Lo abbiamo già avuto, lo Stato elefantiaco del '900, con la sua burocrazia invadente delle carte bollate. Lo abbiamo ancora mantenuto in gran parte. Siamo transitati nell'epoca dell'informatica e lo Stato italiano del secolo scorso, quello del "modulino" e del timbro, invece di lasciare il posto ai chips, alla rete e alla digitalizzazione, ha utilizzato il computer per moltiplicare "modulini" e timbri all'infinito.
Il problema dello Stato italiano è in massima parte concentrato nei suoi funzionari di alto livello. All'inizio refrattari all'introduzione dell'informatica, in quanto proprio non la comprendevano. Poi fautori di un'informatizzazione selvaggia, dove si sono provveduti i singoli reparti dello Stato di strumenti informatici non coordinati fra loro. In modo che la mano destra non potesse dialogare con la sinistra.
Una informatizzazione guidata più dagli interessi, diciamo la verità, delle nascenti imprese di informatica, dalle mazzette nate anche attorno a queste forniture, dove la cosa più importante era che le stesse macchine e programmi acquistati dall'amministrazione pubblica costassero il doppio o il triplo che nel privato.
Viviamo ancora in questo tipo di Stato. Nessuno si sta preoccupando di riformare lo Stato in modo che assolva in modo semplice ed economico alla sua funzione di supporto e guida della società moderna.
Per molti motivi ora è molto complicato razionalizzarre il funzionamento della macchina statale.
Il primo, è che avendo lasciato incancrenire la situazione, ora diventa sempre più difficile rimettere le cose a posto. In molte amministrazioni ormai sono venti e più anni che si è informatizzato gli uffici in certo modo. Fare in modo che questi sistemi si integrino l'uno con l'altro diventa complicato e lungo. Si può fare, ma è necessario fare nuovi studi ed investimenti.
Il secondo motivo è che il "modulino" e il timbro discendono spesso dalle normative emesse da Parlamento e Governo. Anche la classe politica, quella che oggi si è suicidata delegando le sue funzioni ai tecnici, immagina ancora uno Stato novecentesco, pesante, con migliaia di funzionari che concedono autorizzazioni per centinaia di richieste di autorizzazioni diverse, scritte su moduli in carta bollata. Senza la minima preoccupazione di calcolare costi e disagi dei cittadini, per tempo perso a compilare moduli con informazioni che lo Stato dovrebbe già avere, per attese lunghe prima di ottenere le autorizzazioni, per i costi dei professionisti che devono essere incaricati per espletare determinate procedure ecc.
E questa situazione è andata ad incancrenirsi nel tempo. Un "più Stato" di questo tipo non serve a nulla. Non solo è uno Stato lento, pesante, costoso, ma alla fine è anche uno Stato impotente. Lo Stato stesso è imprigionato dai suoi lacci, dalle sue procedure bizantine e iper complesse, che spesso si risolvono con una collezione di carte da accumulare negli archivi, che mai nessuno leggerà.
Nello stesso tempo, il meno Stato, o lo Stato minimale liberista, non serve. Non solo perché per avere sindaci, presidenti e ministri "taglia nastri", tanto vale a questo punto non averli. Ma soprattutto perché è evidente proprio in questi mesi, che la ritirata completa dello Stato dalle sue funzioni fin qui svolte non conviene. Non conviene innanzi tutto al privato. Uno Stato che di fronte alla Fiat, all'Alcoa o all'Ilva gira le spalle e si lava le mani pilatescamente nella bacinella del libero mercato, è inutile e dannoso per la nostra nazione. Lo è anche lo Stato che riduce il walfere impoverendo i suoi cittadini, condannando a minor sviluppo se stesso, che riduce le pensioni e che si dimentica di accordi appena siglati lasciando cittadini reali nel limbo tra lavoro e pensione.
Il welfare non è inutile. Non è una dazione di denaro a sfaccendati che non vogliono lavorare. Il welfare è essenziale per garantire pace sociale e sviluppo, anche di quel mercato interno di cui tutti ormai si dimenticano. Tutti vorrebbero risolvere ogni problema aumentando le esportazioni. Non credo possa essere sufficiente. Si deve mantenere un anche un discreto livello di ricchezza interna, e se il mercato non è in grado di farlo da se, lo deve poter garantire lo Stato. Anche a deficit se necessario.
Uno Stato così come si delinea dalle linee guida montiane non serve a nulla. Uno Stato così è un danno all'economia privata, proprio quella parte di economia che i tecnici liberisti al governo vorrebbero tutelare e rappresentare. Ci vuole uno Stato più forte, un "più Stato" che deve però essere allo stesso tempo agile, veloce nelle decisioni e potente nell'indirizzo economico. Diverso dal "più Stato" novecentesco.
I liberisti dicono spesso che non è lo Stato a produrre ricchezza, ma l'impresa. E' vero, ma non è così in realtà, c'è un'altra faccia della questione che si da troppo spesso per scontata.
Come può l'impresa creare ricchezza senza un sub-strato fatto di servizi ed infrastrutture, ma soprattutto senza un certo indirizzo economico nazionale?
Per far funzionare le imprese c'è bisogno di scuole, università, ordine pubblico, trasporti, acquedotti, reti di ogni tipo. Si può discutere se una quota di queste funzioni basilari possono essere gestite privatamente, ma è impossibile pensare che lo siano tutte. Questi servizi devono poter funzionare anche quando i mercati entrano in crisi, cioè si deve avere il coraggio di ammettere che i servizi di base devono funzionare anche in perdita. E questa è la funzione dello Stato, di garante di tutti anche quando la nazione attraversa delle pesanti avversità.
E poi ci vuole un sistema politico in grado di poter guidare lo sviluppo nazionale, non solo di approfittarne applicando oltre che pesanti balzelli, anche il balzello molto sgradevole della corruzione.
Su Rischio Calcolato, l'articolo "Voglio più Stato! ..." mi ha incuriosito e ispirato queste riflessioni. Mi ha anche sorpreso soprattutto perché il sito sposa tendenzialmente le tesi liberiste alla O. Giannino.
Non condivido del tutto l'articolo ma ne capisco lo spirito.
"L’efficienza in economia: dare servizi adeguati al livello di tassazione richiesto
In Italia (e non solo) questo tema e’ poco affrontato. Si fanno grandi discussioni sull’ammontare delle tasse e delle spese, sull’evasione, sulla qualita’ dei servizi, ma difficilmente si mettono in connessione tutti questi parametri. In Italia, il livello di spreco ed inefficienza e’ enorme, come ho provato a dimostrare scrivendo alcuni articoli nel programma di riduzione da 200 miliardi proposto in questo sito. Oltre 100 miliardi di riduzione della spesa pubblica sono ottenibili con un criterio banale: “imitare i migliori”. In sostanza prendere per un tema di spesa la realta’ territoriale piu’ efficiente in Italia (che spende meno e da’ servizi migliori) e verificare il risparmio atteso a livello globale, tra l’altro con incrementi della qualita’ dei servizi. Il fatto che questi temi siano taciuti a livello di classi dirigenti del paese, ma anche di gente comune, e’ una sorta di tragedia nazionale.
...
Arriviamo ora alla mia richiesta di piu’ Stato. La richiesta non si limita alla maggiore efficienza (meno spese e migliori servizi), ma essenzialmente alla capacita’ dello Stato e delle classi dirigenti amministrative e politiche, di guidare un paese nella direzione corretta.
Pensate all’Italia e fatevi alcune domande: secondo voi l’Italia ha una politica energetica? Ha una strategia chiara nelle infrastrutture? Ha le idée chiare su come mettere I cittadini tra 20 anni nella condizione di vivere in una realta’ competitive e migliore di oggi? Direi di no. Potete aggiungere tante alter domande da voi.
Faccio un esempio banale: fatevi un giro in Alto Adige o in Svizzera e vedrete per esempio certi paesini, molto ordinati, con una pianificazione dell’edilizia ordinate, e case fatte tutte con un certo stile. In queste realta’ manca l’iniziativa private? No di certo, ma gli amministratori hanno una vision di lungo periodo e vigilano e regolano quest’aspetto al meglio. Fatevi poi un giretto in qualsiasi periferia di citta’ italiana e vi troverete un caos urbanistico spesso scandaloso. In sintesi l’iniziativa privata e’ regolata da una burocrazia asfissiante, ma del tutto inutile, visto che alla fine non preserva il contesto e lascia ai posteri brutture orribilanti.
Estendendo questo concetto, la mia conclusione e’ che lo Stato e le Amministrazioni Pubbliche in genere non hanno alcuna visione strategica organica per il futuro ed hanno abdicato al ruolo essenziale, non solo di dare servizi compatibili con le tasse riscosse, ma pure di pianificare il futuro e governare il presente in funzione di cio’ e del buon senso. I dirigenti politici italiani generalmente non governano un bel niente a livello di processi, e si fanno da scudo con una burocrazia elefantiaca e spesso inutile e dannosa, proprio per l’incapacita’ di pianificazione strategica.
In sintesi e’ necessario:
a) uno Stato ed amministrazioni pubbliche efficienti nelle proprie spese e processi (in pratica spendere meno e meglio, dando servizi in linea con quanto pagano I cittadini)
b) che lo Stato e le classi politiche ed amministrative abbiano delle visioni strategiche per il futuro della nazione, e che siano in grado di gestire il presente in funzione di cio’ (cio’ non significa affatto che lo Stato entra maggiormente in economia, ma semplicemente che si ritaglia un ruolo piu’ autorevole di guida per il futuro dell’intera nazione, preoccupandosi che I cittadini si muovano in economia in modo tale che la loro iniziativa privata sia ben spesa anche per le generazioni di domani)
Vorrei che entrassero nei dibattiti nazionali, anche tra la gente comune, I temi di passare da uno Stato (e da una PA) inefficiente, burocratico, spendaccione ad uno efficiente, regolatore e con una capacita’ strategica ed una vision del future orietata dal buon senso."
(www.rischiocalcolato.it)
Aggiungo che per realizzare uno Stato autorevole ed agile, c'è bisogno di una classe dirigente nuova e svincolata finalmente dalla visione dello Stato novecentesco, impostato in questo modo praticamente nell'ottocento dopo Bonaparte, che portò la razionalizzazione statale per mezza Europa.
Abbiamo bisogno di un nuovo Napoleone, che questa volta non è detto debba essere una persona in carne ed ossa. Può essere un movimento più generale (non un singolo movimento politico) che porti persone e idee nuove dove oggi si discute ormai stancamente di alleanze e scambi di poltrone.
E' bene che nel prossimo Parlamento giungano persone con visioni nuove, anche su scranni contrapposti, ma che tornino a discutere del futuro del paese. Di cose concrete, di miglioramenti effettivi della vita dei cittadini e delle imprese. Del funzionamento della macchina statale, della sua semplificazione. Sarà un lavoro difficile, non è semplice (strano giro di parole) smontare un meccanismo complicato come quello statale italiano.
Tanti hanno tentato varie semplificazioni normative, scontrandosi poi con lobby interne ministeriali, o addirittura nel semplificare sono finiti per percorrere la strada contraria, aggiungendo nuovi cavilli a quelli esistenti.
Penso che lo Stato moderno del 21° secolo, se lo vuole diventare veramente, dovrà adottare soluzioni nuove, mediate dal mondo velocissimo dell'informatica: rete, democrazia diretta, sportelli elettronici, firme digitali, abolizione della carta, adozione delle leggi rapida, capacità decisionale effettiva e immediata, capacità di simulare il futuro e scegliere il meglio. Tutto in modo trasparente sotto l'occhio vigile e critico del cittadino. Non più una delega in bianco ai politici, che poi la utilizzano per risolvere i loro problemi personali, e non quelli della società.
E poi si deve rivalutare anche l'adesione dell'Italia all'Unione Europea attuale. E' necessario saper discernere quello che conviene o non conviene al nostro paese nell'ambito dell'Unione. Non possiamo continuare a perdere sovranità nazionale senza averne alcun vantaggio. Oppure dobbiamo pretendere che l'Europa funzioni meglio e con più democrazia. E soprattutto con un trattamento paritetico fra i vari popoli: la Germania è un paese importante ma non può pretendere di avere un controllo su tutti dalla Grecia alla Francia.
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