Si sommano vari fattori nella vicenda Telecom e nella prossima vicenda a venire Alitalia. Un fattore dipende dagli errori commessi in questo anni nella gestione di queste aziende, ma il fattore decisivo riguarda l'organizzazione economico-finanziaria europea di cui è vittima il nostro paese.
Entrambe le cessioni Telecom e prossimamente Alitalia evidenziano l'incapacità imprenditoriale delle vecchie famiglie ed oligarchie nazionali organizzate in consorterie di imprenditori improvvisati, dipendenti e invischiati con la politica, manager collusi con banchieri, figli e "parenti di" in cerca di poltrone e prebende ecc.
Ed anche dell'incapacità a guidare lo Stato della politica.
In sintesi siamo di fronte all'inettitudine della classe dirigente italiana: i problemi di inefficienza e produttività derivano essenzialmente dall'incapacità di questa élite nazionale di organizzare qualsiasi attività umana. E tipico dei nostri amministratori il perdere di vista le cose essenziali per dedicarsi a quelle futili. Se non molto spesso ad operazioni corsare e ruberie a danno di aziende e lavoratori.
Nell'amministrazione pubblica poi, esiste una cultura burocratica che è in antitesi all'efficienza e produttività. In questa situazione di indifferenza verso l'imprenditorialità da parte dello Stato, e burocrazia folle si possono generare queste situazioni, in cui il capitalismo dei furbetti prende il sopravvento sul capitalismo dei capaci.
Un esempio recente riportato sul blog Phastidio.net, anche se in una piccola realtà, mette in luce la mentalità che permea la P.A.:
"Il Comune di Milano ha finalmente aperto il bando per l’elenco professionisti ... Ovviamente l’iscrizione è cartacea, con tanto di busta sigillata e controfirmata, nonostante l’obbligo della pec ... Ma la chicca è questa: oltre alla pec, viene richiesto nella domanda come obbligatorio anche un numero di fax, al quale si specifica che il Comune stesso si riserva di mandare le informazioni relative. Si noti: pec e fax non sono modalità alternative di invio delle informazioni, ma sono entrambe obbligatorie ”pena esclusione”
...
una persona che lavora alla Asl di Milano città mi ha raccontato che non si riesce ad introdurre la pratica dell’invio tramite pec, anziché raccomandata, perché il personale di segreteria “non è capace” (sic)"
(phastidio.net)
L'amministrazione pubblica ha faticato parecchio ad introdurre l'informatica negli iter amministrativi, malgrado competenze interne non mancassero. L'informatizzazione nella P.A. è arrivata in ritardo di una decina d'anni, lentamente negli anni '90, a causa della classe dirigente incapace di comprenderne i benefici. E quando poi è stata introdotta si è fatto in modo confuso e a volte controproducente, perché ha incrementato la burocrazia.
L'amministrazione pubblica ha faticato parecchio ad introdurre l'informatica negli iter amministrativi, malgrado competenze interne non mancassero. L'informatizzazione nella P.A. è arrivata in ritardo di una decina d'anni, lentamente negli anni '90, a causa della classe dirigente incapace di comprenderne i benefici. E quando poi è stata introdotta si è fatto in modo confuso e a volte controproducente, perché ha incrementato la burocrazia.
Nel caso Telecom inoltre, come ormai viene fuori col tempo in tutte le grandi aziende italiane, oltre a miopia strategica, c'è stato un susseguirsi di operazioni rapaci volte solo a spolpare l'azienda. Oggi che ne rimane solo più l'osso, viene "regalata" all'omologa spagnola che ha più o meno gli stessi problemi.
"Telefonica ha più debiti di Telecom
I conti di Telecom sono in sofferenza, ma quelli di Telefonica lo sono ancora di più. Ai circa 40 miliardi di debito della società italiana se ne aggiungono quindi un'altra cinquantina. Nonostante un secondo trimestre 2013 con ricavi superiori alle attese, gli spagnoli sono in calo rispetto all'anno precedente, con una riduzione del 6,8% del fatturato"
"Telefonica ha più debiti di Telecom
I conti di Telecom sono in sofferenza, ma quelli di Telefonica lo sono ancora di più. Ai circa 40 miliardi di debito della società italiana se ne aggiungono quindi un'altra cinquantina. Nonostante un secondo trimestre 2013 con ricavi superiori alle attese, gli spagnoli sono in calo rispetto all'anno precedente, con una riduzione del 6,8% del fatturato"
(www.lettera43.it)
In questo modo manager pubblico/privati, azionisti da strapazzo e Stato si disfano di enormi rogne.
Detto ciò esiste un fattore ancora più importante nel determinare questo incredibile aumento di cessioni d'azienda in mani straniere. Si tratta del fattore euro, che impedisce di fatto una difesa di Stato. Infatti lo Stato italiano ha evitato in qualsiasi modo d'intervenire come arbitro e peggio ancora come acquirente della Telecom. La nazionalizzazione d'aziende è un costo che l'Italia sotto l'euro non potrà più permettersi. Questa è un'ulteriore perdita di sovranità.
Ecco come vanno le cose mano a mano che procede la crisi dell'euro zona:
In questo modo manager pubblico/privati, azionisti da strapazzo e Stato si disfano di enormi rogne.
Detto ciò esiste un fattore ancora più importante nel determinare questo incredibile aumento di cessioni d'azienda in mani straniere. Si tratta del fattore euro, che impedisce di fatto una difesa di Stato. Infatti lo Stato italiano ha evitato in qualsiasi modo d'intervenire come arbitro e peggio ancora come acquirente della Telecom. La nazionalizzazione d'aziende è un costo che l'Italia sotto l'euro non potrà più permettersi. Questa è un'ulteriore perdita di sovranità.
Ecco come vanno le cose mano a mano che procede la crisi dell'euro zona:
Algida (Unilever, e naturalmente...; n.b.: impossibile verificare in rete la data dell’acquisizione: mi date una mano?)
2000
Emilio Pucci (Arnault, Francia)
Fiat Ferroviaria (Alstom, Francia)
2001
Bottega Veneta (Francia)
Fendi (Francia)
2003
Peroni (Sudafrica)
Sps Italiana Pack Systems (Usa)
2005
Acciaierie Lucchini (Russia)
Benelli (Cina)
2006
Carapelli Sasso e Bertolli (Spagna)
Galbani (Francia)
2008
Osvaldo Cariboni (Alstom, Francia)
2009
Fiat Avio (divisione Fiat per il settore aerospaziale) (Usa,Inghilterra)
2010
Fastweb (Svizzera, aveva già parte delle azioni dal 2007)
Belfe (Sud Corea)
Lario (Sud Corea)
Boschetti alimentare (confetture) (Francia)
2011
Gancia (Russia)
Fiorucci (salumi) (Spagna)
Parmalat (Lactalis, Francia)
Bulgari (Francia)
Brioni (Francia)
Wind (Russia, prima Egitto)
Edison (Francia)
Mandarina Duck (Sud Corea)
Loquendo (leader nelle tecnologie di riconoscimento vocale) (Usa)
Eridania (zucchero) (Francia)
2012
Star (Spagna) Controlla i marchi RisoChef, Pummarò, Sogni d'Oro, GranRagù Star, Orzo Bimbo ed Olita
Ducati (Germania)
Eskigel (produzione gelati per varie catene di supermercati) (UK)
Valentino (Qatar)
Ferretti (nautica) (Cina)
AR Pelati (pomodori) (Giappone)
Coccinelle (Sud Corea)
Sixty (Cina) Proprietaria dei marchi Miss Sixty e Energie
2013
Richard Ginori (venduta a Gucci, Francese)
Loro Piana (Francia)
Pernigotti (Turchia)
Chianti Gallo Nero Docg (Cina)
Pomellato (Francia)
Scotti Oro (Spagna per il 25%)"
(goofynomics.blogspot.it)
A cui ora si aggiunge la Telecom, fra poco l'Alitalia e probabilmente anche pezzi importanti di Finmeccanica.
E di seguito l'analisi del prof. Bagnai in merito alle cause di questo incremento di cessioni d'aziende all'estero in riferimento all'euro:
"Economisti molto preparati (ma forse non in economia internazionale, come spesso capita nel dibattito italiano) hanno sostenuto che dovremmo tenerci l’euro, perché questo, con la sua forza, ci protegge dal rischio di una massiccia acquisizione delle nostre imprese da parte dell’estero. I cosiddetti fire sales. Quindi, come dire, quanto più è costoso l’euro, tanto più noi saremmo protetti dalle incursioni dei capitani di ventura esteri, i quali, dovendo pagare caro l’euro, si guarderebbero bene dall’acquistare le nostre aziende (che poi sono tecnologicamente arretrate e popolate da cialtroni corrotti e improduttivi, una vera metastasi: accipicchia che sòle che si sono presi Unilever, Alstom, Arnault... Se il nostro capitalismo è fatto di piccoli cialtroni, evidentemente quello estero è fatto di grandi fessi!).
Sono di rigore due considerazioni.
Prima considerazione: IDE e conflitto di interessi
La prima è che i colleghi molto preparati fanno benissimo a preoccuparsi: il fatto che l’acquisizione massiccia di aziende italiane da parte estera sia un rischio concreto per il paese viene ammesso, oggi, perfino dall’onorevole Prodi
...
“Un caso analogo riguarda i consumi di lusso: è vero che essi sono fabbricati in Italia in grande quantità ma molta parte del loro valore aggiunto si dirige verso le imprese straniere che hanno acquistato le nostre aziende e ne incassano perciò i margini commerciali e i profitti, in generale assai superiori ai ricavi che vanno alla produzione.”
...
ha ragione il Manuale della bilancia dei pagamenti, questo sconosciuto, quando mette gli investimenti diretti esteri in entrata al passivo.
...
ma c’è un espertone, un intellettuale della Magna Grecia, che continua a pontificare dal blog del Fatto Quotidiano che gli investimenti diretti esteri in entrata (afflusso di capitali con finalità di acquisizione di aziende italiane) sono cosa buona e giusta, che ci salveranno, che sono un’attività (asset), e non una passività (liability) nella posizione patrimoniale netta sull’estero del paese
...
Ora, vedete, l’economista di Campobasso, guarda caso, è proprio un dipendente di un signore (Goldman Sachs) che dalla svendita del patrimonio italiano ha tanto da guadagnare
...
Concludiamo con quest’ultimo che sì, la svendita delle nostre aziende è un problema (cosa che stiamo dicendo da qualche tempo, direi da prima di tutti gli altri, ma visto che nessuno ci è stato a sentire questo non credo sia motivo di vanto). E su questo gli economisti molto preparati, lo ribadisco, hanno senz’altro ragione.
Seconda considerazione: l’euro ci protegge?
...
La lista sopra riportata ha l’importanza che ha, cioè zero: è una mera collezione di aneddoti. Certo, osserviamo che le acquisizioni aumentano durante la crisi, ma questo dato ha effettivamente un qualche valore? Potrebbe anche essere solo che Simone ha avuto meno difficoltà a trovare notizie recenti che notizie remote, no?
No.
Le evidenze macroeconomiche ci dicono che le cose stanno esattamente come i dati riportati le lasciano intuire. L’entrata nell’euro prima, e la crisi poi, hanno determinato un’impennata delle acquisizioni di aziende italiane da parte dell’estero. Basta guardarsi le serie storiche, non è che ci voglia molto.
Due osservazioni: i valori negativi si riferiscono ad anni nei quali gli investitori esteri hanno smobilitato partecipazioni in Italia più di quanto non ne abbiano acquisite. Questo è successo in modo massiccio nel 2008. Ma anche tenendo conto di questa osservazione anomala, il tracciato è piuttosto eloquente. Il flusso medio di IDE in entrata è stato di 2593 milioni di dollari all’anno dal 1979 al 1998, e di 16912 milioni di dollari dal 1999 al 2011.
"Economisti molto preparati (ma forse non in economia internazionale, come spesso capita nel dibattito italiano) hanno sostenuto che dovremmo tenerci l’euro, perché questo, con la sua forza, ci protegge dal rischio di una massiccia acquisizione delle nostre imprese da parte dell’estero. I cosiddetti fire sales. Quindi, come dire, quanto più è costoso l’euro, tanto più noi saremmo protetti dalle incursioni dei capitani di ventura esteri, i quali, dovendo pagare caro l’euro, si guarderebbero bene dall’acquistare le nostre aziende (che poi sono tecnologicamente arretrate e popolate da cialtroni corrotti e improduttivi, una vera metastasi: accipicchia che sòle che si sono presi Unilever, Alstom, Arnault... Se il nostro capitalismo è fatto di piccoli cialtroni, evidentemente quello estero è fatto di grandi fessi!).
Sono di rigore due considerazioni.
Prima considerazione: IDE e conflitto di interessi
La prima è che i colleghi molto preparati fanno benissimo a preoccuparsi: il fatto che l’acquisizione massiccia di aziende italiane da parte estera sia un rischio concreto per il paese viene ammesso, oggi, perfino dall’onorevole Prodi
...
“Un caso analogo riguarda i consumi di lusso: è vero che essi sono fabbricati in Italia in grande quantità ma molta parte del loro valore aggiunto si dirige verso le imprese straniere che hanno acquistato le nostre aziende e ne incassano perciò i margini commerciali e i profitti, in generale assai superiori ai ricavi che vanno alla produzione.”
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ha ragione il Manuale della bilancia dei pagamenti, questo sconosciuto, quando mette gli investimenti diretti esteri in entrata al passivo.
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ma c’è un espertone, un intellettuale della Magna Grecia, che continua a pontificare dal blog del Fatto Quotidiano che gli investimenti diretti esteri in entrata (afflusso di capitali con finalità di acquisizione di aziende italiane) sono cosa buona e giusta, che ci salveranno, che sono un’attività (asset), e non una passività (liability) nella posizione patrimoniale netta sull’estero del paese
...
Ora, vedete, l’economista di Campobasso, guarda caso, è proprio un dipendente di un signore (Goldman Sachs) che dalla svendita del patrimonio italiano ha tanto da guadagnare
...
Concludiamo con quest’ultimo che sì, la svendita delle nostre aziende è un problema (cosa che stiamo dicendo da qualche tempo, direi da prima di tutti gli altri, ma visto che nessuno ci è stato a sentire questo non credo sia motivo di vanto). E su questo gli economisti molto preparati, lo ribadisco, hanno senz’altro ragione.
Seconda considerazione: l’euro ci protegge?
...
La lista sopra riportata ha l’importanza che ha, cioè zero: è una mera collezione di aneddoti. Certo, osserviamo che le acquisizioni aumentano durante la crisi, ma questo dato ha effettivamente un qualche valore? Potrebbe anche essere solo che Simone ha avuto meno difficoltà a trovare notizie recenti che notizie remote, no?
No.
Le evidenze macroeconomiche ci dicono che le cose stanno esattamente come i dati riportati le lasciano intuire. L’entrata nell’euro prima, e la crisi poi, hanno determinato un’impennata delle acquisizioni di aziende italiane da parte dell’estero. Basta guardarsi le serie storiche, non è che ci voglia molto.
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Il quadro non cambia molto, ma in più si vedono alcuni eloquenti dettagli. Ad esempio, prima dell’euro il picco delle acquisizioni non si è avuto dopo la svalutazione del 1992, come dicono quelli dei fire sales, ma nel 1988, in pieno Sme “credibile”, quando cioè la lira era “forte”
...
c’è gente che continua a credere e a raccontare che l’euro sia stato messo su per rendere la vita facile ai turisti, o alle ditte di import/export.Ma noi sappiamo, e lo si sapeva anche prima, che i vantaggi dell’euro misurati in questa dimensione sarebbero stati irrisori: ... Le transazioni commerciali risentivano (e risentono) del rischio di cambio in modo molto limitato perché i mercati finanziari consentono efficaci coperture a breve da questo rischio
...
l’euro che difendete (apertamente, o gesuiticamente, con distinguo vari, dai fire sales alla moneta comune...) è stato fatto per proteggere i movimenti di capitale a medio-lungo termine dal rischio di cambio, cioè per favorire la circolazione indiscriminata dei capitali all’interno dell’Eurozona. L’euro è un pezzo importante (anche se “locale”) del progetto di globalizzazione, che così, a occhio, non mi sembra esattamente una cosa “di sinistra”
...
un progetto fatto per favorire la circolazione (cioè i deflussi e gli afflussi) di capitali crea evidentemente, in re ipsa, un ambiente favorevole all’acquisizione di aziende da parte di capitali esteri, e proprio non si vede come sia logicamente possibile sostenere il contrario! Attenzione: ovviamente la cosa vale nei due sensi, si intende: anche noi abbiamo avuto più facilità nell’acquistare aziende estere. Ma qui subentra la mens rea di Bruxelles: chissà perché, quando ci muoviamo noi per acquistare, se tentiamo di farlo nei paesi del Nord, son sassate nei denti
...
L’euro, distruggendo la redditività delle aziende italiane (attraverso la chiusura dei mercati di sbocco, attraverso il collasso del mercato interno favorito dalle riforme a base di flessibilità, attraverso mille canali) ha fatto crollare il prezzo delle aziende italiane. Chiaro? Il prezzo delle aziende è crollato molto più di quanto il prezzo della valuta (l’euro) sia aumentato.
E non mi riferisco solo al prezzo di quelle quotate in borsa: mi riferisco anche alle aziende non quotate, che a fronte di cali importanti del fatturato sono ben liete di accettare offerte di liquidazione sottoprezzo.
...
Chi vuole l’euro vuole lo sterminio e la vendita a saldo di quello che resta delle nostre aziende.
...
Possiamo poi illuderci che il capitalista straniero sia necessariamente più bravo di quello italiano e che quindi per difendere il posto di lavoro di chi ce l’ha (magari fottendosene un po’ delle prospettive di chi non ce l’ha) il compito del sindacato debba essere quello di favorire le varie svendite (salvo poi pentirsene quando i lavoratori italiani vengono licenziati e gli stabilimenti chiusi, con il trasferimento in altri lidi di tecnologie e marchi). Mi avete raccontato centinaia di storie simili, e sono venuti qui anche sindacalisti a confessarci il loro disagio a fronte di questa linea, lo ricordate?
...
Quindi chi vuole l’euro vuole un lavoratore licenziato dall’investitore che ha acquistato l’azienda italiana (perché questo accade spesso e volentieri), e tartassato, a valle, dallo Stato italiano, perché bisogna fare sacrifici per onorare i vari impegni con l’estero, fra i quali anche quello di remunerare il capitale del capitalista (estero) che ti ha licenziato."
(goofynomics.blogspot.it)
...
c’è gente che continua a credere e a raccontare che l’euro sia stato messo su per rendere la vita facile ai turisti, o alle ditte di import/export.Ma noi sappiamo, e lo si sapeva anche prima, che i vantaggi dell’euro misurati in questa dimensione sarebbero stati irrisori: ... Le transazioni commerciali risentivano (e risentono) del rischio di cambio in modo molto limitato perché i mercati finanziari consentono efficaci coperture a breve da questo rischio
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l’euro che difendete (apertamente, o gesuiticamente, con distinguo vari, dai fire sales alla moneta comune...) è stato fatto per proteggere i movimenti di capitale a medio-lungo termine dal rischio di cambio, cioè per favorire la circolazione indiscriminata dei capitali all’interno dell’Eurozona. L’euro è un pezzo importante (anche se “locale”) del progetto di globalizzazione, che così, a occhio, non mi sembra esattamente una cosa “di sinistra”
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un progetto fatto per favorire la circolazione (cioè i deflussi e gli afflussi) di capitali crea evidentemente, in re ipsa, un ambiente favorevole all’acquisizione di aziende da parte di capitali esteri, e proprio non si vede come sia logicamente possibile sostenere il contrario! Attenzione: ovviamente la cosa vale nei due sensi, si intende: anche noi abbiamo avuto più facilità nell’acquistare aziende estere. Ma qui subentra la mens rea di Bruxelles: chissà perché, quando ci muoviamo noi per acquistare, se tentiamo di farlo nei paesi del Nord, son sassate nei denti
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L’euro, distruggendo la redditività delle aziende italiane (attraverso la chiusura dei mercati di sbocco, attraverso il collasso del mercato interno favorito dalle riforme a base di flessibilità, attraverso mille canali) ha fatto crollare il prezzo delle aziende italiane. Chiaro? Il prezzo delle aziende è crollato molto più di quanto il prezzo della valuta (l’euro) sia aumentato.
E non mi riferisco solo al prezzo di quelle quotate in borsa: mi riferisco anche alle aziende non quotate, che a fronte di cali importanti del fatturato sono ben liete di accettare offerte di liquidazione sottoprezzo.
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Chi vuole l’euro vuole lo sterminio e la vendita a saldo di quello che resta delle nostre aziende.
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Possiamo poi illuderci che il capitalista straniero sia necessariamente più bravo di quello italiano e che quindi per difendere il posto di lavoro di chi ce l’ha (magari fottendosene un po’ delle prospettive di chi non ce l’ha) il compito del sindacato debba essere quello di favorire le varie svendite (salvo poi pentirsene quando i lavoratori italiani vengono licenziati e gli stabilimenti chiusi, con il trasferimento in altri lidi di tecnologie e marchi). Mi avete raccontato centinaia di storie simili, e sono venuti qui anche sindacalisti a confessarci il loro disagio a fronte di questa linea, lo ricordate?
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Quindi chi vuole l’euro vuole un lavoratore licenziato dall’investitore che ha acquistato l’azienda italiana (perché questo accade spesso e volentieri), e tartassato, a valle, dallo Stato italiano, perché bisogna fare sacrifici per onorare i vari impegni con l’estero, fra i quali anche quello di remunerare il capitale del capitalista (estero) che ti ha licenziato."
(goofynomics.blogspot.it)
Ed infatti le conseguenze sull'occupazione ci saranno, non si possono avere dubbi in merito:
(www.corriere.it)
Quando Telefonica dovrà razionalizzare e rendere più competitiva l'azienda, ovviamente se ci saranno tagli occupazionali proteggerà prima di tutto i dipendenti spagnoli, in quanto le pressioni di quel governo sulla dirigenza saranno molto più forti di quelle del governo italiano. Ed inoltre l'azienda vedrà spostarsi i profitti all'estero. Come avviene sovente per le multinazionali, lo Stato italiano vedrà ridursi sempre più il gettito fiscale via via che queste aziende emigreranno all'estero.
Anche questa è perdita di sovranità. E' la manifestazione più evidente del vassallaggio italiano verso l'estero. L'unica grande industria rimasta (seppur malconcia), la Fiat, a sua volta se ne andrà negli Usa. Questa volta senza essere ceduta, anzi diventando essa stessa acquirente di una importante azienda americana, lascerà di sua spontanea volontà l'Italia per lavorare in modo più proficuo oltreoceano. Fra poco l'Italia non sarà più un paese industrializzato, senza peraltro essere diventato nel frattempo un paese di altro tipo...
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