martedì 16 ottobre 2012

Crescita e austerità



Anche Giavazzi e Alesina abbandonano Monti. Lo accusano di aver messo troppe tasse e di avere fatto pochi tagli dove invece potevano essere fatti. Questa è la loro tesi. Non so se sia una tesi comprovabile dalla realtà, perché probabilmente anche una manovra fatta per la maggior parte di tagli è recessiva.

Ma sicuramente hanno ragiona nel criticare la politica dell'austerità, e la scelta di colpire con tasse e tagli in modo iniquo.

"Le manovre varate negli ultimi 12 mesi, prima dal governo Berlusconi e poi dal governo Monti, si possono così riassumere
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entrate delle amministrazioni pubbliche dovrebbero crescere di 82 miliardi, le spese scendere di 43. Di questi tagli, tuttavia, circa 23 miliardi sono minori trasferimenti a Comuni, Province e Regioni. Se questi enti, come sta accadendo, compenseranno la riduzione dei fondi che ricevono dallo Stato aumentando le tasse locali, il risultato complessivo di queste manovre sarà 105 miliardi di maggiori tasse e 20 di minori spese.

L'esperienza delle correzioni dei conti pubblici attuate ... ci insegna che questa composizione è recessiva.
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Invece le manovre che hanno avuto minori effetti recessivi, e che quindi hanno ridotto più rapidamente il debito, sono state quelle con una composizione opposta rispetto alla nostra: tagli di spesa e minori aggravi fiscali.
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aumentando le imposte hanno avuto un «moltiplicatore» pari a circa 1,5: cioè per ogni punto di Pil (Prodotto interno lordo) di correzione dei conti l'economia si è contratta, nel giro di un paio d'anni, di un punto e mezzo.
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alla fase uno doveva seguire una fase due: tagli di spesa in misura sufficiente a consentire una riduzione delle aliquote.
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Stato e amministrazioni locali spendono ogni anno (dati del 2010 e senza contare gli interessi sul debito) circa 720 miliardi. Togliamo i 310 miliardi che vanno in pensioni e spesa sociale: ne restano 410. Una riduzione del 20 per cento di queste spese, senza alcun taglio alla spesa sociale, consentirebbe di risparmiare 80 miliardi e di ridurre la pressione fiscale di 10 punti.

Non si tratta di reperire qualche milione di euro qua e là ..., ma di ripensare senza pregiudizi a come lo Stato spende il denaro dei contribuenti."

(www.corriere.it)

Secondo il duo di economisti liberisti, lo Stato dovrebbe sostenere solo i più deboli, e trasformare i residui di economia sociale-statale italiana in economia privata, liberalizzata. Le classi abbienti non dovrebbero accedere ad agevolazioni statali.
I rifiuti dovrebbero essere raccolti da società private più efficienti; le ferrovie che ricevono sussidi non dovrebbero fare sconti agli anziani, se non bisognosi; scuole ed università private non dovrebbero essere sostenuti dallo Stato (chi glielo dice alla Chiesa?); le imprese dovrebbero rinunciare ai sussidi in cambio di un taglio del cuneo fiscale.

Forse si sopravvalutano le "classi abbienti" italiane. Probabilmente sono una minoranza irrilevante. Inoltre l'ideologia liberista secondo cui le aziende pubbliche in mano privata diventano competitive e convenienti, è solo un'ideologia. In Italia i monopoli pubblici in mano ai privati hanno visto solo aumenti tariffari, nessun vantaggio per l'utenza.

Per cui la raccolta rifiuti diverrebbe più cara, è sufficiente vedere le tariffe per lo smaltimento applicate dalle discariche private; le ferrovie raddoppierebbero il costo dei biglietti (allineandosi al resto d'Europa), impoverendo ulteriormente i pendolari, e perdendo viaggiatori a favore di altri mezzi. Le scuole private sono spesso frequentate anche grazie ai sussidi pubblici, senza chiuderebbero e si perderebbero ulteriori posti di lavoro. Forse quella del cuneo fiscale è la sola idea buona, visto che ne è favorevole anche la Confindustria.

Ma la realtà è molto lontana dai temi cari ai liberisti (vedi grafico in testa):

"Ad Aprile il Fmi indicava per l'Italia un calo del Pil dell'1,9 nel 2012 e dell' 0,3 nel 2013. In questi giorni le proiezioni sono state chiaramente riviste al ribasso, ossia -2,3 nel 2012 e a -0,7 nel 2013.

Ovviamente l'austerity non sta pagando. Secondo gli esperti, ad 1 unità di punto di spesa tagliata la perdita in termini di Pil si aggira tra 0,9 e 1,7 unità. Ciò conferma da un lato che l'austerity non è la soluzione ideale, mentre dall'altro quanto il Pil fosse drogato dalla spesa pubblica."
(borsadocchiaperti.blogspot.it)

La verità è tutta qua. La spesa statale contribuisce al Pil, soprattutto in Italia. Per questo la contrazione austerica imposta dal governo Monti sta facendo tanti danni all'economia. Perché in pratica questo governo tassando e tagliando i trasferimenti di denaro pubblico, sta tagliando una parte del Pil.

La discesa del Pil certificata (-2,3%) equivale a circa 35 miliardi (che diverranno poi 50) che equivalgono su per giù al taglio delle spese statali. Ma in realtà non credo sia così semplice, la discesa del Pil dipende da un mix di tasse (non ancora tutte incassate), di tagli pubblici, di aumento dell'indebitamento privato e di riduzione del risparmio che viene sempre più intaccato. In effetti a fronte di una perdita di 125 miliardi del settore privato a favore del pubblico, il settore privato ha limitato le perdite a circa 50 miliardi. Gli italiani dimostrano di avere una forte capacità di resistenza, ma la "molla" non si può tendere all'infinito. Prima o poi si spacca.

Ora anche l'Fmi riconosce che le politiche di austerità sono sbagliate e controproducenti. Ma la risposta non è cambiare politica economica, ma solo di concedere più tempo, come si suggerisce per la Grecia:

"Inutile chiederlo ai nostri politici soprattutto quelli che si riempiono la bocca di più Europa, ovviamente quella delle merci e dei capitali, mica dei popoli, perchè sono solo un branco di inutili….opportunisti!

Come abbiamo già detto più volte la Grecia non ha scampo anche se avrà altri due anni di tempo sarà solo un’inutile agonia, terribile e devastante!"


Forse l'unica risposta è quella che per oggi è la prima ad essere scartata. Mi rendo conto che è un'eresia, e che probabilmente non potrà più ripetersi con le modalità del passato, che hanno contribuito a creare debito pubblico. Ma credo che non ci sia scampo, se si vuole tornare a cresce, ad avere più Stato e meno banche.

Probabilmente un "più Stato" con controlli diversi e maggiori, per esempio quelli che potrebbe garantire una "democrazia diretta" e trasparente. Perché forse il segreto è tutto qui: la trasparenza. Ci si potrà di nuovo fidare dello Stato quando le nomine che contano saranno, se non condivise, almeno trasparenti e non decise nelle botteghe dei partiti. E quindi ci si potrà fidare delle scelte compiute dai vertici dell'amministrazione pubblica, indirizzate finalmente al bene comune.
E lo stesso vale per il privato, oggi tanto decantato per le sue doti di efficienza, ma che in realtà è impastato strettamente con politica e poteri forti sempre gli stessi, che della concorrenza liberista fanno polpette.

Abbiamo bisogno di guide diverse, sia in ambito pubblico che in ambito privato. Deve iniziare un ricambio, di  persone e idee, perché quelle vecchie che ci hanno portato sulla strada sbagliata non possono essere le stesse che ci portano fuori dal pantano. E di nuove regole di trasparenza e controllo effettivo sui decisori.

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