C. Cattaneo - patriota italiano
La Lega all'opposizione, ma sempre in dialogo con l'ex alleato (dietro le quinte), porta da sempre in politica l'idea del federalismo. La cui attuazione era iniziata in Parlamento, ma ora langue in un limbo non chiarito dall'attuale governo. Difficile capire se il governo Monti intenda concludere l'iter per rendere effettiva la riforma. Inoltre è complicato capire, in base alle dichiarazioni sui giornali, se l'Italia ne avrebbe giovamento, o se provocherebbe un aumento dei costi di amministrazione.
Il federalismo di solito è una forma di organizzazione dello Stato che prevede l’unificazione sotto un unico governo, di diversi Stati-nazione inizialmente indipendenti. Il caso tipico è quello degli Usa. L’Italia potrebbe trasformarsi in un’entità statale del genere? Probabilmente avrebbe potuto farlo nell’800, prima di unirsi con i moti del risorgimento sotto un unico governo centrale.
Per esempio, l’intellettuale risorgimentale lombardo C. Cattaneo (1801-1869), fu il portabandiera dell’idea di un’Italia federale, che all’epoca già divisa in piccole nazioni, avrebbe potuto concretizzarsi.
“Il federalismo era una tendenza per lui così naturale sulla via dell'incivilimento che non necessitava di ulteriori evidenze. "L'Italia - scriveva nel 1850 ad un amico - è fisicamente e istoricamente federale". Di più, la questione federale "è la questione del secolo; è per la prima volta al mondo una questione di tutto il genere umano: o l'ideale asiatico, o l'ideale americano: aut aut". Dove per ideale asiatico si intendeva il vecchio centralismo amministrativo, dispotico e assi poco liberale, e per quello americano il nuovo orizzonte della federazione e della libertà.
Cattaneo giustificava la necessità di un'ampia autonomia amministrativa nel nome supremo della libertà. "I molteplici consigli legislativi, e i loro consensi e dissensi, e i poteri amministrativi di molte e varie origini, sono condizioni necessarie di libertà. [Al contrario] quando ingenti forze e ingenti ricchezze e onoranze stanno raccolte in pugno di un'autorità centrale, è troppo facile costruire o acquistare la maggioranza d'un unico parlamento: la libertà non è più che un nome; tutto si fa come tra padrone e servi". E poi, con saggezza quasi popolare, aggiungeva: "Meglio vivere amici in dieci case che discordi in una sola".
A differenza di Mazzini, Cattaneo riteneva che federalismo e repubblicanesimo dovessero marciare di pari passo, proprio come negli Stati Uniti. Tante piccole repubbliche avrebbero dovuto costituire l'ossatura di una più grande e forte repubblica federativa. "Quanto meno grandi e meno ambiziose saranno in tal modo le repubblichette - scriveva nel 1850 -, tanto più saldo e forte sarà il repubblicone, foss'egli pur vasto, non solo quanto l'Italia, ma quanto la immensa America". "Uomini frivoli - aggiungeva pochi anni dopo, polemizzando vigorosamente con moderati e neoguelfi - dimentichi della piccolezza degli interessi che li fanno parlare, credono valga per tutta confutazione del principio federale andar ripetendo che è il sistema delle vecchie repubblichette. Risponderemo ridendo, e additando loro al di là d'un Oceano l'immensa America, e al di là d'altro Oceano il vessillo stellato sventolante nei porti del Giappone".”
Oggi Cattaneo fa parte del panteon mitologico leghista, ma probabilmente il federalismo proposto da Cattaneo, oggi non ha più vere ragioni d’esistere dopo 150 anni di unità nazionale, che hanno cancellato il ricordo dei vecchi staterelli che componevano la penisola.
Semmai quello che viene proposto oggi come “federalismo” è una sorta di repubblica regionalistica, come del resto era già previsto nella prima versione della Costituzione italiana:
“Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione” (ex art 115 del Titolo V, poi modificato dal centrosinistra)
Il principio fondamentale a cui si ispira il federalismo/regionalismo attuale (nei disegni di legge giacenti in Parlamento) è in realtà un principio di riequilibrazione della gestione dei governi locali dei diversi territori nazionali. Non è un federalismo alla Cattaneo che fotografa la realtà di una nazione già suddivisa in stati autonomi, ma invece prevede di regolare meglio le suddivisioni amministrative di una nazione unitaria. E pretende che le varie entità locali abbiano ognuna un modo di governarsi omogeneo da nord a sud.
Non si è ancora compreso che fine farà il federalismo impostato e proposto dal precedente governo, nelle intenzioni del nuovo, ma a quanto pare non è mai stato citato nei discorsi ufficiali di premier e ministri. Si può desumere quindi che l’attuale governo non ha molto desiderio di portarlo avanti.
Ma almeno, viene da chiedersi in tempi di austerità, il federalismo/regionalismo all’italiana avrebbe potuto dare un contributo al risparmio nel bilancio pubblico? O invece porterebbe a un aggravio dei costi pubblici?
Secondo il blogger Phastidio, come per molti commentatori più o meno contrari al federalismo, la situazione generata da questa riforma sarebbe la seguente:
“Nel corso dell’anno la Spagna scoprirà che il problema della propria finanza pubblica sono i rubinetti aperti in ambito locale … L’era della Grande Austerità rischia quindi di seppellire definitivamente tutte le suggestioni su federalismo ed autonomia, che noi italiani ci siamo insufflate nel cranio durante questo ventennio di becerume leghista.”
Si tratta di un’analisi un po’ affrettata, anche perché la riforma federalista/regionalista non può essere ascritta ad una sola parte politica: la modifica del titolo V della Costituzione è stata attuata in realtà da un governo di centro-sinistra. E poi, per poter formulare un giudizio completo, è necessario capire cosa propone l’eventuale riforma federalista futura.
Ho preso in considerazione il disegno di legge più recente depositato alla Camera, che mi pare anche quello più aderente ai propositi del precedente governo:
All’art. 2, la proposta di legge prevede un cambiamento del modo in cui lo Stato centrale finanzia gli enti locali, ed è il più importante aspetto economico contenuto nel testo di legge.
In un vero federalismo, dovrebbero essere gli enti locali ad effettuare il prelievo fiscale, per poi trattenere la loro quota e inviare al governo centrale la sua parte di spettanza.
Ma evidentemente lo Stato italiano continua a non aver fiducia nelle sue amministrazioni periferiche, per cui preferisce continuare a prelevare tutto il gettito fiscale per poi ridistribuirlo.
Ed il cuore di questa riforma sarebbe proprio il metodo utilizzato per redistribuire a livello locale le risorse statali, non più in base alle richieste locali della “spesa storica”, ma in base alla:
“determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica; definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione”
E più avanti la relazione allegata specifica:
“alla lettera f) si introduce la nozione di costo e fabbisogno standard: si tratta del costo o fabbisogno che - valorizzando l’efficienza e l’efficacia - costituisce l’indicatore rispetto a cui comparare e valutare l’azione pubblica. Saranno inoltre definiti gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione”
Scorrendo velocemente anche gli altri punti di questa riforma federalista/regionalista, mi pare che in realtà contenga norme di buona regolazione e amministrazione degli enti locali all’interno di uno Stato centralista, più che federalista. Norme che si sarebbero dovuto emanare già all’indomani della fondazione della Repubblica.
Ma per tornare alla domanda: il federalismo all’italiana farebbe lievitare i costi o introdurrebbe un risparmio? Credo non sia facile dare una risposta univoca e certa.
Tutto dipende dalla determinazione dei “costi standard” e del livello di solidarietà applicata. Quest’ultima viene così descritta nella relazione dell’art. 1:
“L’assicurazione dell’autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali e la garanzia dei principi di solidarietà e coesione sociale sono menzionati come tratti caratterizzanti dell’intervento. Gli obiettivi del provvedimento attuativo sono, in particolare:
- la graduale sostituzione del criterio della spesa storica per tutti i livelli di governo;
- la “massima” responsabilizzazione dei medesimi livelli di governo, l’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti;
- perseguire lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese.”
Se per esempio venisse applicato un “costo standard” per ogni servizio pubblico, corrispondente alla miglior gestione pubblica attuale in ogni ambito, e nel contempo si tenesse un livello di solidarietà molto blando, il risparmio nei conti pubblici dello Stato centrale sarebbe molto alto.
Ma direi che una prospettiva del genere sarebbe molto remota perché implicherebbe la ristrutturazione di amministrazioni pubbliche sovradimensionate, con conseguenti tagli e costi sociali non sostenibili dalla politica. Una riforma in questo senso, benché probabilmente era l’obbiettivo degli estensori della proposta, non potrebbe essere applicata.
Se invece, i “costi standard” venissero calcolati con una certa larghezza (proprio per venire incontro alle amministrazioni locali poco efficienti), e si utilizzasse la “scusa” della solidarietà e coesione sociale per giustificare qualsiasi sforamento, probabilmente non si avrebbe nessun vantaggio per il bilancio statale. Si potrebbe addirittura avere un peggioramento dei conti.
La proposta di legge federale all’italiana, di per se contiene buoni propositi, il problema come al solito è la sua applicazione. La norma è sempre generalista, magari chi la propone ha in mente effetti di austerità amministrativa, ma chi la applica potrebbe essere una forza politica con idee completamente diverse, e utilizzare la stessa norma per aumentare la spesa pubblica.
Per esempio, anche la recente riforma del Titolo V della Costituzione introduce principi positivi, ma è stata anche responsabile di alcuni sprechi degli enti locali, che li hanno mascherati come nuove esigenze burocratiche dovute alla maggiore autonomia amministrativa.
Quindi il “federalismo” non è ne buono ne cattivo. Dipende solo da chi e come viene gestito.
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