Quando ci fu imposto Monti, chi diceva o scriveva che era in corso un colpo di Stato strisciante veniva tacciato di becero berlusconismo. Poi con la cacciata di Berlusconi dal Senato a causa dei noti fatti giudiziari, fu lo stesso Cavaliere a parlare di colpo di Stato, anzi continua tuttora. Per cui se qualcuno osa mettere in dubbio il normale svolgersi degli iter democratici, viene immediatamente accostato a Berlusconi e fatto passare come delinquente o comunque protettore di delinquenti evasori fiscali.
Sono ormai due anni che non siamo più sovrani a casa nostra. Che governi e politiche economiche vengono gestite da Bruxelles e Berlino:
"Il nuovo dittatore si chiama "euro". E' l'invisibile sovrano dietro a cui agiscono torbidi cortigiani che si spartiscono un potere occulto e sono i veri manovratori del IV Reich. Ogni epoca ha le sue peculiarità: se negli anni '30 andavano di moda baffetti, stendardi, ideologie e alti pulpiti da cui strillare viscerali rigurgiti razzisti, oggi è diverso.Oggi l'ometto con i baffetti sarebbe del tutto ridicolo (anche l'omaccione pelato...) e fuori luogo. Più idoneo usare una innocua moneta come simbolo del nuovo Reich in alternativa a qualche marchio esoterico indoeuropeo. Tutti se la tengono in tasca e nessuno la teme. E soprattutto nessuno (o quasi) si rende conto di cosa c'è dietro a una innocua monetina bimetallica. Nessuna ideologia imposta con la forza. Nessuna squadraccia in camicia scura per le strade."
Malgrado ciò molti ancora pensano di vivere in una democrazia e pensano che proteste come quelle del #9dicembre siano del tutto pretestuose e pericolose per la convivenza civile. Probabilmente non hanno completamente torto, ma si avverte che qualcosa non va nel verso giusto.
Ci sono molte cose che non tornano, anzi molti segnali che confermano che siamo vicini ad una svolta autoritaria. A uno Stato di polizia dove non è consentito quasi nulla. Soprattutto manifestare il proprio dissenso. Quello che sta avvenendo in questi giorni con il web è abbastanza preoccupante:
"Sono bastati una manciata di giorni a Parlamento, ministri, Governo ed Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per riuscire in un’impresa inedita e, probabilmente, unica al mondo: mettere Internet in un sacco tricolore e gettarla lontana dai cittadini e dalle imprese del Bel Paese.
Un’asciutta rassegna di quanto accaduto nell’ultima settimana è, purtroppo, sufficiente a supportare una tanto amara conclusione.
La Camera dei Deputati, ieri, ha detto si alla c.d. webtax – creatura dell’On. Francesco Boccia(Pd) – che impone alle imprese italiane di acquistare servizi online solo ed esclusivamente da soggetti dotati di una partita Iva italiana.
Un’iniziativa, quella del parlamentare del Partito democratico, duramente criticata dallo stesso Ministero dell’Economia che l’aveva bollata come incostituzionale e contraria al diritto europeo.
Ora tra i fornitori di servizi online del mondo intero e il nostro Paese c’è un fossato fatto di burocrazia e un indistricabile – persino per un’impresa italiana – groviglio di leggi e leggine fiscali che, difficilmente, contribuirà a rendere l’Italia una meta ambita delle grandi Internet company.
Il 12 dicembre, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha varato la sua personalissima nuova legg(ina) sulla tutela del diritto d’autore online, attribuendosi – in un’inedita sintesi dei tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario, ndr) – il potere di vita o di morte su qualsiasi genere di contenuto pubblicato online e ripromettendosi di esercitarlo nell’ambito di procedimenti sommari da codice militare di guerra e previo sostanziale esautoramento dei Giudici che, sino ad oggi, si sono occupati di far rispettare le leggi in materia online come offline.
L’Autorità potrà anche ordinare ai nostri Internet services provider di dirottare il traffico diretto verso talune piattaforme, contribuendo così – se la web tax non bastasse – all’ulteriore isolamento telematico del nostro Paese.
Altro che Internet nuova agorà e piazza pubblica telematica: chiunque potrà ottenere la rimozione della nostra “parola in digitale” in una manciata di ore, semplicemente scrivendo all’Agcom e sostenendo – a torto o a ragione – che stiamo usando un sottofondo musicale che gli appartiene.
Sempre ieri, frattanto, il Consiglio dei ministri ha approvato il c.d. Decreto Destinazione Italia, titolo che suona quasi ironico, almeno in relazione alle cose di Internet.
Anche se il testo del provvedimento – nel pieno rispetto delle politiche di open gov – non è ancora noto, nel pacchetto ci sono due disposizioni che lasciano senza parole.
Una prima stabilisce che per linkare, indicizzare, embeddare, aggregare un contenuto giornalistico occorre prima chiedere il permesso alle associazioni di categoria degli editori e pagare il prezzo che dovrà essere concordato con queste ultime o, qualora ciò non risultasse possibile, stabilito dalla solita onnipresente Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Una manciata di caratteri per riscrivere radicalmente le dinamiche di circolazione delle informazioni online e trasformare la Rete in una piccola – e neppure troppo moderna – televisione nella quale pochi decidono chi può dire cosa.
...
Una pioggia di provvedimenti che basterebbero a fare di quella che si sta per concludere lasettimana nera di Internet in Italia, ma non basta ancora.
Negli stessi giorni, infatti, è trapelata anche la notizia che il Ministro dei beni e delle attività culturali, Massimo Bray, stia per varare un nuovo decreto – sembrerebbe trasmessogli via mail con tanto di correzioni in rosso – dalla Siae, attraverso il quale, nelle prossime ore, stabilirà che, nel 2014, i prezzi di smartphones, tablet e PC – oltre ad una lunga serie di altri supporti e dispositivi di registrazione – in Italia, aumenteranno complessivamente, di oltre cento milioni di euro.
Un’altra misura illuminata in un Paese di analfabeti digitali e che sconta un gap senza eguali in Europa in termini di uso delle nuove tecnologie.
Tutto considerato, pare proprio che la novella Arca di Noè che traghetterà il mondo verso il futuro e lontano da un sistema economico e politico prossimo alla fine, salperà senza il nostro Paese a bordo.
Altro che “Yes we can”, in Italia stiamo dicendo, a voce alta, “Bye, Bye Internet!”."
Ci sono molte cose che non tornano, anzi molti segnali che confermano che siamo vicini ad una svolta autoritaria. A uno Stato di polizia dove non è consentito quasi nulla. Soprattutto manifestare il proprio dissenso. Quello che sta avvenendo in questi giorni con il web è abbastanza preoccupante:
"Sono bastati una manciata di giorni a Parlamento, ministri, Governo ed Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per riuscire in un’impresa inedita e, probabilmente, unica al mondo: mettere Internet in un sacco tricolore e gettarla lontana dai cittadini e dalle imprese del Bel Paese.
Un’asciutta rassegna di quanto accaduto nell’ultima settimana è, purtroppo, sufficiente a supportare una tanto amara conclusione.
La Camera dei Deputati, ieri, ha detto si alla c.d. webtax – creatura dell’On. Francesco Boccia(Pd) – che impone alle imprese italiane di acquistare servizi online solo ed esclusivamente da soggetti dotati di una partita Iva italiana.
Un’iniziativa, quella del parlamentare del Partito democratico, duramente criticata dallo stesso Ministero dell’Economia che l’aveva bollata come incostituzionale e contraria al diritto europeo.
Ora tra i fornitori di servizi online del mondo intero e il nostro Paese c’è un fossato fatto di burocrazia e un indistricabile – persino per un’impresa italiana – groviglio di leggi e leggine fiscali che, difficilmente, contribuirà a rendere l’Italia una meta ambita delle grandi Internet company.
Il 12 dicembre, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha varato la sua personalissima nuova legg(ina) sulla tutela del diritto d’autore online, attribuendosi – in un’inedita sintesi dei tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario, ndr) – il potere di vita o di morte su qualsiasi genere di contenuto pubblicato online e ripromettendosi di esercitarlo nell’ambito di procedimenti sommari da codice militare di guerra e previo sostanziale esautoramento dei Giudici che, sino ad oggi, si sono occupati di far rispettare le leggi in materia online come offline.
L’Autorità potrà anche ordinare ai nostri Internet services provider di dirottare il traffico diretto verso talune piattaforme, contribuendo così – se la web tax non bastasse – all’ulteriore isolamento telematico del nostro Paese.
Altro che Internet nuova agorà e piazza pubblica telematica: chiunque potrà ottenere la rimozione della nostra “parola in digitale” in una manciata di ore, semplicemente scrivendo all’Agcom e sostenendo – a torto o a ragione – che stiamo usando un sottofondo musicale che gli appartiene.
Sempre ieri, frattanto, il Consiglio dei ministri ha approvato il c.d. Decreto Destinazione Italia, titolo che suona quasi ironico, almeno in relazione alle cose di Internet.
Anche se il testo del provvedimento – nel pieno rispetto delle politiche di open gov – non è ancora noto, nel pacchetto ci sono due disposizioni che lasciano senza parole.
Una prima stabilisce che per linkare, indicizzare, embeddare, aggregare un contenuto giornalistico occorre prima chiedere il permesso alle associazioni di categoria degli editori e pagare il prezzo che dovrà essere concordato con queste ultime o, qualora ciò non risultasse possibile, stabilito dalla solita onnipresente Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Una manciata di caratteri per riscrivere radicalmente le dinamiche di circolazione delle informazioni online e trasformare la Rete in una piccola – e neppure troppo moderna – televisione nella quale pochi decidono chi può dire cosa.
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Una pioggia di provvedimenti che basterebbero a fare di quella che si sta per concludere lasettimana nera di Internet in Italia, ma non basta ancora.
Negli stessi giorni, infatti, è trapelata anche la notizia che il Ministro dei beni e delle attività culturali, Massimo Bray, stia per varare un nuovo decreto – sembrerebbe trasmessogli via mail con tanto di correzioni in rosso – dalla Siae, attraverso il quale, nelle prossime ore, stabilirà che, nel 2014, i prezzi di smartphones, tablet e PC – oltre ad una lunga serie di altri supporti e dispositivi di registrazione – in Italia, aumenteranno complessivamente, di oltre cento milioni di euro.
Un’altra misura illuminata in un Paese di analfabeti digitali e che sconta un gap senza eguali in Europa in termini di uso delle nuove tecnologie.
Tutto considerato, pare proprio che la novella Arca di Noè che traghetterà il mondo verso il futuro e lontano da un sistema economico e politico prossimo alla fine, salperà senza il nostro Paese a bordo.
Altro che “Yes we can”, in Italia stiamo dicendo, a voce alta, “Bye, Bye Internet!”."
Qui oltre che ad ignoranza e malafede informatica, siamo di fronte alla più forte delle paure, quasi al panico. Cioè che la rete diventi il megafono dell'antagonismo, del populismo, dell'antipolitica di ogni tipo. La paura che la politica ufficiale che si affida a giornali e tv non sia più in grado di dettare le sue verità fatte di riprese economiche fantasmagoriche all'orizzonte e luci in fondo al tunnel. Attraverso il web il malcontento corre veloce, i movimenti si organizzano, nascono nuovi partiti che raggiungono il 25% in un amen. Cose che terrorizzano l'anchilosato mondo dei matusa della nostra politica.
C'è da chiedersi se alcune di queste norme riusciranno ad avere effetto. Chi controllerà che le aziende si affidino ad imprese web con partita Iva italiana, chi controllerà il mare di siti, blog e quant'altro verificandone i contenuti, addirittura i link e gli embed di migliaia di aggiornamenti quotidiani? Siamo alla pura follia... Questa è un dittatura però anche un po' idiota.
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