Fra tanti cantori di sciagure, c'è chi riesce ancora a ragionare a mente fredda, cercando di valutare le cose per quel che sono, e non si fa suggestionare dalle leggende Maya sulla fine del mondo. Si tratta del prof. Bagnai (goofynomics.blogspot.it), che nel suo ultimo post si occupa di terrorismo... mediatico.
Il professore ci insegna, e pare ancora necessario, che le cifre sparate sui quotidiani, vanno spesso pesate e soppesate. Perchè sono riportate quasi sempre per fare sensazionalismo, ma più sono alte, più sono false:
"Un prestigioso (valutate voi) quotidiano nazionale (La Repubblica ndr) oggi titola che "il ritorno alla dracma costerebbe 11000 euro all'anno per ogni europeo".
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supponiamo che trattandosi di euro l'autore dell'articolo, Ettore Livini, intenda riferirsi all'eurozona. Dunque: secondo i World Development Indicators la popolazione dell'eurozona nel 2010 era di 331.675.464 abitanti (diciamo 332 milioni). Se li moltiplichiamo per 11.000 euro, il risultato è 3.648.430.108.771 euro, cioè 3648 miliardi di euro, cioè... cioè, per capirci, una volta e mezzo il Pil della Germania! Per di più "all'anno", senza specificare per quanti anni...
Ehi, amico!? Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Salvare la Grecia ci costerebbe una volta e mezzo il Pil della Germania? Ma la Germania è grande più di 10 volte la Grecia, in termini di Pil! Da dove salta fuori 'sta moltiplicazione per dieci?
Aspetta, te lo dico in un altro modo, per capirci. Se i cittadini dell'eurozona volessero comprarsi l'intera Grecia, questa costerebbe loro un po' più di 800 euro a testa, da pagarsi in un'unica soluzione. Sì, perché sai, tu sei un giornalista, hai studiato altre cose, ma la Grecia rimane pur sempre un 3% o giù di lì del Pil dell'eurozona. Ma come può venirti in mente che la sua uscita provochi uno sconquasso delle proporzioni che tu dici?Sai, stai parlando di una cosa seria, di una cosa che preoccupa la gente, pensaci, verifica, lo so che vai di fretta (sapessi io), ma ci vorrebbe un po' di responsabilità..."
Sarebbe bastato fare una banale moltiplicazione, per capire che 11.000 euro per ogni europeo è un costo insensato. Il problema, prosegue il prof. Bagnai, è che i giornalisti scrivono spesso troppo di fretta, e copiano piuttosto male:
"Ma io lo sapevo da dove veniva quel numero. Lo sapevo anche prima di leggere l'articolo, perché, come vi ho più volte detto, sto organizzando un convegno scientifico dal titolo:"The Euro: manage it or leave it! The economics, social and political costs of crisis exit strategies". Sono arrivati tanti lavori, di economisti
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il lavoro di un collega tedesco molto preparato, Ansgar Belke, si occupa proprio degli scenari di uscita,
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Dice che
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1) il costo verrebbe sostenuto dal paese che esce (la "seceding country"); e
2) nel primo anno ("when seceding").
2) nel primo anno ("when seceding").
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Quello che UBS dice è che italiani e spagnoli pagherebbero (separatamente) questa somma per il loro eventuale addio all'euro, cioè, rispettivamente per il ritorno alla lira o alla peseta, senza che questo evento coinvolga (o almeno non per un ammontare simile) tutti i cittadini dell'eurozona!"
Quindi c'è da chiedersi se i risultati della ricerca siano stati riportati male per distrazione o volutamente, facendo appunto terrorismo mediato. Questo sospetto viene infatti proseguendo la lettura del post di Bagnai, il quale ci svela come si calcola il costo effettivo dell'uscita dall'euro, ed anche come si calcola il valore presunto delle eventuali nuove valute nazionali risultanti.
"Lo studio dichiara che i modelli economici non sono uno strumento utile per effettuare analisi così radicali, e che secondo lui lo scenario più appropriato non sarebbe quello della "rottura" dello SME credibile (la svalutazione del 1992-93, che fu attorno al 20%), ma uno scenario argentino, con svalutazioni attorno al 60%.
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la logica sottostante alla svalutazione argentina di fine 2001, o a quella italiana di fine 1992, è esattamente identica: cambiano solo i numeri. In entrambi i casi il cambio nominale si svalutò di quanto era necessario per recuperare il differenziale di inflazione cumulato rispetto al paese "core", secondo il modello economico detto della parità relativa del potere d'acquisto
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Nel 1992 l'Italia aveva mantenuto il cambio sostanzialmente fisso rispetto al marco tedesco per i cinque anni precedenti (il cosiddetto Sme credibile). Nello stesso periodo aveva avuto in media 4 punti di inflazione in più della Germania. Siccome 5x4=20, il cambio nominale dovette svalutarsi del 20% per rendere i prodotti italiani nuovamente competitivi
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Nel 2001 in Argentina la svalutazione fu ben più importante: toccò addirittura il 200%. Ma un motivo c'era, ed è molto semplice: il differenziale di inflazione cumulato rispetto agli Usa nel decennio durante il quale il cambio col dollaro era stato fisso (un peso=un dollaro) era molto più importante. I dati, tratti dalle International Financial Statistics, sono qui, così come li presento, nella loro verità, ai miei studenti..."
Dopo il default dell'Argentina "Il cambio ... passò da 1 peso a 3.32 pesos per dollaro: una svalutazione del 232% che però era esagerata rispetto all'assetto dei fondamentali (che implicavano una svalutazione di circa il 190%), e infatti l'anno successivo (nel 2003) il peso si rivalutò (da 3.32 a 2.91 peso per dollaro), portandosi in linea coi fondamentali
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Voi sapete che i nostri amici piddini in questo caso dicono: "ma la svalutazione avrà generato altrettanta inflazione e quindi non ci saranno stati benefici sul commercio e sulla bilancia dei pagamenti". Ma noi sappiamo già che questo non è mai vero, e siccome non lo è mai, non lo è nemmeno nel caso dell'Argentina. A fronte di una svalutazione del 230%, l'inflazione fu del 26% (25.87%), poi scemò rapidamente (13% l'anno successivo, 4% l'anno ancora dopo), mentre il cambio si stabilizzava attorno a 3 pesos per dollaro."
Quindi anche il costo sociale ed economico di un'uscita dall'euro, sarebbero minori di quelli narrati da tanti terroristi mediatici tenacemente pro-euro.
"Cosa succederebbe a noi se uscissimo? Semplice: quello che è sempre successo perché i mercati si aspettano che succeda. Dal 1993 al 2010 abbiamo accumulato un differenziale di inflazione di circa 18 punti rispetto alla Germania. La svalutazione che ci attende sarebbe quindi di circa il 20%. Certo, all'inizio ci sarebbero fluttuazioni enormi, magari in un certo quarto d'ora di un certo giorno si potrebbe anche arrivare al 100%. Ma i mercati una lira svalutata del 100% se la comprerebbero subito, perché saprebbero che necessariamente si dovrebbe apprezzare, fino a tornare in linea con i fondamentali. E infatti, se ci fate caso, molti studi, citati via via in questo blog, danno per noi una svalutazione attesa fra il 20% e il 30% in caso di uscita dall'euro."
Lo scenario previsto dalla Banca Ubs, parla di una svalutazione del 60%. Ma il prof. Bagnai consiglia di non prendere sul serio gli studi dei grandi istituti, che come gli articoli dei giornali, molto spesso hanno secondi fini.
Ma quindi la fuoriuscita dall'euro è un disastro o un'opportunità? anche il Grandebluff.info, ha qualche dubbio:
Ma quindi la fuoriuscita dall'euro è un disastro o un'opportunità? anche il Grandebluff.info, ha qualche dubbio:
"Potrebbe crearsi UN PERICOLOSO PRECEDENTE che darebbe il liberi tutti nell'Eurozona dei PIIGS...e non solo...
Inomma...c'è il rischio di PRENDERCI GUSTO ad uscire dall'Euro....:-)
Capito perchè "in certi ambienti" fa veramente paura l'uscita della Grecia dall'euro?
Capite perchè è un TABU?"
(leggere il resto qui, post consigliato per chi teme la fine del mondo-euro)
Ritornando all'Italia, se comunque la valutazione della nuova lira fosse un 20-30% inferiore a quella dell'euro attuale, varrebbe 0,80-0,70 €. Non male, considerando che la quotazione del dollaro oggi e circa 0,78 €. Praticamente, per farla breve, una nuova lira varrebbe oggi all'incirca un dollaro Usa.
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