Non avevo bisogno di T. Boeri per capire che l'abolizione delle province di cui si parla molto (a vanvera) in questi giorni è pressoché inutile. Ma comunque fa piacere che da sinistra ci sia qualcuno che apre gli occhi e vede le cose come stanno, e non ci sia la solita piaggeria verso il premier "illuminato".
Ma credo che la questione sia abbastanza banale, e l'avevo già scritto in qualche post: le province italiane non sono poi così inutili come si strilla sui giornali, in quanto hanno delle funzioni ben precise. A parte la programmazione e pianificazione urbanistica provinciale di cui si può fare anche a meno, le province gestiscono le scuole secondarie e parte importante della viabilità e mobilità. E poi tutta una serie di altre cose forse meno rilevanti ma non banali, elencate nel D.Lgs. 267 del 2000. Per fare ciò hanno strutture e personale.
Chiaramente si possono anche abolire le province, ma comunque le loro competenze devono passare ad un altro organo amministrativo che sia il comune o la regione. Per questo abolire le province come prevede il progetto Delrio non porterà a grandi risparmi effettivi.
Come afferma Boeri:
"Contrariamente a quanto proclamato da molti titoli di giornali, giovedì non abbiamo affatto dato l’addio alle province. Il disegno di legge approvato col voto di fiducia al Senato (dovrà adesso tornare alla Camera) non abolisce le province. Non poteva essere altrimenti dato che per farlo era necessaria una riforma costituzionale.
...
Per le ragioni di cui sopra, il testo approvato al Senato genera pochi risparmi. Né dipendenti né funzioni delle ex province scompaiono e, di conseguenza, non scompaiono neanche i costi relativi, la stragrande maggioranza delle spese di questo livello di governo. E siccome le province rimangono in vita, anche se la dirigenza politica è ora espressa in modo indiretto, non si riducono neanche le spese di rappresentanza degli altri enti territoriali e del governo presso le province. Quello che si risparmia con certezza è solo il finanziamento degli organi istituzionali (le indennità del presidente, assessori e consiglieri e i vari rimborsi connessi alle loro attività), che vengono aboliti, insieme alle spese delle relative consultazioni elettorali. Il finanziamento degli organi istituzionali è una partita di circa 110 milioni secondo gli ultimi dati disponibili. Non verrà azzerata dati i costi dei nuovi organi delle città metropolitane. Le consultazioni elettorali costano circa 320 milioni e si tengono ogni cinque anni, dunque il risparmio annuale è di circa 60 milioni, in totale i risparmi saranno attorno ai 150 milioni di euro. Meglio che nulla, ma certo non è una cifra particolarmente significativa su una spesa pubblica complessiva di circa 800 miliardi di euro. E non si tiene conto del fatto che la legge aumenta il numero di consiglieri comunali (vedi sotto): il Governo si è impegnato a rendere questa operazione a costo zero, ma è difficile aumentare le cariche senza aumentare le spese."
(www.ilfattoquotidiano.it)
Tutto come da previsioni. Quello che invece mi disturba molto, è il fatto che oggi esiste una certa superficialità nel delineare le competenze dei nuovi organi amministrativi. Era più lucido e consapevole Napoleone Bonaparte di quanto non lo sono gli attuali politici della Repubblica Italiana.
"Chiunque si sia occupato di pianificazione territoriale e di programmazione sa che la dimensione della regione è troppo ampia e quella comunale troppo stretta. E sa che il tentativo di trovare un sistema organizzativo attraverso i comprensori, è fallito. E che le province, istituite dall’ordinamento napoleonico proprio per risolvere quelli che nel XIX secolo erano i problemi d’area vasta (la riscossione dei tributi, la vigilanza contro l’ordine pubblico), tenevano conto delle tradizioni locali e dei variegati legami tra città e contado, tanto che si erano tracciati i loro confini sulla base di indicatori territoriali: la distanza che può percorrere in un giorno un signore che deve recarsi in carrozza al capoluogo per pagare le tasse, uno squadrone di gendarmi a cavallo per ripristinare l’ordine turbato."
(ilsimplicissimus2.wordpress.com)
Ma se Napoleone aveva rapportato le dimensioni e le funzioni delle province alle possibilità "tecniche" offerte allora dall'uso dei cavalli, e quindi utilizzando una certa logica nel disegnarle, oggi non si sa più nemmeno che compiti affidare alle nuove unità amministrative. Così appaiono sulla scena le "città metropolitane" come scatole vuote e quindi come possibili fonti di sprechi futuri ancor prima di partire. Dopo un'incubazione ventennale delle stesse che non ha portato ad alcuna idea particolare sui motivi della loro esistenza.
"Vengono istituite nove città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria) sulla base di criteri interamente politici. Nessun riferimento alla struttura urbana, come dimostra il caso di Reggio Calabria. A queste si aggiungono Roma capitale e le cinque già istituite dalle Regioni a statuto autonomo... . Il problema è che la legge, mentre non pone i paletti di criteri oggettivi sulla base dei quali fondare lo status di città metropolitane, apre la possibilità di istituire altre città metropolitane. Gioco facile, ad esempio, per Padova o Verona sostenere che se Venezia è citta metropolitana, loro hanno molte più ragioni per diventarlo. Il rischio è che molte province (non solo i capoluoghi di Regione!) cambino solo denominazione trasformandosi in città metropolitane. Del resto, il territorio e le risorse finanziarie delle nuove città metropolitane coincidono con quelli delle vecchie province. Al contempo, regna grande la confusione su quali saranno le competenze dei nuovi enti locali, dunque forte il rischio di creare nuove sovrapposizioni (o conflitti) di competenze, come quello di dare nuove funzioni senza risorse adeguate. In tutta la legge approvata al Senato non c’è alcun tentativo di definire le funzioni più appropriate da allocare ai vari livelli di governo, e le risorse di cui dotarli, esattamente lo stesso errore compiuto nel costruire il “federalismo” al contrario negli ultimi venti anni.
...
Il testo varato dal Senato, infine, istituzionalizza e definisce anche le unioni di comuni (e le convenzioni), con sindaci e consiglieri dei comuni sottostanti che diventano, in parte, presidenti e membri del comitato e del consiglio dell’unione.
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ma perché non si è avuto il coraggio di andare più a fondo? Visto che per i piccoli comuni la gestione di tutti i servizi fondamentali in forma associata diventa obbligatoria, non si capisce bene perché non prevederne direttamente la fusione. Oppure lasciare ai comuni sottostanti meramente una funzione di rappresentanza. Invece, la legge prevede un incremento (rispetto a quanto definito dal Governo Monti) degli assessori, fino a quattro per i comuni dai 1000 fino ai 10mila abitanti, sia pure “senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”."
(www.ilfattoquotidiano.it)
Anche con Renzi, anzi ancor più con Renzi, tutto procede in modo raffazzonato e improvvisato. A causa anche della fretta con cui il premier vorrebbe raggiungere dei risultati utili. La fretta come si sa non è mai buona consigliera. E credo che pasticci simili si avranno anche con la trasformazione del Senato, benché non credo come hanno affermato alcuni, che cambiare forma a questa camera sia un attentato alla democrazia.
Oggi con il Senato si ha un doppio controllo legislativo. Se le leggi fossero emanate solo dalla Camera non significherebbe che è venuta meno la democrazia. E chi lo pensa allora dovrebbe ammettere che considera i deputati dei pericolosi incapaci. Come se attualmente i senatori fossero scelti con un criterio migliore dei deputati. Con questa riforma il Senato rimarrebbe nell'ordinamento statale italiano, e rimarrebbe anche la rappresentazione del territorio attraverso sindaci e presidenti regionali comunque eletti dal popolo. Sulle funzioni attribuite al nuovo Senato si può discutere, ma mi pare che non sia sbagliato a questo punto lasciarne poche. Come per esempio l'elezione del Presidente della Repubblica che non sarebbe solo più il prodotto di accordi politici, ma anche anche dell'espressione dei territori.
L'importante è non aspettarsi da queste riforme, cambiamenti epocali, perché questo non può avvenire. Il ridimensionamento delle province, in realtà sarà minimo in quanto l'eliminazione della "corruzzzione" politica non porterà che pochi benefici. Non è evitando l'acquisto di mutande verdi e vibratori che si risanano le finanze pubbliche. Ciò che incide principalmente sul costo delle province è la "polpa" e non la "buccia". Cioè i costi del personale e di gestione delle competenze provinciali. Asfaltare strade e mantenere in ordine scuole costa miliardate di euro...
Anche il ridimensionamento numerico e funzionale del Senato non porterà a risultati miracolistici. La classe politica che occuperà i seggi della Camera non potrà che essere la medesima dell'attuale. Se è incapace oggi, lo sarà anche domani.
Anche con Renzi, anzi ancor più con Renzi, tutto procede in modo raffazzonato e improvvisato. A causa anche della fretta con cui il premier vorrebbe raggiungere dei risultati utili. La fretta come si sa non è mai buona consigliera. E credo che pasticci simili si avranno anche con la trasformazione del Senato, benché non credo come hanno affermato alcuni, che cambiare forma a questa camera sia un attentato alla democrazia.
Oggi con il Senato si ha un doppio controllo legislativo. Se le leggi fossero emanate solo dalla Camera non significherebbe che è venuta meno la democrazia. E chi lo pensa allora dovrebbe ammettere che considera i deputati dei pericolosi incapaci. Come se attualmente i senatori fossero scelti con un criterio migliore dei deputati. Con questa riforma il Senato rimarrebbe nell'ordinamento statale italiano, e rimarrebbe anche la rappresentazione del territorio attraverso sindaci e presidenti regionali comunque eletti dal popolo. Sulle funzioni attribuite al nuovo Senato si può discutere, ma mi pare che non sia sbagliato a questo punto lasciarne poche. Come per esempio l'elezione del Presidente della Repubblica che non sarebbe solo più il prodotto di accordi politici, ma anche anche dell'espressione dei territori.
L'importante è non aspettarsi da queste riforme, cambiamenti epocali, perché questo non può avvenire. Il ridimensionamento delle province, in realtà sarà minimo in quanto l'eliminazione della "corruzzzione" politica non porterà che pochi benefici. Non è evitando l'acquisto di mutande verdi e vibratori che si risanano le finanze pubbliche. Ciò che incide principalmente sul costo delle province è la "polpa" e non la "buccia". Cioè i costi del personale e di gestione delle competenze provinciali. Asfaltare strade e mantenere in ordine scuole costa miliardate di euro...
Anche il ridimensionamento numerico e funzionale del Senato non porterà a risultati miracolistici. La classe politica che occuperà i seggi della Camera non potrà che essere la medesima dell'attuale. Se è incapace oggi, lo sarà anche domani.