Leggendo l’intervista (molto lunga ma interessante) di C. Messora all’economista C. Borghi (www.byoblu.com) dell’Università Cattolica di Milano, e ripensando all’articolo del prof. Bagnai che ho riassunto nel post “Ritorno alla lira, un po’ di ottimismo”, viene proprio una gran voglia di seguire la deriva grillina, ed uscire dall’euro.
Secondo il prof. C. Borghi, gli italiani soffrirebbero meno dei greci dall’uscita dall’euro. Come valuta il prof. Bagnai, la nuova lira si dovrebbe svalutare del 20% rispetto all’euro. Quindi non un vero collasso, ma quello che già accadde con la svalutazione del 1992.
Il prof. Borghi spiega inoltre quali meccanismi si potrebbero attuare per evitare le corse agli sportelli bancomat, ma anche, nel caso ciò non fosse possibile, si possono difendere i risparmi con l’acquisto di titoli, monete od azioni estere senza il rischio di attraversare la frontiera svizzera.
Comunque, secondo il prof. Borghi, l’uscita dall’euro non è la morte dell’Italia, anzi può essere una grande opportunità di ripresa economica. La svalutazione della nuova lira, potrebbe significare l’aumento delle esportazioni, e la diminuzione delle importazioni, a danno soprattutto delle economie forti come quella tedesca.
Ecco perché, aggiungo io, alla Germania in effetti non converrebbe lasciare che paesi come Grecia, Spagna, Portogallo e Italia escano dall’euro. La sua economia oggi forte per le esportazioni, ha tutto da perdere (vedi post di ieri “Bruxelles:in attesa di Babbo Natale”).
Ma visto che non c’è limite alla fantasia, vorrei provare a tracciare alcuni scenari economici italiani.
Primo scenario. Uscita dall’euro, nuova lira svalutata del 20%. Non viene modificato nessun parametro economico dello Stato:
- il debito passa di botto da 1.950 miliardi di euro, a 2.340 miliardi di nuove lire (n.lit.);
- il Pil, per contro torna a crescere ai livelli ante euro, circa l’1%. Quindi il Pil attuale ammontante a 1650 miliardi circa, crescerebbe di circa 16 miliardi all’anno (nuova ricchezza);
- Mantenendo il pareggio di bilancio, e lo stesso bilancio dello Stato di circa 750 miliardi di euro/ n.lit., la pressione fiscale dovrebbe rimanere intorno al 45%. Potrebbe esserci un miglioramento sul fronte debito, in quanto l’abbandono dell’euro renderebbe innocuo lo spread, quindi si pagherebbero meno interessi sul debito. Ma essendo questo lievitato del 20%, si dovrebbero attuare politiche di riduzione del debito, o portare l’interesse sul debito a zero come è oggi per a Germania. Con una crescita dell’1%, si avrebbero comunque ogni anno nuove entrate fiscali per 7,2 mld di n.lit. (in aumento progressivo con la crescita di Pil).
- Una crescita dell’1% annuo, vuol dire 300.000 nuovi posti di lavoro ogni anno, 300.000 nuovi consumatori ogni anno.
- Per contro, la svalutazione della nuova lira implica un aumento del costo energetico nazionale corrispondente alla svalutazione (20%); come spiega il prof. Borghi, tale aumento potrebbe in parte essere compensato da una defiscalizzazione.
Secondo scenario fantapolitico. Uscita dall’euro, nuova lira svalutata del 20%; si limita la tassazione media al 25% massimo, pertanto si prevede un drastico dimagrimento dello Stato:
- il debito passa di botto da 1.950 miliardi di euro, a 2.340 miliardi di nuove lire (n.lit.);
- il Pil attuale di circa 1650 miliardi, risulterebbe gravato da meno tasse, quindi si liberano circa 330 miliardi di n.lit. da reinvestire nell’economia reale. Queste risorse generano un’improvvisa spinta che può far crescere il Pil ai ritmi americani ante crisi 2008, cioè del 3% l’anno. L’aumento annuo del Pil sarebbe di circa 50 mld di n.lit.;
- Con una tassazione massima del 25%, sarebbe necessario rivedere le clausole sul pareggio di bilancio. Ma comunque, volendo mantenere uno Stato sano con un deficit di bilancio limitato, si avrebbero a disposizione solo più circa 415 miliardi di n.lit. (la metà della disponibilità attuale); a questo punto si dovrebbero trovare soluzioni per il ricollocamento graduale del personale pubblico verso il settore privato, evitando la sostituzione dei pensionandi, riorganizzando gli uffici snellendo quelli congestionati e rinforzando quelli carenti; il welfare non potrebbe più essere garantito a tutti e dovrebbe essere integrato da assicurazioni; lo Stato dovrebbe snellire al massimo le procedure burocratiche avendo la metà del personale attuale, a meno che un taglio netto degli sprechi consenta di limitare in parte la diminuzione del personale; molte procedure oggi gratuite, dovrebbero però diventare a pagamento.
- Una crescita del 3% annuo, vuol dire 600.000 nuovi posti di lavoro ogni anno, 600.000 nuovi consumatori ogni anno. La disoccupazione italiana è circa il 9% della forza lavoro, ma considerando Cassa integrazione e lavoro sottopagato direi che il tasso reale è del 15%. Il 15% corrisponde a 3,5 milioni di non lavoratori (occupati 2011), che con un Pil al 3% si riassorbirebbero in 4 anni.
- Anche in questo caso ci sarebbe un aumento della bolletta energetica, ma in un contesto molto più effervescente di crescita economica.
Il primo scenario non sarebbe molto diverso dall’attuale, e probabilmente la crescita non arriverebbe immediatamente a causa dello shock per il passaggio dall’euro alla nuova lira.
Il secondo scenario sarebbe molto più complicato da gestire, ma in prospettiva garantirebbe all’Italia uno sviluppo certo per molti anni. Sarebbe come una sorta di ripartenza.
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