Il Giappone rimane un caso di studio molto interessante. In un post precedente consideravo già quasi terminata la sua corsa banzai attraverso le politiche espansionistiche fatte di Quantitative easing senza ritegno. Ed infatti la borsa lanciava segnali contraddittori: dopo una rapida salita del listino Nikkei negli ultimi sei mesi, c'era stato un consistente capitombolo del 18% in pochi giorni. Ieri invece il Nikkei ha totalizzato un +4,9%.
S'era diffuso pessimismo invece:
"Giappone: Nikkei balza oltre 5%, Pil corre al ritmo del 4%
...l'indice allargato Topix balzare +5,2% A 1.111,97 punti, segnando il rialzo più forte dal 16 marzo del 2011, dunque in due anni.
Si tratta del 17esimo maggiore incremento dal 1950,
...
Il Nikkei ha chiuso in crescita +4,9% a 13.514,20 punti, con i volumi di scambio inferiori del 27% rispetto alla media degli ultimi 30 giorni.
Tre i fattori che hanno condizionato la performance; il deprezzamento dello yen; la decisione del Government Pension Investment Fund, fondo numero uno nella gestione dei risparmi pensionistici, di aumentare l'esposizione azionaria sul paese, vendendo contestualmente bond e la revisione al rialzo del Pil del primo trimestre, salito su base annua del 4,1% e su base trimestrale dell’1%, contro rispettivamente +3,5% e +0,9% inizialmente comunicati.
Da segnalare comunque che la volatilità storica è a livelli non visti dallo tsunami e dall'allarme nucleare che hanno colpito il paese nel marzo del 2011."
La volatilità è ancora alta, forse non si sa bene con esattezza dove andrà a parare la politica monetaria di Abe. Probabilmente perché non è mai stato tentato un esperimento così rischioso finora. Non si sa se il continuo deprezzamento dello yen potrebbe provocare un'inflazione ingovernabile, o se l'acquisto di azioni e obbligazioni e l'abbandono del tradizionale debito pubblico possa rendere quest'ultimo pericolosamente insostenibile. In una nazione che sta raggiungendo un rapporto debito/Pil del 250%, c'è qualche perplessità in merito. E' anche vero che se tornasse a crescere il Pil (e conseguente aumento entrate fiscali) e un po' di inflazione, il debito pubblico andrebbe a ridursi automaticamente.
Certo che se dovesse funzionare l'Abenomic, la poderosa espansione monetaria nipponica, allora tutta la politica europea dovrebbe essere ripensata. Le pressioni sulla Germania perché abbandoni i suoi dogmi inflazionistici, il pensiero unico dell'austerità, diventerebbero ancora più forti. I partner europei potrebbero perdere la pazienza (finalmente) e mettere davanti ai tedeschi una scelta netta: o politiche monetarie espansive o se proprio non si potesse l'uscita dall'euro della Germania stessa.
In ogni caso la politica monetaria non è indifferente sulla dinamica della crescita economica. Il raffronto fra Germania e Giappone evidenzia proprio questo:
"Queste 2 nazioni hanno tantissimi punti in comune, nel bene o nel male:
- Ambedue hanno un economia basata sull’industria manifatturiera (con un peso sul PIL notevolmente superiore ad USA, UK e Francia), specie ad alta e media tecnologia
- Ambedue sono paesi con un economia di trasformazione: esportano manifatture d’eccellenza o di media qualita’, importano materie prime, componenti e prodotti a bassa qualita’
- Sono le grandi nazioni con storicamente i minori tassi d’inflazione da 2 decadi (nel caso del Giappone con frequenti periodi di deflazione), e con tassi di interesse bassissimi
- Sono nazioni con andamenti demografici assolutamente disastrosi
- Sono nazioni che investono massicciamente sulla Ricerca e sull’innovazione, leaders nell’industria standardizzata
- Sono nazioni sostanzialmente prive di materie prime
- Sono paesi con una popolazione fortemente “motivata”, con lavoratori e tecnici efficienti, con una buona dose di nazionalismo e con una disciplina ferrea
- Sono nazioni con infrastrutture moderne, ed una Pubblica Amministrazione coi fiocchi"
Entrambe le nazioni negli anni '90 hanno incontrato una certa stagnazione economica. Poi la Germania a seguito dell'unificazione e della formazione della zona euro si è ripresa. Il Giappone ha continuato invece a trascinarsi tra alti e bassi, senza grandi risultati economici. Potrebbe forse venirne fuori solo adesso.
Ma perché questa differenza, malgrado il Giappone si trovi in un'area geografica dinamica e la Germania no?
"A livello di cambi, lo Yen ha avuto alti e bassi, ma s’e’ complessivamente notevolmente rivalutato tanto sull’Euro, quanto sul Dollaro, e le valute adottate nelle nazioni vicine. La Germania ha usufruito dell’Euro, cioe’ di un cambio meno forte di quello che avrebbe avuto col Marco, e cio’ ha certamente aiutato l’export, e quindi il PIL ed i conti pubblici. Si nota infatti che la Germania dal 2000 in poi ha ampliato enormemente l’attivo commerciale, mentre il Giappone, dopo l’ultima rivalutazione, ha visto piombare la bilancia commerciale in negativo."
(www.rischiocalcolato.it)
(www.rischiocalcolato.it)
Il Giappone invece, è stato punito duramente dalla rivalutazione dello yen. Oltre che dalla concorrenza spietata di Corea e Cina che producono gli stessi beni tecnologici a prezzi dimezzati. Ecco perché oggi il primo ministro Abe punta a correggere la situazione con una massiccia svalutazione dello yen. Per ora questa politica sembra pagare. Ed inoltre dimostrerebbe, nel caso di successo, che la politica monetaria per un paese manifatturiero (vedi Italia) è fondamentale per la sua sopravvivenza. Se non ritroviamo almeno in parte la sovranità monetaria, rischiamo di distruggere le nostre capacità produttive.
La Confindustria che continua ad implorare politiche di ripresa economica, dovrebbe riflettere intensamente su questi sviluppi internazionali. In realtà Squinzi dovrebbe essere il più grande fan del ritorno alla lira, ancora più di Grillo!
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