lunedì 2 gennaio 2012

Politica italiana irrilevante



La politica in Italia non ha più potere poiché non può più controllare la vita economica del paese. Può continuare ad alimentarsi di corruzione, questo si, ma non è più in grado di influire sulle scelte strategiche del paese.

Da quando esiste l’Unione Europea e poi l’euro, i politici italiani non sono più in grado di utilizzare la spesa pubblica in modo veramente consistente, e quindi non possono orientare efficacemente le scelte economiche produttive. Mi chiedo se non sia un caso che oggi la Fiat sia ormai diventata una azienda multinazionale, che mantiene per ora la “testa” in Italia, ma che potrebbe andarsene in qualsiasi momento. Non ha più alcun motivo, ne alcun vantaggio ad appoggiare lobbisticamente uno Stato monco come quello italiano.
Del resto da alcuni anni, la legge finanziaria, che solitamente diventava un suk politico, è diventata una norma finanziaria blindata, fuori dal controllo parlamentare, sotto stretto controllo del ministero delle finanze. Quindi anche gli interventi di sostegno alle lobby diventano sempre più difficili da attuare, se non per lobbisti veramente di peso.

Da quando siamo entrati in Maastricht, quindi ancor prima dell’euro, i governi sono stati costretti ad una politica restrittiva di riduzione della spesa pubblica, da Amato, passando per Visco, fino a Tremonti. Poi con l’introduzione dell’euro 10 anni fa, abbiamo perso anche la sovranità monetaria. Quindi la politica di austerità è diventata la norma. Oggi con Monti, addirittura viene incrementata questa tendenza.

Quindi i politici italiani, pur facendo grandi promesse elettorali, non hanno alcun potere per poterle mantenere. Se non possono controllare la spesa pubblica ed indirizzarla in certe direzioni, difficilmente potranno mantenere promesse di milioni di posti di lavoro, di realizzazione di mirabolanti infrastrutture pubbliche, di maestose politiche sociali ecc.

La verità è che a Roma si decide ormai ben poco. Le decisioni che contano sono prese sempre più a Bruxelles, (o Berlino, per essere maliziosi). Il dramma è che non sono decisioni prese con metodo democratico, ma provengono da enti sovrannazionali tecnocratici, di cui i cittadini italiani non sanno nulla. L’Europa non solo decide per noi, ma ci impedisce anche di prendere certi provvedimenti, come gli aiuti di Stato all’industria, che potrebbero facilitare la nostra economia: il motivo è nobile: si deve favorire la concorrenza europea. Ma andrebbe calibrato, poiché nei periodi di crisi ritengo sia lecito sostenere l’economia nazionale con qualsiasi mezzo.

E’ a causa dell’impotenza della nostra politica nazionale che è stato così facile imporre un governo di tecnici imposto dall’Europa e dai poteri finanziari mondiali. Del resto, l’Unione non fa altro che mostrare esplicitamente, quello che da alcuni anni risultava ancora nascosto dalle zuffe politiche mediatiche, cioè che la nostra nazione non è più indipendente rispetto alle decisioni fondamentali, quelle che contano veramente per la nostra sopravvivenza.
Siamo stati distratti per anni da inutili battibecchi fra destra e sinistra sui mass-media istituzionali, in cui una parte politica dava addosso all’altro imputandole ogni colpa della nostra rovina.

Oggi queste parti contrapposte sono state costrette a convivere nello stesso governo. Sono prigioniere anch’esse della tecnocrazia europea. E pur riconoscendo questo stato, non sono in grado di riconoscere l’inutilità delle contese passate, e l’aggressione esterna a cui è sottoposta l’Italia. Se lo facessero non appoggerebbero il governo Monti, ma cercherebbero di trovare una soluzione politica comune.

E’ strano, anzi quasi incredibile, vedere personaggi di peso della politica italiana, da sempre malati di protagonismo, messi in disparte. Più che messi, auto sospesi dalla loro funzione politica. Tutti in attesa delle azioni salvifiche di Mago Monti. Ma è una speranza a mio modo di vedere mal riposta, piuttosto si dovrebbe sperare nelle azioni di Draghi.

Quali mezzi ha attualmente la politica italiana, e quindi l’Italia, per uscire dalla crisi in cui ci ritroviamo? Ripagare il debito è impossibile, non ripagarlo sarebbe deleterio e rischioso. Eppure non c’è via d’uscita e il mantenimento dello spread Btp-Bund sulla soglia dei 500 punti dimostra che nessuno crede che sia possibile uscire da questa situazione. Dovremmo avere una crescita economica prodigiosa per sostenere un debito così alto e per impostare un piano di rientro dal debito.

Ma la politica italiana (e credo mondiale, osservando i modesti passi di Obama) non ha alcuna soluzione per raggiungere questo obiettivo. Anche liberalizzando al massimo, si otterrà in alcuni casi una riduzione degli onorari, quindi ulteriore impoverimento delle categorie della classe media, e in altri un aumento di costi, in quanto alcuni servizi pubblici oggi agiscono vincolati da “prezzi politici” non remunerativi. Ma ponendo la possibilità che le privatizzazioni possano incrementare l’occupazione in certi servizi, non potranno mai rendere competitiva l’industria italiana rispetto a quella dei paesi emergenti, o anche solo dell’est europeo: i costi dei servizi e della manodopera italiani rimarrebbero ancora troppo alti.

Per avere una maggiore crescita dovremmo realizzare prodotti di alta qualità e alta tecnologia. Ma anche così non si ha una crescita di livello cinese, ma qualche punto percentuale fra molti decenni: la qualità e la ricerca sono conseguenza di investimenti decennali nell’istruzione. La grande crescita a due cifre percentuali non dipende dalla sostituzione di beni, ma dal riempimento di vuoti, come ho già scritto qui:

Il vero problema è la crescita. Ma non quella che intendono oggi gli industriali, cioè un intervento dello Stato per agevolare, finanziare, detassare, ecc. La crescita quella vera, quella generata dalla produzione di beni e servizi che prima non c’erano: quando si sono espanse le città, sono stati costruiti milioni di alloggi; quando pochi avevano un’auto, un frigorifero, una lavatrice e sono state riempite tante caselle vuote.

Inoltre, nemmeno una crescita verosimile, intorno al 2% potrebbe salvare l’Italia dal declino:

L'impossibilità di venir fuori dal problema con la crescita è una cattiva notizia per i debitori. Guardiamo l'Italia, ad esempio: il debito pubblico Italiano è al 120 per cento del PIL. Il tasso di interesse attuale per le nuove emissioni di titoli a dieci anni è del 7 per cento - dal 4,7 per cento nel mese di aprile 2011. Se l'Italia dovesse pagare il 6 per cento di interesse sul suo debito in essere, un tasso così alto farebbe aumentare l'avanzo primario (cioè l'avanzo di bilancio al netto degli interessi passivi) di cui l'Italia avrebbe bisogno per stabilizzare il livello del debito. Se assumiamo che l'economia Italiana cresce a un tasso nominale del 2 per cento l'anno, il governo avrebbe bisogno di un avanzo primario del 4,8 per cento del PIL (calcolato come il 6 per cento per interessi sostenuti sul proprio debito, meno il 2 per cento di crescita nominale, moltiplicato per il 120 per cento del debito pubblico sul PIL) solo per stabilizzare il livello debito-PIL; le ultime previsioni mostrano solo un surplus dello 0,5 per cento per il 2011. Qualsiasi tentativo di aumentare l'avanzo primario attraverso l'austerità fiscale corre il rischio di creare una spirale discendente. Quando gli investitori cominciano a dubitare della capacità del debitore di servire i suoi obblighi, i tassi di interesse salgono ancora di più, portando a un circolo vizioso di austerità, minore crescita, e tassi di interesse in aumento.

Alla fine, il problema che deve affrontare la politica italiana, è quello della sua insignificanza, e della rappresentanza di cittadini che devono essere informati di abitare una nazione in declino naturale. Ma deve anche affrontare la crisi del capitalismo mondiale, che non ha più nuove “terre di conquista” di fronte a se.

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