Nella vita ci vuole equilibrio. Anche le nazioni non sfuggono a questa necessità. Non si può impostare la vita economica di una nazione solamente sulle esportazioni e non si può nemmeno fare il contrario, cioè non esportare nulla.
La Germania è un caso patologico di nazione super esportatrice, che non solo vorrebbe campare sulle spalle degli stranieri, ma per di più impedisce ad alcuni di questi, attraverso l'austerità europea di indebitarsi per importare i suoi prodotti. Una politica economica schizofrenica.
"Le esportazioni hanno bisogno di compratori
Allo stesso tempo i critici sottolineano che con la struttura attuale della moneta unica, i vantaggi tedeschi non sono automaticamente trasferibili a tutti i paesi della zona Euro. Cosi' scrive l'economista Mark Blyth nell'ultimo numero della prestigiosa rivista americana Foreign Policy: il successo tedesco è basato su di un mix di bassi consumi interni e abbondanti esportazioni. La crescita in Germania è quindi legata ai bassi costi di produzione e ad una valuta stabile. L'unione monetaria di fatto è stata modellata sulle necessità tedesche: una forte politica di competitività e una "banca centrale estremamente indipendente e concentrata sull'inflazione". Non tutti gli stati possono pertanto seguire il modello tedesco - anche solo per una questione di principio: l'offensiva tedesca dell'export funziona solamente quando gli altri stati acquistano piu' di quanto non riescano ad esportare all'estero [5]". "Dovranno tutti ottenere un avanzo commerciale con l'estero?", Blyth cita un commento ironico della stampa economica: "E se si', con chi? Con gli abitanti di altri pianeti?"."
(vocidallagermania.blogspot.it)
Come finirà in Europa è facile da prevedere. O si sfascia la zona euro e la Germania è destinata a subire una feroce concorrenza degli altri paesi. O se vorrà mantenere i vantaggi dell'euro, dovrà rinunciare a parte di essi e partecipare a una politica di trasferimento fiscale dalle sue casse verso le aree povere dell'Europa. La situazione attuale è difficile possa continuare ancora a lungo come ha espresso fra gli altri J. Sapir (vedi "Due visioni d'Europa lungo le rive del Reno")
Dal lato opposto, non esportare è altrettanto pericoloso, perché significa vedere la propria moneta deprezzarsi sempre più, e vedere la propria economia travolta dall'inflazione. E' quello che sta avvenendo all'Egitto, travolto prima dalla rivolta popolare ed ora abbandonato dalla comunità internazionale. L'Egitto da sempre meta del turismo internazionale ha visto un calo pesantissimo delle presenze straniere a causa dell'instabilità politica. Questo calo ha causato la diminuzione delle entrate di valuta straniera.
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Le stime riviste ipotizzano ora un deficit-Pil al 12,1 per cento ma, considerando l’andamento stagionale delle leggi di spesa, che tende ad innalzarsi nell’ultimo trimestre dell’anno fiscale, è molto probabile che anche quell’obiettivo verrà mancato.
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L’instabilità politica si traduce infatti in aumento delle remunerazioni per i dipendenti pubblici, nel tentativo di comprare consenso. Ma una componente rilevante della maggiore spesa pubblica è frutto dell’effetto perverso legato al cambio: come noto, l’Egitto ha un pesantissimo (per i conti pubblici) sistema di sussidi su alimentari ed energia, che sono in larga parte importati. Il violento deprezzamento del cambio rende le importazioni sempre più costose, motivo per il quale anche l’esborso pubblico per sussidi esplode e registra, nei primi nove mesi dell’anno fiscale, un incremento del 15,2 per cento sullo stesso periodo dello scorso anno. La terza pesante voce di spesa pubblica è data dagli interessi sul debito sovrano, detenuto esclusivamente da residenti, nello specifico dal sistema bancario nazionale, che paga tassi compresi tra il 13 ed il 17 per cento.
Come già segnalato, il paese perde riserve valutarie copiosamente, per il combinato disposto di una industria petrolifera morente per deficit di investimenti, mentre il settore turistico è agonizzante: secondo l’associazione egiziana degli albergatori il tasso di occupazione degli alberghi al Cairo è al 15 per cento, ed a Luxor addirittura del 5 per cento, mentre reggono solo i resort sul Mar Rosso, grazie soprattutto al turismo russo.
... il paese rischia di avvitarsi in una spirale inflazionistica molto pericolosa, causata dall’intervento della banca centrale in monetizzazione del deficit pubblico, visto che le banche commerciali hanno sempre meno margini per assorbire le nuove emissioni di debito pubblico."
(phastidio.net)
Cosa si dovrebbe fare quindi? E' ovvio che ci vuole una ragionevole via di mezzo. Non si può rinunciare alle esportazioni, che sono necessarie per lo scambio di valuta internazionale e per la stabilità della propria moneta. Ma avere uno squilibrio di esportazione, se da un lato rende euforica la propria industria nazionale, dall'altro la rende troppo dipendente dai capricci degli stranieri.
Per avere un buon equilibrio tra export ed import è altresì necessario curare il mercato interno. E' necessario che le produzioni interne e la domanda interna siano adeguatamente sostenute. Per fare ciò vanno tenute in vita ed in efficienza le produzioni di beni e servizi nazionali, e quindi di conseguenza va tenuto sotto controllo il livello di disoccupazione. Cosa che nessuna nazione sta facendo: in tutte si attuano solo politiche di miglioramento della competitività che si traduce di solito in un contenimento salariale, che è l'esatto opposto di una protezione del proprio mercato interno.
Oggi si sta perseguendo una politica di sostegno all'economia interna, alla domanda ed offerta nazionale, da qualche parte nel mondo? Si e no. Per esempio in Giappone si è dato avvio ad una campagna di stampa di moneta senza precedenti:
" ... il Giappone sta continuando ad inondare il mercato di Yen freschi di stampa, per la precisione 85 miliardi di dollari al mese per i prossimi 24 mesi, oltre il 30% del suo PIL."
(www.rischiocalcolato.it)
Tutto questo per provocare la svalutazione della propria moneta e quindi un aumento delle proprie esportazioni. Quindi di nuovo il Giappone sta puntando su un disequilibrio della bilancia commerciale a favore delle esportazioni. Il Giappone ha bisogno di un disavanzo enorme per avere una crescita interna: questo è un sostegno alla domanda ed offerta interna per via indiretta, che però non può funzionare a lungo ed espone il Giappone ai contraccolpi commerciali esterni.
Anche i vari Quantitative easing della Fed non hanno sortito grandi risultati sull'economia interna Usa che continua ad essere poco reattiva rispetto alla quantità di dollari stampata in questi anni. Dollari finiti quasi tutti in attività finanziarie e non nell'economia reale (vedi "Cinque anni di steroidi nelle borse"). I Qe non sono la strada giusta per addivenire ad una crescita sana ed equilibrata delle economie nazionali.
"Io penso invece che ancora una volta si sta sbagliando tutto. Si agisce sempre, sia che si passi dall'austerità o dal Quantitative easing, dalla parte dell'offerta o delle banche o della finanza.
Ed invece, di una politica espansiva c'è un urgente bisogno, ma dalla parte della domanda. L'esempio ce l'abbiamo sotto il naso qui in Italia, e tutti fanno finta di non vederlo:
"Marzo chiude con 132.020 targhe e una flessione del 4,9% verso marzo 2012, interrompendo così il calo a due cifre dopo 15 mesi consecutivi. Questi i dati rilasciati oggi dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che portano il primo trimestre dell’anno a 354.931 auto vendute, in flessione del 13% sull’anno precedente."
(www.unrae.it)
"A volere guardare il pelo nell’uovo, ... sull’auto sono entrati in vigore a Marzo gli incentivi per le automobili “ecologiche” specie quelle a GAS (link al Fatto Quotidiano) . La Fiat si è fatta trovare pronta con una flotta bi-fuel e ha archiviato il primo trimestre di crescita da 2 anni."
(www.rischiocalcolato.it)
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Sant'Incentivo ha colpito ancora. I Quantitative easing vanno fatti nelle mani dei consumatori e non nelle mani di intermediari che investono in beni finanziari fini a se stessi. E nemmeno per migliorare l'offerta sperando, attraverso una stupida guerra valutaria, di piazzare i propri prodotti all'estero. Il mercato interno non è influenzato da politiche internazionali, da guerre doganali o altro. E' sempre li a disposizione, facilmente controllabile. L'aumento del Pil nazionale che consegue a politiche espansive interne, può generare maggior gettito fiscale, che rende a sua volta meglio sostenibile il debito pubblico.
Il credito privato poi funziona meglio se i consumi interni aumentano. Un credito basato sull'economia reale è sempre più sano di quello basato su strumenti finanziari al limite della "Catena di Sant'Antonio" come derivati e affini."
(Se fallisce il Giappone, lanciamo banconote dagli elicotteri)
L'incentivo ai consumi interni, il sostegno della domanda, il sostegno all'occupazione ecc. sono tutte politiche costose, che attualmente l'Unione Europea non è in grado di perseguire. Per attuare queste politiche sarebbe necessario ritornare ad una piena sovranità monetaria ed economica.
In mancanza di questa, comunque una politica di sostegno all'economia interna potrebbe essere fatta anche a livello continentale se solo la Germania comprendesse il pericolo di un eccessivo disequilibrio della bilancia commerciale. Per riportare equilibrio tra import ed export a livello continentale si dovrebbe partire dalla nazione più forte.
"In Europa, dovrebbe essere la Germania ad iniziare una politica incentivante i consumi di questo tipo. Con l'aumento delle sue importazioni, aiuterebbe i paesi più deboli dell'eurozona a risanare i propri conti. Una volta risanati questi, anche i paesi periferici potrebbero adottare politiche di forti incentivazioni ai consumi. La politica di incentivazione potrebbe essere regolata facilmente a piacere, aprendo e chiudendo i rubinetti, a seconda che l'economia si trovi in asfissia o in pericolo inflattivo. Uno strumento assai più preciso e meno pericoloso che quello basato in toto sulle esportazioni adottato oggi da Germania e Giappone.
...
E' giunto il momento di percorrere la strada inversa: cioè finora si è pensato di favorire il ceto alto per far si che questo investisse in nuove attività. In realtà questa politica ha solo prodotto un aumento iperbolico delle differenze tra ricchi e poveri. L'economia reale non ne ha giovato. Anzi, chi ha grandi capitali non sa più come farli fruttare, perché nel mondo non esistono più investimenti abbastanza sicuri e proficui.
E' giunto il momento della redistribuzione sociale. Ed a farla, a vantaggio dell'economia intera, non può che essere lo Stato. Gli incentivi, la leva fiscale, il sostegno della domanda in tutte le sue forme sono i mezzi migliori per ottenere il risultato di avere una società più giusta e una miglior ridistribuzione della ricchezza nazionale."
"In Europa, dovrebbe essere la Germania ad iniziare una politica incentivante i consumi di questo tipo. Con l'aumento delle sue importazioni, aiuterebbe i paesi più deboli dell'eurozona a risanare i propri conti. Una volta risanati questi, anche i paesi periferici potrebbero adottare politiche di forti incentivazioni ai consumi. La politica di incentivazione potrebbe essere regolata facilmente a piacere, aprendo e chiudendo i rubinetti, a seconda che l'economia si trovi in asfissia o in pericolo inflattivo. Uno strumento assai più preciso e meno pericoloso che quello basato in toto sulle esportazioni adottato oggi da Germania e Giappone.
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E' giunto il momento di percorrere la strada inversa: cioè finora si è pensato di favorire il ceto alto per far si che questo investisse in nuove attività. In realtà questa politica ha solo prodotto un aumento iperbolico delle differenze tra ricchi e poveri. L'economia reale non ne ha giovato. Anzi, chi ha grandi capitali non sa più come farli fruttare, perché nel mondo non esistono più investimenti abbastanza sicuri e proficui.
E' giunto il momento della redistribuzione sociale. Ed a farla, a vantaggio dell'economia intera, non può che essere lo Stato. Gli incentivi, la leva fiscale, il sostegno della domanda in tutte le sue forme sono i mezzi migliori per ottenere il risultato di avere una società più giusta e una miglior ridistribuzione della ricchezza nazionale."
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