giovedì 30 agosto 2012

Pil: conseguenze non volute




Dopo l'Ilva di Taranto arriva una nuova battaglia tra lavoro e ambiente, tra "progresso" e salute, tra crescita del Pil e risorse limitate della Terra (in questo caso un luogo sano dove vivere): la lotta dei minatori del Sulcis sardo per mantenere in vita la miniera di carbone.
Non è una scelta facile. Rimango incerto su questi argomenti. In effetti ho evitato finora di dovermeditare sul tema perche entrambe le soluzioni che si prospettano non mi piacciono (chiusura o inquinamento) e la tecnologia attualmente non sembra in grado di dare valide soluzioni.

Da un lato la chiusura di stabilimenti e miniere implica disoccupazione ed aggravamento della crisi. E' vero che stranamente i due casi italiani si sviluppano in terre di potenziale bellezza turistica in ambiente marino. Ma in realtà non ho mai pensato, e credo sia improponibile, che si possa sostituire i posti persi nell'industria con nuovi nel turismo. Già quest'anno, l’andamento della stagione turistica, ha dimostrato proprio in Sardegna che in periodi di crisi in altri settori il turismo non può essere una risposta, anzi subisce forse ne un impatto maggiore degli altri settori. Forse anche nel turismo ci sono da quest’anno posti in esubero.

L'ecologia può dare lavoro, probabilmente se si costruisce un nuovo sistema industriale rivolto alle tecnologie a bassa emissione e sostenibili. Ma anche qui i “ma” e i “forse” sono molti.
Non è una trasformazione cosí semplice come può apparire a prima vista. Non tutte le produzioni possono essere rese completamente compatibili con l'ambiente. Temo che per l'Ilva ci sia poco da fare: si potranno abbattere gli inquinanti ma non eliminarli deltutto. La produzione d'acciaio implica inquinamento. L'alternativa ambientale è non produrre più acciaio in Italia e lasciare tutto l'inquinamento e i problemi ambientali ai paesi delterzo mondo. Lo si è già fatto diverse volte, non bisogna scandalizzarsi più di tanto: l'incidente della UCIL a Bhopal in India è un esempio di cosa accade quando un'industria inquinante occidentale viene trasferita in paesi più arretrati. Non so se è più giusto scaricare i nostri problemi industriali sul terzo mondo o tentare di risolverli a casa nostra: meno inquinamento e più controllo a casa nostra (e anche più lavoro), o molto inquinamento e rischi d’incidenti in paesi non preparati?



Probabilmente con l'Ilva c'è anche un grosso problema urbanistico: uno stabilimento così grande e pericoloso andava tenuto più lontano dalla città. Avrebbe inquinato comunque, ma perlomeno si sarebbe salvaguardata meglio la salute dei cittadini non coinvolti direttamente nella produzione. Ma anche questa è una soluzione solo apparente: quanto vuol dire lontano, fin dove si può inquinare e con che diritto si sceglie di condannare un territorio rispetto ad un altro? Perché tutelare gli abitanti di Taranto e non gli operai dell’Ilva, che continuerebbero a subire il ricatto lavoro o salute? E’ difficile dare risposte. Ogni azione e decisione implica dei rischi, un certo futuro. E' pur vero che tutta la nostra vita prevede delle azioni che implicano dei rischi. Ma molto spesso ci tocca scegliere il male minore, e non sempre è facile capire qual'è.

La nostra società è basata sul consumo di risorse naturali, fra queste anche l'ambiente in cui viviamo.
L'inquinamento è un sottoprodotto del Pil. E questo avviene anche convertendo l'industria in un manifatturiero ecologico. Anche la produzione di specchi solari, pannelli fotovoltaici, pale eoliche e quant'altro implica di inquinare l'ambiente e consumare energia (magari quella fossile).
E' una scelta veramente difficile, poi soprattutto in tempi di crisi come l'attuale. E’ una scelta che va ben ponderata: se si sceglie di salvaguardare l’ambiente, probabilmente si sceglierà di impoverire la società. E questo non è detto sia una scelta saggia dal punto di vista ambientale: quando una società si impoverisce una parte di essa tende a vivere ai margini e ad adottare comportamenti che non sono propriamente di salvaguardia ambientale. Per esempio se perdono la casa a causa della povertà, alcuni cercheranno rimedio nell’occupazione abusiva, altri nell'abusivismo povero, andando a consumare territorio senza nessun controllo.

Le tecnologie per ridurre l'emissione di sostanze nocive, in parte esistono, in parte sono efficaci, in parte sono sperimentali. Esistono da tempo sistemi di filtraggio ed abbattimento delle polveri sottili. Non sono deltutto risolutive, quel che esce dalle ciminiere non è aria fresca, ma comunque funzionano abbastanza.
Sono invece completamente sperimentali per esempio i sistemi di stoccaggio dell'anidride carbonica sotto terra o nei fondali marini. Nel primo caso come spiega il blog Byoblu, ci sono più ombre che luci: il sistema di stoccaggio della CO2 invocato per il Sulcis è un'incognita ambientale tanto, se non peggio delcontinuare ad estrarre il carbone.
“Secondo l'Accademia delle Scienze americana il CCS [Carbon Capture e Storage ndr] è più pericoloso del fracking, la famigerata tecnica di estrazione del gas ottenuta fratturando le rocce attraverso iniezioni in profondità di acqua ad alta pressione. E' noto che il fracking può innescare terremoti. L' ECMB [Enhanced coal bed methane], poi, è una tecnica così pionieristica che non se ne conoscono i possibili effetti collaterali. E' la versione “enhanced”, cioè potenziata, del CBM, che è stato definito “il gemello malefico del fracking” e che è in sostanza una tecnica per estrarre gas metano dai giacimenti di carbone.” (www.byoblu.com)
Più semplice è spedire la CO2 in fondo al mare, ma anche qui i danni ambientali sembrano più che certi: l'aumento dell'acidità dell'acqua provoca l'estinzione di flora e fauna marine.

Nascondere gli inquinanti dove nessuno vede è psicologicamente come nascondere la spazzatura sotto il tappeto: per un po’ nessuno la vede, ma prima o poi qualcuno solleverà il tappeto e il problema dovrà di nuovo essere risolto.
Che morale si può trarre da questa storia? Che non ci sono terze vie: se vogliamo un Pil elevato all’occidentale (possibilmente in crescita) dobbiamo anche accettare le conseguenze del Prodotto interno lordo, cioè quelle che nessuno desidera. Si può rendere l'inquinamento meno nocivo, ma va tenuto presente che le tecniche di abbattimento degli inquinanti sono un costo. O se lo accolla lo Stato cioè tutti noi, o l'azienda stessa che dovrà ripartirlo sui prodotti e quindi sul consumatore finale. Tali prodotti, va da sé, che saranno meno competitivi con quelli delle industrie dislocate in paesi che non hanno la stessa sensibilità ambientale.

L'alternativa a tutto ciò è infischiarsene del Pil ed abbracciare i concetti di "decrescita felice". Niente più produzioni inquinanti, niente più Pil in crescita, e prodotti quasi artigianali. Le produzioni a basso costo a scapito dell'ambiente, compresa l'agricoltura moderna, verrebbero bandite. Questi prodotti potrebbero solo piùessere importati dall'estero. Sempre che la nuova etica savonarolesca non lo impedisca.

“ La proposta nostra di politica economica industriale è quella di trovare più denaro per fare investimenti per attività utili, e questo è un elemento molto importante, perché a noi interessa creare una occupazione purché sia, ci interessa creare una occupazione utile, cioè ci interessa introdurre elementi di valutazione qualitativa nel fare umano mentre il prodotto interno lordo dà semplicemente una soluzione di carattere quantitativo. 
In Italia noi sprechiamo il 70% dell’energia che utilizziamo. 
Di fronte a questa situazione in genere gli ambientalisti hanno detto che bisogna sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, noi diciamo che la priorità non è questa, ma ridurre il buco nel secchio, cioè gli sprechi di energia!
se noi riduciamo gli sprechi di energia stiamo riducendo il consumo di quello che noi chiamiamo una merce … ma non è un bene, perché non riesce a risolvere nessun problema degli esseri umani, l’energia che si mette in una casa e che si disperde dalle finestre, dal soffitto o le pareti, non ha nessun tipo di utilità. 
per ogni 10 miliardi di Euro investiti nella riduzione degli sprechi, non nelle fonti rinnovabili, si possono ricavare 130 mila nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere si darebbe lavoro al massimo a 7 mila e 300 persone,
Il secondo elemento su cui noi dobbiamo puntare nella nostra concezione oltre alla autosufficienza energetica, come ho detto, è quello della sovranità alimentare. 
la agricoltura chimica … costa un sacco di soldi perché tutta la chimica dell’agricoltura richiede grandi consumi di energia e l’aumento del prezzo delle fonti fossili comporterà un aumento progressivo dei generi alimentari, non soltanto per il trasporto a distanza
noi questo lo vediamo come possibilità di soluzione della crisi economica, della crisi occupazionale, della crisi deldebito e della crisi ambientale. 
tutto ciò comporta una diminuzione del prodotto interno lordo, ma non una diminuzione pure che sia … perché invece si introducono elementi di valutazione qualitativa nel fare umano e si riduce che cosa, quelle merci che non hanno nessuna utilità, che costituiscono sprechi, che comportano un consumo di risorse che portano a un danno ambientale.”

Anche questa è una scelta: guardare alla qualità del vivere e non alla quantità del consumare (Pil). Una scelta che implica una grande trasformazione sociale. Ma che non è detto sia percorribile, va valutata con attenzione.
I grandi inquinanti degli ultimi 100 anni, i combustibili fossili, sono stati la nostra dannazione e contemporaneamente le risorse che hanno consentito a milioni di occidentali di poter vivere meglio e più a lungo: avere sempre cibo disponibile e abbondante (l’agricoltura dipende molto dal petrolio), avere energia per costruire case e fabbriche, avere energia per lavorare, avere energia per scaldarsi, avere l’energia per spostarsi anche molto lontano, avere la possibilità di una vita più facile e quindi meno subordinata al pericolo di malattia. Malgrado gli inquinanti e il cibo poco sano, la vita media del periodo industriale è ben più alta di quella del periodo pre-industriale.
Ridurre gli sprechi è un’ottima cosa, ma tornare ad essere tutti contadini, un ritorno ad un passato pre-industriale, forse è più un mito che realmente auspicabile.

Io continuo a sperare in qualche innovazione tecnologica rivoluzionaria che consenta di ricavare energia dalla natura senza causarne la distruzione. L’energia quasi infinita delle stelle (fusione calda) o quella nucleare pulita (fusione fredda). Entrambe presentano grandi problemi da risolvere, sembrano sempre sul punto di giungere allo sfruttamento commerciale, ma poi tutto viene rimandato (Costi della tecnologia).
Anche l’attivazione del ciclo dell’idrogeno presenta grandi problemi: come ricavarlo, dall’acqua (molto costoso) a dal gas naturale (inquinante)? Come distribuirlo, liquido (pericoloso) o sotto forma di ricarica per batterie “full cell”? La strada verso l'energia pulita è ancora lunga, anche perchè non si fa abbastanza ricerca in tal senso.

Per ora l’interrogativo più pressante rimane Ilva si o Ilva no? Carbone si o carbone no? Un si o un no vuol dire però incidere sulle vite di persone reali, non è una scelta filosofica. La scelta va pertanto ben ponderata e forse, suggerisco, va ricercato un compromesso se possibile, in attesa che la rivoluzione tecnologico-energetica ci dia nuove possibilità.

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