La «controriforma» degli statali
( www.corriere.it )
Gli statali restano inamovibili
( www.lastampa.it )
Dal punto di vista di un liberista puro, in stile Giannino per esempio, sull'accordo governo-sindacati riguardante gli "statali", il governo Monti appare più lassista del governo Berlusconi. L'ex Ministro Brunetta già protesta per l'alleggerimento dei suoi provvedimenti.
Dal punto di vista sociale, questo del governo Monti, appare già un cambio di strategia verso una politica hollandiana. Potrebbe essere una specie di retromarcia e allontanamento dalle politiche dell'austerità ed un ritorno allo statalismo.
In realtà è uno scambio, un taglio della spesa pubblica. Un mantenimento di un certo grado di inamovibilità e protezione dell'impiego pubblico, in cambio di un taglio delle retribuzioni. Sui giornali appare come uno sbracamento della politica di austerità tenuta fino ad ora. A parere mio non è un provvedimento di ampio respiro, non è il massimo che si poteva fare, ma un tampone uguale a quelli proposti spesso dai politici. Da un governo tecnico ci si aspetterebbe di più, ma purtroppo quello che si è visto finora è nello stesso solco di modesta mediocrità.
In realtà, l'articolo 18 richiamato dagli articolisti, non è molto pertinente. La non applicazione della riforma del lavoro sull'impiego pubblico è una evidente questione di ingiustizia. Ma fintanto che non vengono cambiate le normative create per il pubblico impiego le cose rimangono così. La riforma dovrebbe essere molto più profonda dell'art. 18.
Comunque, nel pubblico impiego, le legislazioni "punitive" già esistono. Il problema semmai è che non vengono applicate, nemmeno quando succedono fatti gravi, come assenteismo, corruzione, peculato ecc.
"L’articolo 51, comma 2, del decreto legislativo 165/2001 (il testo unico che disciplina il lavoro pubblico) è chiarissimo: “La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni e integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”.
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la disciplina del licenziamento per ragioni economiche è stata già introdotta da diversi mesi, cioè dall’entrata in vigore della legge 183/2011, che ha modificato l’articolo 33 del citato testo unico sul lavoro pubblico, il quale testualmente prevede: “le pubbliche amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione annuale prevista dall’articolo 6, comma 1, terzo e quarto periodo, sono tenute ad osservare le procedure previste dal presente articolo dandone immediata comunicazione al dipartimento della Funzione pubblica”
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Un’amministrazione pubblica potrà licenziare propri dipendenti, ad esempio, se in stato di dissesto o se non in grado di rispettare le norme contabili che impongono determinati tetti alla spesa di personale. Occorre, per altro, aggiungere che la recente modifica all’articolo 33 del Dlgs 165/2001 consente anche licenziamenti individuali.
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L’articolo 33 disegna un percorso peculiare per giungere ai licenziamenti nella Pa da concludere comunque entro novanta giorni e finalizzato a verificare la possibilità di scongiurare la risoluzione del rapporto di lavoro, principalmente mediante la “mobilità”, che nel lavoro pubblico è il trasferimento del dipendente presso altre strutture organizzative interne all’ente di appartenenza, oppure mediante il trasferimento ad altre amministrazioni. Concluso negativamente questo percorso, il dipendente pubblico viene collocato in “disponibilità”: cioè il rapporto di lavoro resta sospeso per ventiquattro mesi al massimo, con un trattamento economico pari all'80 per cento dello stipendio, dell'indennità integrativa speciale e dell'assegno per il nucleo familiare, al netto di qualsiasi altra remunerazione. Scaduto il periodo di disponibilità, il contratto di lavoro è risolto di diritto."
Quindi gli strumenti per licenziare, come avviene molto facilmente nelle aziende private, ci sono già. Ma come avvenuto in casi recenti, si preferisce non applicarli. Per esempio non sono stati applicati nel caso del fallimento del comune di Catania, il cui dissesto è stato sanato dallo Stato. Non sono stati applicati nel caso del dissesto finanziario dell'Asl n. 1 di Napoli, dove però i dipendenti non vengono neanche pagati. Non viene applicato nel caso della forestale calabrese in difficoltà, che preferisce lasciare a casa i suoi dipendenti nei giorni di maltempo.
Evidentemente, come ha scritto Ricolfi, ci sono evidenti ragioni di tenuta sociale per non applicare questi provvedimenti "punitivi" sui dipendenti pubblici, da sud a nord. I licenziamenti andrebbero ad incidere maggiormente nelle regioni del sud, già pesantemente svantaggiate rispetto a quelle del nord. Io penso che la strada giusta non sia questa, ma è necessaria la riorganizzazione della macchina statale, la riqualificazione dei suoi dipendenti, insomma un aumento di produttività ed utilità della burocrazia.
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