Dopo Cipro, il Sole24ore non è più germanofilo. Un titolo così ostile e pieno di sospetti sul giornale dei nostri centri finanziari ed industriali non me lo sarei aspettato:
Cipro, dietro al piano di salvataggio ci sono 5,8 miliardi di crediti che la Germania ora rivuole
Ma evidentemente con Cipro si è passato il segno, ed ora qualcuno molto in alto teme che il modello Cipro venga esportato nel resto del sud Europa. Messa così la cosa, rende ragione a Tremonti. L'ex ministro ha ragione quando afferma che il drenaggio fiscale di Monti in Italia è servito non a ridurre il nostro debito, ma ad ingrassare e risanare le banche tedesche.
"Quale è l'importo che l'Unione europea ha deciso lo scorso week end di ottenere dal prelievo forzoso sui conti correnti a Cipro? 5,8 miliardi (grafico). E quale è l'esposizione finanziaria delle banche tedesche nei confronti della piccola isola del Mediterraneo? 5,8 miliardi (fonte Banca dei regolamenti internazionali). Una coincidenza? No per i cittadini ciprioti, che stanno protestando massicciamente in piazza e ce l'hanno soprattutto con Angela Merkel : slogan, maschere e jingle sono praticamente a senso unico contro la Germania e la sua cancelliera che a quanto pare (e se i numeri non sono un'opinione) avrebbe avuto un ruolo da protagonista nella proposta choc del prelievo forzoso sui conti correnti a Cipro (con l'avallo, secondo indiscrezioni, anche di Olanda e Finlandia).
Alle critiche sulla natura della proposta si aggiungono anche le polemiche sul timing. Il diktat europeo - che dovrà però passare per il parlamento cipriota che secondo le prime indicazioni sarebbe contrario, oltre a ricevere poi l'avallo degli altri 16 Paesi dell'euro - è arrivato in concomitanza del ponte festivo culminato con il "lunedì pulito" (l'equivalente italiano del mercoledì delle ceneri). I più scettici ipotizzano che l'idea di lanciare questa proposta choc durante un periodo di festa (quando gli animi sono più rilassati) sia stata premeditata per avere più chance di far "indorare la pillola".
I critici sanno anche che il 2013 per la Merkel e per la Germania non è un anno qualsiasi: a settembre si torna al voto. Così, il rebus dei salvataggi europei diventa automaticamente anche una questione elettorale.
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In questa occasione la posizione dei socialdemocratici si è irrigidita dato che "vedono" Cipro come il Paese dove gli oligarchi russi eludono il fisco e dove passano molti capitali in aria di riciclaggio.
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E poi c'è un'altra strana coincidenza che sollevano coloro che sono critici sull'ingerenza del modello tedesco nella gestione complessiva della crisi dell'Eurozona. Se Cipro e Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) sono solo dei Paesi corrotti e spendaccioni (la principale accusa che viene posta dai rigidi sostenitori di politiche di austerity) come mai ogni volta che scoppia una crisi in questi Paesi viene fuori che la Germania è sempre in cima nella lista dei Paesi creditori? Perché il Paese più virtuoso dell'Eurozona (a quanto ci dice il mercato dei debiti sovrani) avrebbe dato credito negli ultimi anni a Paesi così poco meritevoli?"
Già, perché? come mai? C'entrerà forse qualcosa il discorso sulle aree economiche non omogenee e la moneta unica? io un sospetto ce l'ho.
"Abbiamo già scritto della resistenza della Germania a proposito della supervisione della BCE nei confronti del sistema bancario europeo e l’accordo che prevede la supervisione sulle banche con oltre 30 miliardi di assets è stato salutato com chissà quale conquista.
Quante sono in Europa le singole banche con assets sopra i 30 miliardi, un centinaio circa su oltre 6000 complessive, meno del 2 % fantastico!
Abbiamo visto che in Germania a parte le voragini Deutsche BanK e Commerzbank delle Sparkassen tanto care al potere politico forse solo quella di KölnBonn arriva a quel livello il resto è desaparecidos.
Ora date un’occhiata all’esposizione delle banche tedesche, ma non solo in sequenza dal 2009 ad oggi e soprattutto confrontatele nel primo grafico con quelle italiane …
(nda vedi a inizio post)
Chiaro no e se non è chiaro ve lo spiego io!
Con quali soldini pensate che gli italiani o i greci o i portoghesi, gli irlandesi o gli spagnoli, hanno alimentato bolle commerciali o immobiliari in giro per l’europa, mentre gli austeri cittadini tedeschi non spendevano un solo euro per alimentare consumi o comprarsi un immobile.
Leasing, credito al consumo, credito ipotecario e tanta, tanta illusione, fornita dalla premiata ditta German Banks & Bundesbank che chiudeva un occhio, anzi due pure le orecchie, mentre le loro banche levereggiavano il rischio scommettendo sul fenomeno subprime al punto di meritarsi l’appellativo di “idioti di Dusseldorf” per avere ripulito la spazzatura americana a proprie sperse o scommettendo sulle bolle immobiliari di mezza Europa, sovvenzionando le banche di quei paesi, magari anche per comprare qualche sommergibilino o carro armato alemanno.
Poi all’improvviso puff la bolla e scoppiata e il bimbo tedesco, le banche tedesche si sono messe a frignare con mamma Merkel, io non centro nulla, io non sono stato, io non sono mica responsabile degli investimenti e del credito che ho fatto in mezzo mondo se quelli straccioni non me lo restituiscono, noi banche tedesche non sappiamo cosa sia il rischio d’impresa.
Ecco allora che mamma Merkel, invece che lavare i pannolini dei suoi bimbi in casa, con dentro tutta la paura per i crediti persi, si è precipitata a scuola presso il consiglio dei professori europei minacciando il veto di qua e il veto di la se gli altri genitori non avessero sottoscritto un fondo di salvataggio filantropico, il fondo ESM con il quale aiutare i bambini poveri dei paesi sottosviluppati del club MED imponendo loro nel frattempo un sana dieta austera a tutti coloro che in questi anni si erano sporcati le mani di Nutella.
E fu cosi che grazie allo spirito di sacrificio di mamma Merkel e dei suoi pargoli, Grecia, Irlanda Spagna e Portogallo, poterono distribuire alle loro banche gli aiuti umanitari provenienti in larga parte da tutti i paesi europei, con l’Italia terzo maggiore contribuente, contribuente, lasciando gocciolare il succo residuo marca “trickle down” per lo stato sociale e la sopravvivenza, giusto in tempo per permettere a questi paesi di restituire alle banche tedesche buona parte dei prestiti elargiti in questi anni."
(icebergfinanza.finanza.com)
Per chi volesse capire perché i tedeschi all'improvviso si sono comportati come pazzi prestando a destra e sinistra qualsiasi cifra a qualsiasi mutuatario (anche evidentemente insolvente) e poi si sono altrettanto improvvisamente rinsaviti ed hanno preteso i soldi indietro, consiglio una favola. Ce la racconta Bagnai (Il romanzo di centro e periferia):
Fra centro e periferia l’attrazione è subitanea e fatale (soprattutto per la periferia), ma, come in ogni trama che si rispetti, la diversità di origini pone qualche problema.
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Il centro è un ragazzo moderno, spregiudicato, mentre la periferia è una ragazza all’antica, risparmiatrice, saggia, e un po’ repressa.
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la periferia è, come dicono gli economisti, un po’ repressa finanziariamente, il che significa, in buona sostanza, che nella periferia lo Stato mantiene un certo grado di controllo sul circuito del risparmio e dell’investimento.
Ad esempio, pensate un po’ che idea bislacca, nella periferia si considera la politica monetaria come uno strumento a disposizione dell’azione del governo, da mantenere, sia pure in forma mediata, sotto il controllo della sovranità democratica dei cittadini. Avete capito bene: è esattamente quello che gli intellettuali della nostra sinistra definirebbero “populismo”,
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La periferia è repressa e populista, e da questo scaturiscono tutta una serie di vetuste pratiche: la banca centrale non è “indipendente” (che poi significa indipendente dai lavoratori, ovviamente, non dai capitalisti), e una serie di istituzioni finanziarie (banche, fondi pensione) sono sotto il diretto o indiretto controllo dello Stato; il costo del denaro quindi non è fissato ad arbitrio del mercato, ma è gestito, indirizzato, dallo Stato; e per realizzare questo obiettivo i movimenti internazionali di capitali sono sottoposti a controlli, perché altrimenti i capitali fuggirebbero in cerca di miglior remunerazione altrove; ma non solo i deflussi, anche gli afflussi di capitali sono controllati, dalla periferia repressa: l’idea moderna che le aziende (pubbliche o private) nazionali siano lì per essere messe in vendita al miglior offerente, questa idea tanto progredita, nella periferia ancora non è arrivata; e questo vale soprattutto in ambito finanziario, dove si applica alle banche estere quel principio che i paesi progrediti applicano solo ai lavoratori esteri: “Io non sono razzista, basta che ognuno stia a casa sua”; principio che fa rabbrividire quando è applicato alle persone, e anche quando non è applicato alle banche; invece, guarda un po’, la periferia è talmente repressa che perfino le istituzioni finanziarie nazionali vengono controllate dallo Stato, che impone loro vincoli di portafoglio, che poi significa che queste istituzioni sono obbligate ad acquistare una certa quota di titoli del debito pubblico; e impone anche massimali sul credito, che significa che le banche non possono prestare troppo, cioè che i privati non possono indebitarsi troppo; del resto, nemmeno lo Stato si indebita troppo, e anzi il suo debito in rapporto al Pil scende, perché i tassi di interesse sono tenuti sotto controllo, e quindi non è necessario rincorrere, aumentando la pressione fiscale e diminuendo la spesa per i servizi essenziali, l’esplosione della spesa per interessi (che poi significa redistribuire reddito dai contribuenti che contribuiscono ai detentori dei titoli del debito... che spesso non contribuiscono). ...
fino agli anni ’80 questo mondo è stato il nostro mondo, il mondo occidentale, ed è ormai chiaro che occorre che torni nuovamente a esserlo.
Comunque, quel mondo ora non è più il nostro, e quindi così non va: il centro, che è un ragazzo evoluto, non può mica presentare ai propri genitori, i mercati, una ragazza così fuori moda! E allora il centro “suggerisce” alla periferia qualche riforma, anzi, due riforme a caso, sempre quelle: l’adozione di un tasso di cambio fisso e la liberalizzazione, dei mercati finanziari, e anche, a valle, dei movimenti internazionali di capitale.
Il centro, che è un po’ un furbetto, ottiene così due vantaggi. Vantaggio numero uno: in periferia la liberalizzazione dei mercati finanziari necessariamente fa salire i tassi d’interesse. Pensate: lo Stato non può più contare su una serie di acquirenti istituzionali per i suoi titoli (non la Banca centrale, che diventa “indipendente”; non le banche e i fondi pensione, che piano piano passano in mano al settore privato), e quindi per finanziarsi deve offrire tassi d’interesse più alti.
Ma anche i tassi del settore privato vengono liberalizzati, e quindi tendenzialmente crescono. Pensate: in periferia di capitali in effetti bisogno ce n’è, visto che, come abbiamo detto, la sua base industriale è arretrata, il che necessariamente comporta che i tassi d’interesse tendano ad essere alti. Ma prima, quando la periferia era repressa, lo Stato in qualche modo controllava il costo del denaro, mantenendolo entro limiti da lui stabiliti.
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Ma ora i controlli quantitativi vengono aboliti: che brutta cosa, sa di economia pianificata, mica siamo bolscevichi! Il mercato sa cosa fare, lasciamo che domanda e offerta siano guidate dal prezzo, liberalizziamo i tassi!
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Ma... forse avete dimenticato un dettaglio. Eh già! Abbiamo liberalizzato anche i movimenti internazionali di capitali. E allora cosa succede? Succede che i creditori del centro, le grandi banche del sistema maturo, attirati dai tassi più alti, esportano i capitali in periferia. Capitali ne hanno, e come! Il centro ha un’industria che guadagna bene, e gli industriali non son soliti tenere i soldi sotto il materasso, sapete? Quindi le banche del centro i soldi ce li hanno, e li spostano in periferia, dove lo Stato e i privati pagano interessi più alti che nel centro, maturo, sazio e repleto di capitali.
Come fanno? In mille modi: aprono filiali delle loro banche nella periferia (ora si può); aprono finanziarie che gestiscono il risparmio o erogano credito al consumo (ora si può); magari integrano queste finanziarie nelle catene di distribuzione (supermercati, concessionarie) che nel frattempo si sono acquistate (ora si può); e poi possono sempre intervenire nei mercati borsistici e acquistare pacchetti di controllo di aziende nazionali (ora si può); e se qualche azienda nazionale che fa bei soldi fosse, malauguratamente, pubblica, non c’è problema: si comprano due o tre giornali (ora si può) e un po’ di ministri (questo si è sempre potuto), e si comincia a diffondere ventiquattro ore su ventiquattro l’idea che lo Stato è inefficiente e fonte di ogni male, e che quindi bisogna privatizzare le aziende pubbliche, partendo da quelle che funzionano, e il gioco è fatto.
Illustri economisti, dalle colonne di prestigiosi quotidiani, annuiranno compiaciuti.
Ma perché siamo partiti dalla fissazione del cambio? Ma è semplice! Perché i capitalisti del centro desiderano (legittimamente) lucrare lo spread, la differenza, fra i tassi d’interesse, senza patire rischio di cambio, cioè senza correre il rischio che la periferia svaluti, come sarebbe in fondo naturale per un paese che diventa importatore netto di capitali e quindi di merci. In fondo non c’è nulla di male: giochi innocenti, purché si sappia smettere al momento debito (cioè: al momento giusto, ma non so perché mi è venuta la parola “debito”).
E poi, pensateci un momento. Se anche i tassi d’interesse fossero uguali al centro e alla periferia, fissando il cambio, un effetto comunque lo si ottiene. Sapete quale? Ve lo dico subito: aumenta lo spread. “Come?” direte voi “Ma adottando un cambio credibile non si abbassano forse gli spread, com’è successo in Europa, dove i greci e gli spagnoli hanno potuto beneficiare di tassi tedeschi?” Aspettate un attimo: al vostro ragionamento manca un pezzo.
Se si effettua un investimento in un’altra valuta, nel rendimento complessivo bisogna anche considerare la rivalutazione o svalutazione attesa di questa valuta. Esempio pratico: prima dell’euro, il tedesco che prestava allo spagnolo doveva guardare non solo ai tassi d’interesse (più alti in Spagna), ma anche a cosa avrebbe fatto il cambio. Ti serve a poco guadagnare un punto di interesse in più prestando a Carlos anziché a Hans, se poi Carlos svaluta, poniamo, del 4%, giusto? Dice: ma noi quando parliamo di spread confrontiamo solo due tassi di interesse, mica parliamo di cambio. E certo, appunto: oggi il cambio non c’è più: è 1 euro (italiano) per 1 euro (tedesco). Per questo non parliamo di cambio, perché il cambio non c’è. Ma quando c’era se ne parlava.
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L’arrivo di liquidità in periferia apre nuove opportunità d’investimento e di consumo, sia perché l’afflusso di denaro dall’estero, piano piano, dopo la fase iniziale, fa diminuire tassi e spread (legge della domanda e dell’offerta), sia perché la liberalizzazione dei mercati finanziari crea nuove possibilità di spesa. Nel mondo represso non si “fanno le rate” per un televisore. In quello libero sì. Gli economisti li chiamano “mercati finanziari perfetti”, quelli dove si può avere tutto subito, perché trovi sempre qualcuno che ti finanzia, ovviamente pagando un prezzo. Quindi la periferia è euforica: le sembra di toccare il cielo con un dito: titillata dai capitali del centro raggiunge vette di piacere consumistico per lei insospettate fino a pochi mesi prima. Orgasmi multipli, lubrificati dalle rate: nuova automobile, nuovo frigorifero, nuovo televisore... Per non parlare della possibilità di contrarre mutui per acquistare prime, e anche seconde case (perché spesso, nella periferia, la prima casa una famiglia ce l’ha)...
Come avrete capito, qui subentra il secondo vantaggio per il centro: drogando coi propri capitali la crescita dei redditi della periferia, il centro si assicura un mercato di sbocco per i propri beni, che i cittadini della periferia possono ora acquistare grazie agli effetti diretti e indiretti di un più facile accesso al credito.
Insomma: è la solita storia. Il centro versa da bere, la periferia, distratta (d’accordo, non sempre), beve, e accorda al centro gli estremi favori... dei suoi cittadini, che comprano, comprano, comprano, assorbendo il sovrappiù del maturo sistema industriale del centro.
Inizia la parte triste della storia.
La periferia si gonfia.
E anche qui siete fuori strada: non è una gravidanza, ma una bolla.
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Una bolla è lo scostamento del prezzo di un’attività finanziaria dal suo valore fondamentale.
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Capite cosa vuol dire che il prezzo si scosta dal valore fondamentale? La matematica finanziaria ci insegna che con tassi al 5%, ha un senso pagare 20 un pezzo di carta che ogni anno ti paga un reddito di 1. Ma se per qualche motivo quel pezzo di carta lo vogliono tutti, tu magari ti trovi a pagarlo 100, e lo fai volentieri, perché pensi che dopodomani lo vendi a 150. Perbacco! Vuoi mettere il 50% in due giorni rispetto al 5% in un anno?
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E la bolla immobiliare? Semplice: tornate indietro di qualche riga, sostituite alla parola “azione” la parola “appartamento”, e alla parola “dividendo” la parola “affitto”, ed ecco la bolla immobiliare. La quale, però, una differenza ce l’ha: che gli appartamenti sono meno “liquidi” delle azioni: non basta telefonare al proprio promotore finanziario per disfarsene...
Insomma: la periferia, grazie ai capitali esteri, cresce. Crescono i consumi, crescono anche gli investimenti. Allettati dalla sua crescita, i mercati convogliano verso di essa capitali in misura sempre maggiore, tanto più che la crescita drogata dal debito privato (i capitali esteri prestati a famiglie e imprese) causa un miglioramento delle finanze pubbliche: il rapporto debito pubblico/Pil si stabilizza o scende. I grulli (o i furbi?) per i quali “l’unico debito è quello pubblico” sono così rassicurati. Quanto sembra virtuosa la periferia agli sceriffi (ingenui o conniventi?) del Fondo Monetario Internazionale! Vedi? La periferia è una brava ragazza, ha fatto quello che dicevamo noi, gli sceriffi: si è data un cambio “credibile” (infausto eufemismo), si è fatta un tantinello zoccola, cioè si è liberalizzata, e i risultati si vedono...
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ormai quello che attira i capitali in periferia non è il tasso d’interesse, il rendimento a lungo termine, ma il guadagno in conto capitale, la crescita convulsa del prezzo delle attività.
Nell’economia drogata sale la febbre: l’accesso al credito facile fa salire l’inflazione, e se all’inizio ci si rivolgeva all’estero per comprare beni di lusso, col tempo i prodotti esteri diventano competitivi anche sulle fasce più basse, perché i prezzi interni sono cresciuti, quindi il deficit commerciale si approfondisce, e occorrono nuovi capitali esteri per finanziarlo. Del resto, lo abbiamo detto prima: un importatore netto di capitali è anche un importatore netto di beni.
Proprio così: drogata, la periferia è drogata di capitali esteri, e la dose deve essere sempre maggiore, per fare effetto. Non c’è crimine verso se stessa che la periferia non perpetri pur di ottenerla. Si prostituisce in ogni modo, distruggendo in pochi anni lo stile di vita e le ragionevoli aspettative di reddito dei suoi cittadini, che si vedono privati dall’oggi al domani di diritti che ritenevano acquisiti, come quelli all’assistenza e alla previdenza; smantellando il proprio sistema industriale, che tanto non le serve più, perché i capitali arrivano, quindi arriveranno sempre, e sarà sempre possibile acquistare all’estero, dove lo fanno tanto meglio, quello che non si ha più convenienza a produrre in casa; cedendo insomma il meglio di se stessa, tutta se stessa, al centro.
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Il fatto però è che esiste una legge non so se dell’economia o proprio della natura, quella che dice che “il troppo stroppia”. In economia penso la chiamino legge dei rendimenti decrescenti. Trovare impieghi produttivi per masse enormi e crescenti di capitali non è facile, e gli afflussi di capitali (sì, proprio quelli dei quali i nostri Quisling tanto lamentano la carenza in Italia), sono, per il paese che li riceve, debiti esteri, che occorrerà rimborsare, e che però, quanto più crescono, tanto meno producono i redditi necessari a ripagarli.
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mi era sembrato in effetti di intravvedere che esiste in Italia una sinistra genia di imbecilli che pensa che i capitali arrivino dall’estero gratis, che gli imprenditori esteri comprino azioni italiane, o comunque acquisiscano il controllo di aziende italiane, perché noi siamo simpatici, creativi, insomma, perché ci vogliono bene. E che quindi gli afflussi di capitali sono un bene: noi ne abbiamo bisogno, loro ce li danno, e la storia finisce lì. Ma pensavo di aver letto male, sapete, nella fretta, la padella sul fuoco, gli ospiti in terrazza... Invece voi mi dite che c’è veramente qualcuno che è così cretino da pensare che l’estero i capitali li regali!?
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chi acquista un’azienda in periferia non lo fa perché vuole portare in periferia lavoro e crescita (in effetti, in due casi su tre comincia col licenziare qualcuno, ci avevate fatto caso?). No: lo fa perché vuole giustamente far profitti e poi riportarli al centro (e magari, per farne di più, di profitti, passa sopra a qualche regola, ci avevate fatto caso?).Ecco, cercate di chiavarvi in capo questa semplice realtà: quello che oggi è un afflusso di capitali domani diventa un deflusso di redditi. L’afflusso di capitali dall’estero (per comprare un titolo pubblico, per finanziare l’acquisto della seconda casa o del primo televisore al plasma di un privato, per acquistare un’azienda), domani diventa un deflusso di redditi verso l’estero (interessi o profitti). Capito? Oggi entrano i soldi, sotto forma di credito (per il centro), cioè debito (per la periferia). Domani i soldi escono, sono redditi passivi in bilancia dei pagamenti, redditi che ampliano ancora di più il deficit estero della periferia, la quale, come usura insegna, a un certo punto è costretta a farsi prestare altri capitali, non più per finanziare investimenti produttivi, e nemmeno per finanziare consumi, ma semplicemente... per pagare gli interessi!
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Ci si avvicina al triste epilogo.
Un bel giorno la periferia si sveglia, ha le nausee, vomita. Una grossa azienda va in crisi finanziaria? Le banche accusano “sofferenze” (che poi significa che capiscono che i loro debitori non ce la faranno a restituire i soldi)? Insomma, succede qualcosa, e l’amore finisce, lasciando il posto a una certa insofferenza. Il centro comincia a dubitare della capacità della periferia di rimborsare i propri debiti. Esige così il pagamento di interessi sempre più alti a copertura del rischio, lo spread, che era partito alto (vi ricordate?), e poi si era annullato, decolla di nuovo. La periferia si avvita nella spirale del debito estero, si gonfia sempre di più, e per sapere il seguito basta aprire un giornale. Non è un happy ending."
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