici, tribunali per le imprese, promozione di fonti di finanziamento alternative, come la possibilità di avere obbligazioni societarie o l’agevolazione fiscale per i project bonds, la defiscalizzazione per le imprese che investono (ACE), la riduzione dei ritardi di pagamento dell’amministrazione alle imprese, revisione degli incentivi alle imprese, riduzione dei costi di approvvigionamento energetico sono stati alcuni dei fronti di azione
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Per gestire le ristrutturazioni industriali si può immaginare uno strumento nuovo, un Fondo per le ristrutturazioni industriali, che faccia da catalizzatore per la partecipazione di capitali privata.
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Bisogna quindi continuare sulla strada del decentramento della contrattazione salariale lungo il solco dell’accordo tra le parti sociali dell’ottobre scorso."
In questa parte del programma, ci sono avvertimenti e promesse per gli industriali. Questa importante corporazione, in realtà non è più autonoma e potente come un tempo, e dipende come i suoi lavoratori, dal potere della finanza. Infatti Monti afferma in queste frasi tre cose: mai più finanziamenti pubblici alle imprese; le imprese devono finanziarsi sul mercato con strumenti finanziari privatistici; lo Stato può offrire al massimo una contrattazione (decentrata) sindacale più favorevole.
Non c'è nemmeno un'ombra di Piano industriale per il paese.
Delegare tutto al mercato, quando questo non funziona è un altro grave errore. Certo la Fiat ed altre grandi imprese hanno preso miliardi di lire e milioni di euro dallo Stato, ma oggi che l'industria italiana sta declinando velocemente, è proprio il momento di fare recriminazioni sul passato, o è meglio preoccuparsi della sua sopravvivenza?
"La crisi ha accelerato la corsa delle economie emergenti, dove maggiore è l’espansione della domanda e si accumulano nuovi capitali. Nella zona euro, le economie che hanno attraversato meglio la crisi sono quelle che hanno saputo cogliere le opportunità poste dalla crescita dei mercati extraeuropei. Tra le imprese italiane, quelle più grandi, più produttive e più innovative hanno saputo difendere e aumentare le loro quote di export, mentre soffrono le piccole e medie imprese, che fanno più fatica ad uscire dal mercato domestico. Nel complesso, negli ultimi dieci anni l’Italia ha perso quasi il 30% della sua quota nel commercio mondali dei beni.
Adesso si è iniziato a invertire la rotta."
Ecco un altro suggerimento per l'industria italiana: il mercato interno è definitivamente compromesso, morto e sepolto, l'unica possibilità sono le esportazioni. Cioè il modello tedesco. E poi Monti dice che la sua agenda non è quella della Merkel.
Un'economia basata unicamente sulle esportazioni è fragile, perché dipende da situazioni esterne non controllabili. Anche questo è un errore strategico molto grande.
Il vangelo montiano si occupa anche di istruzione e innovazione. Certo, è importante garantire preparazione appropriata di studenti ed insegnanti come afferma la sua agenda, ma se si evitasse di far crollare i soffitti delle scuole e di far fallire gli atenei senza fondi, forse sarebbe un metodo migliore per garantire un buona formazione.
Per la digitalizzazione dell'amministrazione italiana, il governo Monti ha agito nella direzione giusta. Ma chiaramente saranno i successivi a dover mettere in pratica l'Agenda digitale e come al solito è nella messa in pratica delle fonti normative, che vengono fuori le magagne. In Italia si fanno buone leggi, ma poi si applicano pessimamente. Sicuramente poi accadrà che la digitalizzazione sarà rallentata a causa della mancanza di fondi.
"Agli sforzi già in atto per ridurre e differenziare la produzione di rifiuti, che vanno mantenuti e, se possibile, rafforzati, occorre affiancare sia una produzione efficiente in grado di allungare il tempo di vita dei prodotti, sia un rilancio del riciclo, in linea con i migliori esempi europei dove lo smaltimento in discarica è stato azzerato. Gli standard di qualità europei ci chiamano a cambiare la nostra mentalità in relazione alla gestione dei rifiuti, privilegiando, laddove possibile, il riciclaggio e riutilizzo.
Serve puntare ad un risultato di abbattimento degli smaltimenti (in Italia riguarda tra il 50-‐60% dei rifiuti). Per questo serve promuovere l’innovazione aprendo i mercati a prodotti realizzati con materiali riciclati, che dovrebbero essere certificati e garantiti, e alla produzione e l’utilizzo di materie prime biodegradabili cambiare certe abitudini degli italiani. Occorre anche cambiare certi atteggiamenti per creare una vera domanda per le materie “verdi”.
Questa parte dell'agenda sui rifiuti, sembra incredibilmente estrapolata dal programma del Movimento 5 stelle. Non si parla di termo-valorizzatori, ma di riciclo completo dei rifiuti. Monti non pare in questo caso correre incontro alla lobby dei costruttori italiani. Ma in effetti questi, ormai sono sotto il tallone della lobby bancaria. Dell'industria edilizia italiana, a Monti non importa nulla. Infatti è un'industria che si affida al mercato interno, e non alle esportazioni, quindi ormai la considera persa.
"Serve infine procedere ad uno snellimento e semplificazione della governance nel mondo dell’energia, riprendendo la proposta di modifica del titolo V della Costituzione - per riportare allo Stato le decisioni in materia di infrastrutture energetiche - accompagnata dall’introduzione, sulla base dell’esperienza dei Paesi nordeuropei, dell’istituto del “dibattito pubblico”."
Anche se non è scritto, qui si parla di rigasificatori, che oggi sono difficili da realizzare senza consenso di regioni e popolazione locale. L'agenda Monti è comunque molto lacunosa sulla politica energetica nazionale. Anche qui non mi pare ci sia molto per costruire un piano energetico nazionale.
Ci sono poi due doverosi (nel senso che non potrebbero mancare) capitoli su agricoltura e turismo. Contengono buoni propositi, ma per la verità mi sembrano i soliti luoghi comuni, con proposte che circolano da tempo. Per niente nuove. Il problema è che rimangono sempre solo proposte che girano da un programma di partito all'altro. E' indubbio che la nostra agricoltura è in sofferenza e che l'industria turistica è stata lasciata a se stessa e non riesce ad esprimere tutta la sua potenzialità.
Veniamo al welfare:
"La riforma delle pensioni ha dato al Paese il sistema più sostenibile e avanzato in Europa. Il Governo è intervenuto sotto la pressione dell’emergenza per correggere anomalie e distorsioni accumulate nel tempo. Non possiamo permetterci di sprecare questo risultato. Guardando avanti, al primo posto delle priorità vi è l’esigenza di un’efficace informazione ai singoli lavoratori circa le pensioni che essi possono ragionevolmente attendersi di ricevere, in modo che possano meglio pianificare il loro futuro e i loro risparmi. A ormai quasi vent’anni dalla loro introduzione nel nostro sistema i fondi pensione integrativi non sono decollati. Va quindi dato un nuovo impulso alla previdenza complementare favorendone anche la crescita dimensionale con incentivi ai processi di fusione tra i fondi.
Dal canto suo la riforma del mercato del lavoro rappresenta un passo avanti fondamentale del nostro Paese verso un modello di flessibilità e sicurezza vicino a quello vincente realizzato nei Paesi scandinavi e dell’Europa del nord. Non si può fare marcia indietro."
Anche nel campo del welfare, la sua distruzione viene propagandata come una grande conquista. E si mette in guardia la sinistra-sinistra dall'intervenire per ritornare indietro. E' una conquista interpretata nel solco delle "riforme" non-riforme fatte dal governo Monti. Da quel che compare nel programma-agenda, l'intenzione dei montiani è quella di trasformare il sistema pensionistico da pubblico a semi privatistico. Dove i lavoratori, con i risparmi che non hanno, dovrebbero pagarsi un fondo pensione. Ma quante cose dovrebbero fare i lavoratori italiani con i soldi che non hanno? pagare di più i servizi, finanziare a debito i consumi, pagarsi medicine ed ospedali, e poi anche le pensioni...
"Un Welfare per il nostro tempo. La persona è il primo capitale da proteggere.
L’Europa e la sua agenda di disciplina delle finanze pubbliche e riforme strutturali sono nemiche del welfare? No.
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Di per sé l’Europa non limita i modi in cui si possono perseguire fini sociali e di equità, ma impedisce di finanziarli con una illimitata creazione di debito. E ci impone di capire che il modello che abbiamo costruito si sta incrinando sotto il peso del cambiamento demografico e della sempre più difficile sostenibilità finanziaria.
Abbiamo due alternative. O cercare di conservare il welfare state com’è, rassegnandoci a tagli e riduzioni di servizi per far fronte ad una spesa sempre crescente. O provare a rendere il sistema più razionale e aperto all’innovazione. Nel settore dell’assistenza sanitaria bisogna garantire il diritto alla tutela della salute in un nuovo contesto, organizzando il sistema sanitario secondo i principi di appropriatezza delle cure, costo/efficacia, riduzione al massimo degli sprechi, gestione manageriale basata su una valutazione trasparente dei risultati. "
Qui, nella parte riguardante la Sanità, c'è un'altro importante punto della filosofia montiana ed europea, che non si concilia con uno Stato di diritto. Si ha diritto al welfare fin tanto che è possibile. Non potendo lo Stato fare deficit, se mancano soldi a bilancio, l'unica alternativa è tagliare i servizi. Naturalmente ci rimettono sempre i più deboli. Anche questa è una pesante conseguenza dell'adozione dell'euro, senza un vero Stato centrale europeo.
Anche la parte di agenda che si occupa di disoccupazione, è troppo ottimistica e generica, benché contengano dei buoni spunti:
"creare un reddito di sostentamento minimo, condizionato alla partecipazione a misure di formazione e di inserimento professionale.
...
Occorre aprire professioni e mercati ai giovani e ai nuovi entranti e garantire l’accesso alla pubblica amministrazione basato su concorsi generali e imparziali.
...
Servono infine strumenti che incoraggino a essere più mobili, più intraprendenti, ad esempio con più borse di studio e orientamento professionale per i giovani che meritano ma non hanno minori mezzi personali e familiari"
...
La modernizzazione del mercato del lavoro italiano richiederà inoltre di intervenire
per:
-una drastica semplificazione normativa e amministrativa in materia di lavoro. ...
-il superamento del dualismo tra lavoratori sostanzialmente dipendenti protetti e
non protetti (verso quale direzione? ndr)
-ridurre a un anno al massimo il tempo medio del passaggio da un’occupazione
all’altra rendendo più fluido e sicuro il passaggio dei lavoratori dalle imprese in crisi ...
-coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo
possibile di sicurezza economica e professionale dei lavoratori nel mercato del
lavoro
-spostare verso i luoghi di lavoro il baricentro della contrattazione collettiva, ..."
Sono quasi tutte cose di buon auspicio (alcune molto ambigue), ma temo largamente insufficienti per fronteggiare una crescente disoccupazione (30% quella giovanile) che non può essere arginata con corsi-concorsi e borse di studio. Qui ci vuole una crescita del Pil vera, una crescita da New Deal.
Il vangelo montiano, si occupa poi anche di revisione della II parte della Costituzione, quella che regola il funzionamento dello Stato. Su questa parte della Costituzione si era già cimentato il centro destra, introducendo una riforma poi bocciata dal referendum consuntivo. Le idee montiane sembrano riprendere quelle stesse linee:
"La prossima legislatura dovrà affrontare, da subito, il tema di come rendere le decisioni più efficaci e rapide, come riformare il bicameralismo e ridurre i membri del Parlamento.
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Un federalismo responsabile e solidale
che non scada nel particolarismo e nel folclore è fondamentale. Nei mesi passati le riforme che dovevano aggiornare l’assetto territoriale dello Stato e modernizzarlo, come la riforma delle province o la riforma del Titolo V della Costituzione si sono incagliate. Non si può perdere altro tempo."
Sul federalismo l'agenda Monti è contraddittoria. Da un lato lo si auspica, dall'altro si boccia il federalismo del centro sinistra, cioè il nuovo Titolo V della Costituzione. Il provvedimento di cancellazione e revisione delle province si può definire federalista? Mi pare invece una riorganizzazione dello Stato centrale subita dalle autonomie locali, che di federalismo ha ben poco.
"Si parla molto dei risultati dei governi. Giustamente. Si parla molto meno però del metodo che serve per ottenere risultati. I riti della concertazione. La fila dei lobbisti fuori dalle aule delle Commissioni parlamentari mentre si discutono i provvedimenti. La giungla dei metodi di bilancio diversi per lo Stato e ciascuna delle Regioni. Sono alcune immagini di un processo di formazione delle politiche che segue canoni datati o che segue un non metodo.
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Bisogna andare avanti nella strada di una migliore e più efficace governance pubblica: bisogna introdurre una regolazione dell’attività delle lobby, bisogna assicurare una logica di monitoraggio e di valutazione della legislazione così da assicurare trasparenza, costante informazione sullo stato di attuazione dei provvedimenti, una valutazione oggettiva dei risultati ottenuti come base per le nuove riforme. Bisogna armonizzare i bilanci pubblici."
A Berlusconi come a Monti non piace il metodo della concertazione. Vogliono poter decidere senza veti, senza controlli, come i manager in un'azienda. Per questo hanno dei punti di programma in comune: anche Berlusconi sostiene che lo Stato è strutturato in modo che non si riesca ad ottenere decisioni rapide e nella direzione da lui voluta. Probabilmente è vero che la pressione delle lobby, ed anche delle organizzazioni sociali, andrebbe regolamentata, ma non annullata. Il premier non può comportarsi come un dittatore sudamericano che decide cose astruse contro o a favore di alcuni.
Poi c'è tutta una tirata, nel vangelo montiano, al riguardo della casta, corruzione, evasione fiscale ecc. Tutte cose che vanno combattute, ma che secondo me non compenseranno mai i miliardi di euro che ci farà tossire l'Europa. Questo esercizio di confrontare la corruzione, anche la peggiore, con i costi che ci ha imposti il governo Monti e l'Europa, l'avevo già compiuto qui "
Chi ruba di più in Italia?".
Per quanto il tema tocchi le corde sensibili dell'opinione pubblica, credo si tratti di cose di cui debbono occuparsi inquirenti e magistratura e non i governi nazionali. Questi si devono confrontare con numeri di bilancio ben diversi, che la corruzione varia i maniera impercettibile.
Ed infine un capitolo sulla lotta alla criminalità organizzata non poteva mancare, anche se mi pare contenga dei buoni propositi che si possono trovare nei programmi di qualsiasi altro partito.
Si insiste sulle limitazioni dell'uso del contante, per rendere tracciabili i passaggi di denaro. Questo anche ai fini degli accertamenti fiscali. Non c'è alcuna differenza per un utente finale, nel pagare con banconote, con una carta o con il cellulare. L'importante che ogni forma di pagamento non contenga forme di prelievo nascoste. Se ad ogni strisciata di carta di credito, una piccola quota va alle banche, allora per l'utente finale non c'è alcun vantaggio nell'uso di questi strumenti e si continuerà a preferire il contante. Se poi si verrà costretti a forme di pagamento tracciabili senza controllo dei costi di questi mezzi, saranno in due a rimetterci: l'economia interna con una riduzione degli acquisti, e la popolarità del governo che avrà preso questi provvedimenti.
L'estensore del vangelo montiano parrebbe essere, secondo voci circolanti, il Senatore Ichino ora ex Pd. Se fosse vero mi chiedo cosa ci facesse in un sedicente partito di sinistra, un personaggio con idee del genere. Questa è un'agenda liberista, in cui lo Stato viene trattato da appestato. Ma il motivo per cui lo si fa, è ancora una volta a causa dell'euro.
Essendo questa una moneta che l'Italia deve acquistare perché non può stamparla autonomamente, lo Stato italiano si deve comportare come un'azienda. Deve andare in pareggio come un'impresa che poi si deve recare con il suo bilancio in banca a chiedere un fido: non importa se poi non c'è la crescita, se poi il welfare viene tagliato, se alcuni enti territoriali falliscono, se le industrie chiudono ecc.. L'importante è mantenere i conti a posto. Questa è l'essenza e il vero costo della moneta unica così com'è strutturata oggi.
Questi tecnocrati non possono comportarsi in modo diverso da Monti. Anche perché l'equilibrio è fragile: se lo Stato fallisce, allora saltano anche gli attuali oligarchi che da sempre controllano l'amministrazione pubblica, intrecciata pesantemente con gli interessi privati. In caso di default, il popolo potrebbe chiedere il conto a questi figuri, e magari mandare al diavolo anche l'euro e l'Europa, innescando processi analoghi all'estero.
In questo contesto Monti è un curatore fallimentare, con il compito però di passare per salvatore della patria. In parte è riuscito nell'intento, in parte no. Ed è per questo che preferisce lasciare un'eredità di chiacchiere, piuttosto che confrontarsi direttamente con le urne. Perlomeno Berlusconi ci mette la faccia (sempre che sia ancora la sua originale) ...