lunedì 2 settembre 2013

L'Occidente guerrafondaio stanco


Non sono più i gloriosi tempi andati dei Bush padre e figlio, e nemmeno dei Clinton. E' inutile girare attorno al problema: fare i gendarmi del mondo costa e non ci sono più le risorse di un tempo.
Si vorrebbe fare la voce grossa con la Siria, come al solito minacciare e passare ai fatti con una guerra che vedrebbe contrapporsi un piccolo dittatore contro gli armamenti occidentali più moderni e letali al mondo.
Ma anche Roma piegata dalla crisi, ad un certo punto non riuscì più a permettersi le sue micidiali legioni e flotte di navi rostrate.

La crisi incide sulle casse degli Stati e incide sulla volontà delle opinioni pubbliche. I sondaggi in occidente vedono contrarie alla guerra tutte le nazioni, comprese quelle i cui governi fin da subito si son dimostrati pronti a bombardare Assad.
Voci uscite dalla Casa Bianca preannunciavano un imminente guerra punitiva solo la settimana scorsa. Subito si sono schierati i maggiori governi dell'Occidente. E già da questa prima fase si è capito che sarebbe stato un intervento appoggiato da pochi, da una coalizione smilza. Non è più il tempo delle coalizioni in stile Guerra del Golfo:

"La guerra del Golfo (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991),[1] detta anche prima guerra del Golfo in relazione alla cosiddetta seconda guerra del Golfo, è il conflitto che oppose l'Iraq ad una coalizione composta da 35 stati[2] formatasi sotto l'egida dell'ONU e guidata dagli Stati Uniti"
(it.wikipedia.org)

E nella seconda guerra del Golfo:

"Il 27 marzo 2003 (cioè durante l'invasione) la Casa Bianca diffuse un elenco dei membri della coalizione, allora composta dai 49 paesi; il livello di coinvolgimento andava dalla partecipazione militare (Stati Uniti, Gran Bretagna, Polonia, Australia) al supporto logistico, al semplice appoggio politico.
...
nel febbraio 2006 restavano in Iraq circa 140.000 soldati statunitensi e 8.000 soldati britannici, cui si aggiungevano 3 contingenti fra 1.000 e 5.000 uomini (Corea del Sud, Italia, Polonia) e altri 18 più piccoli."

(it.wikipedia.org)

Ma non è nemmeno più il tempo delle coalizioni che più recentemente hanno appoggiato gli Usa in Libia:

"La coalizione, composta inizialmente da Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia, Norvegia, Qatar, Spagna, Regno Unito e USA, si è espansa nel tempo fino a comprendere 19 stati, tutti impegnati nel blocco navale delle acque libiche o nel far rispettare la zona d'interdizione al volo."
(it.wikipedia.org)

Per la Siria si sono dimostrate disponibili ed entusiaste da subito solo Francia e Inghilterra. Tutti gli altri sono rimasti a guardare o hanno subito manifestato disimpegno, per esempio la Germania e il nostro governo.
Ma Cameron ha rovinato la festa e dissolto il già modesto triunvirato. Non ha presagito l'umore del suo Parlamento, che in linea con l'umore generale degli inglesi, gli ha votato contro l'intervento armato. Un voto che ha messo in difficoltà Obama e anche Hollande.

Hollande si è dimostrato spregiudicato. Non si è nemmeno premurato di far apparire la sua politica estera diversa da quella disastrosa di Sarkozy, e non ha nemmeno considerato i sondaggi che vedono i francesi contrari. Ora anche la Francia attende di entrare in una coalizione che probabilmente non esisterà.

"La Francia non agirà da sola in Siria, ma attenderà una decisione degli Usa, dopo il dibattito al Congresso. Lo ha detto il ministro dell'Interno Manuel Valls a radio Europe 1. "Abbiamo bisogno di una coalizione", ha aggiunto. Il premier Jean-Marc Ayrault ha in programma domani un incontro con principali esponenti parlamentari e dell'opposizione per discutere della crisi siriana."
(www.ansa.it)

Obama in difficoltà fra le colombe democratiche e i falchi repubblicani sta facendo come Ponzio Pilato, rimettendosi alla decisione del Congresso. E' un modo per deresponsabilizzare la sua presidenza e coinvolgere maggiormente la restante recalcitrante politica nazionale. Forse è anche un modo per prendere tempo, visto che questa volta non sarà possibile agire sotto l'ombrello dell'Onu. Si vuole vedere se eventualmente si riuscirà a convincere la Russia che è tutto uno scherzo, e gli altri europei ad essere più solidali.
Gli Usa hanno dovuto prendere atto che la coalizione che doveva essere usata come maschera per i propri interventi imperialistici, probabilmente non esisterà.

"Gli Stati Uniti sono pronti ad attaccare la Siria da soli se necessario. La conferma arriva direttamente dal segretario di Stato, John Kerry, che ribadisce quanto già emerso come indiscrezione nei giorni scorsi: gli Usa pensano ad un intervento “limitato, senza alcuna invasione” e “agiranno secondo i propri tempi e interessi”.
(www.ilfattoquotidiano.it)

La lunga crisi partita nel 2008 dagli Usa e approdata nel 2011 in Europa ha di fatto fiaccato l'Occidente. Le stesse intenzioni di Obama e del suo governo appaiono poco convinte. Un "modesto" bombardamento di avvertimento ad Assad, così "telefonato" che questi avrà tutto il tempo di nascondere le armi più pregiate e più utili ai suoi scopi. Un bombardamento dovuto in quanto minacciato nel caso di uso di armi "proibite" come quelle chimiche. Che poi sono il solito pretesto, un'ipocrisia lampante, come se i morti da baionetta fossero meno morti di quelli da iprite...

Quindi Obama e gli Usa si sono trovati quasi in dovere di dare una risposta militare al regima di Assad. Ma nello stesso tempo gli Usa non sembrano pronti a sostenere le conseguenze di un'eventuale precipitare della situazione. Se al bombardamento svogliato dalle navi americane Assad rispondesse con una controffensiva mirata e tutt'altro che remissiva, gli Stati Uniti rischiano di innescare un'escalation militare che potrebbe coinvolgere un enorme bacino mediorientale: Libano, Israele, Iran e forse Turchia o addirittura magari l'Egitto.

In quel caso la tattica non potrà più ridursi ad un bombardamento a distanza con missili. E probabilmente non basterebbe nemmeno più il solo coinvolgimento della Francia. Diventerebbe necessario mettere a disposizione degli Usa almeno le basi militari europee. Difficilmente ne' italiani, ne' tedeschi potrebbero sottrarsi a queste richieste. E in men che non si dica si verrebbe coinvolti in una delle solite "guerre umanitarie" che lasciano i paesi colpiti in uno stato di totale caos, e i paesi coinvolti con enormi oneri militari.

L'Occidente nel contesto siriano sembra manifestare tacitamente il concetto del "vorrei ma non posso". Perché la volontà di mantenere un'egemonia militare, strategica ed economica è chiara, sia negli Usa che in alcuni paesi europei. Ma è anche evidente che la crisi economica non permette di imbarcarsi in avventure militari di cui non si avvertono i confini. Se il nemico, cioè l'Iran che sta dietro la Siria, dovesse percepire le difficoltà economiche dell'Occidente, non esiterebbe ad affondare il coltello nella piaga impegnandolo in una guerra lunga e onerosa.

Una guerra si può vincere con le armi, ma la si può vincere anche con il logoramento economico. E' quello che è successo nella guerra fredda fra Usa e Urss che non vide lo scambio diretto di proiettili, ma l'Urss fu portato al collasso economico a causa della insostenibile corsa agli armamenti.
Può ancora succedere. I nemici mai come oggi potrebbero riuscire a prosciugare le risorse e fiaccare la resistenza dei paesi occidentali. Prosciugare le risorse militari degli Stati Uniti è forse difficile, ma per quelle europee non ci vorrà molto. E il Medio Oriente e l'Africa del nord sono molto, troppo, vicini all'Europa.

Fa bene il governo italiano a cercare di stare fuori da questa ennesima guerra Usa. Anche perché sarebbe sciocco da parte nostra urtare i nostri partner commerciali iraniani, con cui da sempre intratteniamo rapporti privilegiati. Ci siamo già giocati l'"amicizia" libica, la nostra piccola politica neocoloniale genialmente (almeno questo) ricostruita dal governo Berlusconi. Che poi ha dovuto capitolare di fronte alle portaerei di francesi ed inglesi per nulla contenti delle nostre iniziative nel Mediterraneo. Purtroppo in quell'occasione non si dimostrò sufficiente fermezza nell'evitare la guerra in Libia. Oggi siamo più fortunati, abbiamo come alleata la crisi...

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