domenica 12 febbraio 2012

Vita Rock

(Little black submarines - The Black Keys)

Due quasi ragazzi Rock, "The Black Keys" hanno fatto un bel disco (il mio preferito in questo periodo) che sembra appena uscito da un freezer, e messo li negli anni settanta americani. Il decennio migliore per il Rock, e forse della musica popolare in generale.


"Due ragazzotti di un’anonima Akron nell’Ohio, ora trapiantati nella scicchissima Nashville ma sempre con il loro guardaroba di camicie, barbe e parole qualsiasi. Il loro ultimo disco, El camino, ha sollevato solo un dubbio: essendo stato pubblicato all’inizio di dicembre, è rimasta l’incertezza, come ha sintetizzato il Los Angeles Times, se eleggerlo miglior disco del 2011 o già del 2012. Sulla fiducia."

Un gruppo formato da due personaggi veri:
"«In realtà noi siamo in giro da circa dieci anni, e abbiamo fatto tour con Pearl Jam e Radiohead» ha sussurrato il chitarrista Dan Auerbach quasi a giustificarsi di tanto successo. «Ma non siamo rockstar, mica ci mettiamo gli occhiali da sole alla moda»"

Vengono da Akron nell’Ohio: "«Un posto da sfigati, per emergere bisogna faticare il triplo»."

E continuano una lunga tradizione:
"Evaporati i White Stripes, convalescenti i Kings of Leon, tocca a loro mantenere l’onore del rock vecchio stile, quello lasciato decantare in una barrique zeppa di ricordi. I Clash. I T Rex. Screamin’ Jay Hawkins. Tutta l’America anni Settanta da Grand Funk Railroad fino a ZZTop. E Led Zeppelin, ma certo: in Little black submarines c’è un tale tributo a Stairway to heaven che l’intreccio di chitarra e batteria sembra proprio tale quale (per carità, absit iniuria verbis). In fondo, è sottile la differenza tra plagio e rinnovamento.
Scopiazzatura e rielaborazione. Per loro vale la seconda: così possono praticamente risuonare uno dei pezzi più famosi senza far inorridire nessuno. «Il rock è fatto di fasi alterne, ma non morirà mai»"

(Stairway to Heaven - Led Zeppelin)

Due personaggi veri che non si sono montati la testa e vivono di musica e del sudore del palco:

"«Vendiamo milioni di dischi ma non sono loro a mantenerci. La musica si divide in due: quella che rientra nella Top 40 delle radio. E quella che ne sta fuori. Noi stiamo fuori. E viviamo grazie ai concerti». Difatti ne fanno quattordici in quindici giorni. In tutta Europa. E allora per forza sono rock e a loro gli scintillii del Park Hyatt non fanno né caldo né freddo: ci stanno giusto il tempo di fare ciao ciao ai giornalisti in adorazione e poi rotolare via. «Negli States giriamo su di un pullman». O magari un minivan come quelli meticolosamente affastellati sulla copertina e il libretto interno del cd. Di sicuro girano fuori tempo: non abitano nel 2012. E sono istruttivi: due ragazzi qualunque che pestano sodo, valgono il prezzo del biglietto e sono drammaticamente soli a fare i musicisti come una volta. Semplici. E basta."

Il Rock giusto per questo periodo di Stamp food e austerty. Altro che San Remo, un relitto dove quattro vecchi rincoglioniti giocano a fare i "ggiovani".

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