Negli ultimi cinquant’anni ci siamo indebitati con la spesa pubblica e non ci siamo quasi mai preoccupati più di tanto delle conseguenze. Siamo andati avanti allegramente come se la cosa non ci riguardasse. Le economie occidentali crescevano (fra alti e molti bassi) ed anzi la cosa importante era solo la crescita economica da finanziare a qualsiasi costo. Soprattutto a debito.
Solo all’inizio del XXI secolo è arrivata improvvisa, a
seguito della crisi finanziaria statunitense del 2007-8, la preoccupazione per
gli iperbolici debiti pubblici di molti paesi. Fra questi sicuramente l’Italia,
anche se poi a ben vedere, nè la dinamica di crescita del debito italiano, né
quello stratosferico giapponese dovrebbero preoccupare molto. I nostri sono
debiti alti, ma se si va a vedere cosa è successo a paesi come Spagna o Francia
che hanno debiti pubblici minori (rispetto al rapporto debito/Pil) dell’Italia,
si vedrà che quei debiti in pochi anni durante l’ultima crisi si sono incrementati
paurosamente.
Quella del debito pubblico è quindi una preoccupazione
generalizzata. Negli Usa e nel Giappone, poi la preoccupazione si è accresciuta
dopo gli aumenti di debito pubblico prodotti attraverso i quantitative easing serviti
nel primo caso a coprire i debiti privati irrecuperabili della finanza, e nel
secondo caso per una ricerca spasmodica di crescita perduta.
Ma oggi appare sempre più evidente che quella del debito
pubblico è una finzione a cui prima o poi bisognerà porre fine. Il debito
pubblico non è stato niente meno che una forma sofisticata del vecchio conio di
monete in epoca antica e medievale. Lo Stato è padrone della moneta, anche se
oggi parrebbero esserlo le banche centrali, e quindi la emette secondo le
proprie necessità.
Chiaramente nell’antichità e nel medioevo gli Stati ed i
Regni potevano emettere moneta se avevano a disposizione metalli preziosi. E se
cercavano di barare emettendo monete con minor quantità di metalli preziosi,
incorrevano in pericolose svalutazioni e crisi monetarie che sfociavano in crisi
economiche, poi in guerre e a volte epidemie.
Da almeno un secolo, lo Stato può emettere moneta anche
senza avere i forzieri pieni d’oro. La moneta di carta, non è altro che un
assegno, una promessa di pagamento di una certa quantità di valore. Che però
non si salda mai con un valore effettivo in preziosi, ma viene scambiata per
beni e lavoro a cui viene attribuito quel valore. Se su quella cartamoneta non
ci fosse una simbologia che rimanda allo Stato o ente emettitore riconosciuto
politicamente, nessuno si sognerebbe di scambiare pezzetti di carta per beni o
lavoro. Si esigerebbero altri beni (baratto) o dei metalli preziosi.
La cartamoneta e la moneta elettronica di oggi sono pura
finzione, sono un patto fra tutti noi per cui abbiamo stabilito che quei
foglietti e quei numeri hanno un valore riconosciuto da tutti.
Rimane perciò il fatto che non dovendo cavare l’oro, o
conquistarlo militarmente, lo Stato moderno potrebbe emettere quanta monete gli
serve.
Sennonché, come avviene nella legge di domanda ed offerta,
se una cosa viene diffusa troppo, perde velocemente di valore. Per ora nessuno
si sogna di pagare l’aria. Per il momento è un bene a disposizione di tutti,
quindi è un bene che “non” ha al momento un valore monetario. Mentre si è
disposti a fare degli spropositi per un diamante, essendo un bene molto raro.
Pertanto se da un lato lo Stato potrebbe emettere quanta
moneta gli serve, dall’altro non può effettivamente lasciarsi andare, perché
provocherebbe una svalutazione della propria moneta tale da renderla ben preso inutilizzabile, come si è
visto molte volte nella storia (vedi Repubblica di Weimar). Lo Stato deve
perciò sempre trovare un equilibrio tra emissione e tassazione. Tra spinta
dell’economia e frenata della stessa.
Per cui ipocritamente, gli Stati tendono a non ammettere mai
che si finanziano con la stampa di moneta dal nulla, ma tendono a sostenere che
il finanziamento deriva unicamente dalle tasse. Non è vero. Oggi è però
drammaticamente vero in Europa, dove alcuni tecnocrati folli, hanno veramente
creduto a questa balla colossale, ed hanno imposto deficit a zero o sforamenti
limitatissimi di bilancio (il 3% famoso) e quindi imposto il sostegno economico
dello Stato solo unicamente attraverso la tassazione. Non per nulla in Italia
ha raggiunto livelli asfissianti.
Malgrado ciò anche in Europa si è proceduto alla stampa di
moneta, per esempio attraverso l’operazione Ltro della Bce, che ha comportato
la creazione dal nulla di circa 1.000 miliardi di euro. Una cifra notevole che
però a causa della crisi si è dimostrata appena sufficiente a fermare il
collasso dell’euro come moneta comune. Ma anche in questo caso Draghi non ha
potuto ammettere la cosa, ma ha dovuto nascondere questa creazione di valore
sotto forma di prestito (peraltro dato su garanzie spesso inesistenti).
In Usa e Giappone invece queste politiche monetarie
espansive hanno avuto un largo utilizzo, ma come detto primo stanno provocando
più preoccupazioni dei vantaggi effettivi ottenuti in termini di crescita.
Quindi in Europa e in Usa si sono avute follie monetarie
contrapposte, ma entrambe fallimentari.
“Come potranno le
banche centrali “uscire” definitivamente dalla politica monetaria non
convenzionale e ridimensionare a livelli “normali“ i loro bilanci gonfiati
dalla politica monetaria non convenzionale?
…
La riduzione degli
acquisti da parte della Federal Reserve rallenta solo la crescita del suo
bilancio. La banca centrale dovrebbe ancora vendere 3.000 miliardi di dollari
di titoli per ritornare nella condizione precedente la crisi.
La verità che solo
raramente si ammette, tuttavia, è che non c’è alcuna necessità che le banche
centrali riducano i loro bilanci.
…
Come mostra uno studiorecente pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale, di Carmen
Reinhart and Kenneth Rogoff, le economie avanzate si trovano ad affrontare
oneri derivanti dai debiti pubblici che non possono essere ridotti
semplicemente con un mix di austerità, astinenza e crescita.
Però, se una banca
centrale possiede i titoli del debito del suo Stato, non esiste alcuna
passività netta per lo Stato stesso.
Lo Stato possiede la
banca centrale, quindi il debito che ha emesso e che la banca centrale possiede
è verso se stesso, e la spesa per gli interessi viene restituita al governo
sotto forma dei profitti della banca centrale.”
Questo giro vizioso su esposto, dove si inventano due figure
che fingono di prestarsi a vicenda del denaro, quando in realtà ne esiste
sempre solo una, cioè lo Stato, è il simbolo dell’ipocrisia monetaria che ha
prosperato nell’ultimo secolo. In definitiva si tratta di stampare denaro, ma
di non farlo sapere troppo in giro, inventandosi giri viziosi per nascondere il
segreto, ma anche e non secondariamente, per evitare che qualcuno si faccia
prendere la mano. Cosa che nell’antichità e successivamente era quasi
impossibile: o c’era metallo prezioso oppure non c’era e quindi non si poteva
emettere moneta.
Anche se, nei periodi in cui la moneta era legata ai
preziosi, comunque si poteva incorrere in svalutazioni. Per esempio l’oro dei
popoli precolombiani portato in Spagna in dosi massicce dopo il 1.500, non fece
questa nazione più ricca. Ma provocò anche in questo caso inflazione. Quindi
nemmeno la circolazione dell’oro può rendere stabile e prospera un’economia
nazionale.
La moneta non è tutto, ciò che conta è soprattutto il lavoro
e la sua remunerazione. Il problema della crescita è più sociale che monetario.
In questo do ragione chi difende l’euro, non è sufficiente cambiare moneta per
avere sviluppo, ma è vero anche che con l’uscita dall’euro si potrebbero
rimuovere delle rigidità che potrebbe farci respirare un po’ e muoverci più
liberamente. E tornare a fare proprio quanto viene tenuto segreto da anni, ma
che è fondamentale: stampare moneta.
Ora sarà interessante capire cosa accadrà al Giappone e come
riuscirà a nascondere l’emissione di denaro dal nulla, pur continuando a farlo
se non vuole collassare.
“Dopo due decenni di
bassa crescita e deflazione, il debito pubblico lordo giapponese è oggi
maggiore del 240% del PIL
…
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, per ridurre il suo debito
pubblico netto all’80% del PIL entro il 2030 il Giappone dovrebbe convertire il
suo attuale disavanzo primario (il saldo di bilancio che si ottiene escludendo
il pagamento degli interessi sul debito pubblico) pari all’8,6% del PIL in un
avanzo primario pari al 6,7% del PIL e mantenere questo avanzo con continuità
fino al 2030.
Questo non accadrà, e
ogni tentativo di raggiungere questo obiettivo condurrebbe il Giappone in una
grave depressione.
(vedi alla voce
Europa, ndr)
…
Una volta raggiunto
questo obiettivo, il suo bilancio si potrà stabilizzare in termini nominali
assoluti e ridursi leggermente in rapporto al PIL, ma la sua dimensione in
termini assoluti probabilmente non si ridurrà mai - una possibilità che non
deve generare alcuna preoccupazione.
…
Anche se si verifica
una permanente monetizzazione del debito pubblico, tuttavia, la verità può
essere nascosta.
Se il governo
continuasse a rimborsare alla Banca del Giappone i titoli di Stato giunti a
scadenza, ma i rimborsi fossero sempre compensati da nuovi acquisti di titoli
di Stato da parte della banca centrale, e se la Banca del Giappone
mantenesse nullo il tasso di interesse pagato sulle riserve delle banche
commerciali, l’effetto netto sarebbe lo stesso di una cancellazione del debito,
ma la finzione di una “normale“ attività della banca centrale potrebbe essere
mantenuta.
Le banche centrali
possono monetizzare il debito pubblico fingendo di non farlo.
Questa finzione può
riflettere un utile tabù: se riconosciamo apertamente che la cancellazione
o monetizzazione del debito pubblico è possibile, i politici potrebbero
pretenderla in continuazione e in misura eccessiva, non solo quando è
opportuna.
Le esperienze storiche
della Germania di Weimar, o dello Zimbabwe oggi, illustrano il pericolo.
Quindi, anche quando
una permanente monetizzazione del debito pubblico si verifica - come quasi
certamente accadrà in Giappone e probabilmente altrove - essa rimane sempre la
politica che non osa dire il suo nome.”
Insomma è possibile trovare delle tecnicalità per cancellare
il debito senza cancellarlo, e soprattutto per continuare ad emettere moneta
senza dirlo palesemente. Questo è in sostanza ciò che sostiene l’economista A.
Turner nell’artico su citato.
Quello che però non torna, e che fa dire ai liberisti che le
politiche keynesiane non funzionano, se è vero che gli Stati saggi (quindi ad
esclusione dell’Europa) se vogliono sopravvivere devono stampare moneta anche
se in incognito, perché le politiche monetarie espansive si Usa e Giappone non
funzionano a dovere? Perché la crescita, anche negli Usa, è minore di quel che
ci si sarebbe aspettati?
Probabilmente proprio per quello che ho scritto prima: il
problema della crescita è più sociale che monetario. Non è sufficiente stampare
trilioni di dollari se poi questi soldi servono per fare giochi finanziari
simili a catene di Sant’Antonio. O vengono impiegati in investimenti che ci si
aspetta continueranno ad aumentare di valore solo perché tutti si convincono ad
investire in borsa. Quindi non si gioca sul valore effettivo di un titolo, sul
suo sottostante commerciale ed industriale, ma si gioca sulla massa dei
giocatori stessi partecipanti…
Lo dico in modo chiaro, per cui non ci siano travisamenti.
Oggi per uscire dalla crisi ci vorrebbe più statalismo e meno libero mercato.
Lo Stato, non solo dovrebbe stampare moneta, ma decidere come e dove spenderla.
Oggi sarebbe necessario un riequilibrio, ovunque in occidente, fra le varie
categorie sociali. Lo Stato dovrebbe finanziare opere pubbliche, e/o tornare
attivamente in economia pagando stipendi, per riportare reddito nelle classi
sociali oggi impoverite dalla crisi. Dovrebbe essere lo Stato a riattivare
quella domanda interna, che è l’unica che può riportare crescita nei vecchi
paesi industrializzati.
Il libero mercato non lo può fare. O meglio lo potrebbe fare
in parte, ma solo con l’aiuto dello Stato. Il quale ha due strade in effetti
per intervenire: quello di farsi attore, oppure quello di ritirarsi.
Ritirandosi lo Stato lascerebbe al privato la possibilità di crescere e quindi
di creare sviluppo. E’ chiaro che anche in questo caso lo Stato non potrebbe
rinunciare alla stampa di denaro dal nulla. Per lo Stato ritirasi dall’economia
rappresenta comunque un costo: significa meno tasse, significa meno burocrazia.
Anche se lo Stato si riducesse di dimensioni, alcune funzioni che rimarrebbero
a suo carico dovrebbero essere finanziate in qualche modo. Come ha dimostrato
il caso statunitense, i tagli e gli sconti delle tasse degli anni novanta, più
uno Stato snello con poca burocrazia, hanno comunque prodotto un aumento del
debito senza precedenti. Il livello di tassazione rimaneva troppo distante
dalle effettive esigenze economiche statali.
In ogni caso, negare allo Stato la possibilità di emettere
moneta è cosa assurda, ed anche pericolosa. Quel che sta avvenendo in Europa è
folle.
In secondo luogo però non è sufficiente stampare denaro e
poi lasciare che siano i banchieri a deciderne la destinazione. Deve essere la
politica e lo Stato a guidare la crescita elaborando un piano preciso.
In terzo luogo, è chiaro che queste politiche si devono fare
ma non si possono abusare. E’ logico che in futuro l’emissione di moneta dal
nulla dovrà essere legata a regole precise, che abbiano come obiettivo la
creazione di lavoro o meglio la redistribuzione del reddito presso un numero
maggiore di soggetti, e che contengano dei freni che impediscano la perdita di
controllo come è avvenuto recentemente in Zimbawe.
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