domenica 20 ottobre 2013

Neo-risorgimento e antieurismo


Come si sentivano nell'animo, quale umore avevano gli italiani prima dell'unità d'Italia? E' difficile dirlo oggi, bisognerebbe viverle certe esperienze. Eppure io credo che il sentimento di frustrazione che domina oggi nella nostra nazione, individuato da De Benedetti e oggi da Galli della Loggia su www.corriere.it sia molto simile a quello che dominava allora.

In effetti si tratta di un sentimento di impotenza. All'epoca era il prodotto della mancanza di libertà, del giogo dello straniero e dell'impossibilità di gestire i nostri destini futuri. Oggi almeno le libertà personali paiono garantite (non si sa fino a quando visto che si sente parlare di reato d'opinione in caso di antieuropeismo), ma la sovranità nazionale sta svanendo ed evaporando verso terre straniere, verso organismi che ci sono alieni, su cui non possiamo esercitare nessuna pressione elettorale, in quanto non sono nemmeno democratici.

Il potere di Bruxelles è un po' come quello che da Vienna esercitavano gli austriaci, o prima dalla Spagna esercitavano i borbonici. Un potere distante ed opprimente. E dietro a Bruxelles c'è l'ombra inquietante di Berlino dove tanto per migliorare il clima sociale nei paesi mediterranei, la signora Merkel ha appena affermato che dovrà essere inasprita l'austerità...

Scrive Galli della Loggia che "L’Italia non sta precipitando nell’abisso. Più semplicemente si sta perdendo, sta lentamente disfacendosi.
...
Sopraggiunta dopo anni e anni di paralisi, la crisi è lo specchio di tutti i nostri errori passati così come delle nostre debolezze e incapacità presenti. Siamo abituati a pensare che essa sia essenzialmente una crisi economica, ma non è così.
...
Dalla giustizia all’istruzione, alla burocrazia, sono principalmente tutte le nostre istituzioni che appaiono arcaiche,organizzate per favorire soprattutto chi ci lavora e non i cittadini, estranee al criterio del merito: dominate da lobby sindacali o da cricche interne, dall’anzianità, dal formalismo,dalla tortuosità demenziale delle procedure, dalla demagogia che in realtà copre l’interesse personale.

Del sistema politico è inutile dire perché ormai è stato già detto tutto mille volte. I risultati complessivi si vedono. Tutte le reti del Paese (autostrade, porti, aeroporti, telecomunicazioni,acquedotti) sono logorate e insufficienti quando non cadono a pezzi. Come cade a pezzi tutto il nostro sistema culturale: dalle biblioteche ai musei ai siti archeologici. Siamo ai vertici di quasi tutte le classifiche negative europee: della pressione fiscale,dell’evasione delle tasse, dell’abbandono scolastico, del numero dei detenuti in attesa di giudizio, della durata dei processi così come della durata delle pratiche per fare qualunque cosa. E naturalmente ormai rassegnati all’idea che le cose non possano che andare così, visto che nessuno ormai più neppure ci prova a farle andare diversamente."

(www.corriere.it)

Tutto vero, ma osservando l'attualità appare ancora più stralunata e folle questa Unione Europea che in effetti non è un'unione di nulla. Stiamo si' partecipando ad un'unione geografica-politica con sistemi arcaici, ma se ciò avviene non è solo colpa nostra. Nessuno ci ha mai chiesto di fare cambiamenti precisi verso un sistema o l'altro. Anche il frequente "ce lo chiede l'Europa" è sempre più spesso abbinato a nuove forme di tassazione o inasprimenti delle stesse e non verso a una maggiore funzionalità dell'apparato amministrativo.

Storicamente ci sono stati vari tentativi, perlopiù violenti, di unificare il continente. Lasciando da parte l'espansione romana, troppo lontana e troppo diversi i vari popoli sottomessi, un buon esempio di come si integrano sistemi diversi, ce lo fornisce l'invasione napoleonica.

Prima di Napoleone, i vari Stati che componevano l'Europa avevano monete, sistemi fiscali, persino unità di misura diverse da paese a paese. Cosa fece l'amministrazione napoleonica per amministrare al meglio il nuovo impero? La cosa più razionale che si potesse fare: si unificarono i sistemi amministrativi di tutte le nazioni invase, in modo da avere una certa uniformità nel continente. Di sicuro non si cominciò dalla moneta unica! Il sistema metrico decimale napoleonico che sostituì piedi, braccia, trabucchi e libbre varie ecc., ha avuto un tale successo che è ancora in uso oggi.

Oggi l'Europa di Bruxelles dovrebbe comportarsi così. Imponendo in tutto il continente la stessa organizzazione statuale, gli stessi codici, le stesse norme, dalla burocrazia civile a quella giudiziaria, dall'organizzazione dello Stato a quella dell'economia. Solo così l'euro moneta unica avrebbe un senso.

Se non si vuole andare in questa direzione, è meglio che le nazioni meno strutturate come la nostra lascino la moneta unica prima che sia troppo tardi. E' meglio ritrovare la propria sovranità politico-economica in modo da compensare i difetti intrinseci della nazione con necessarie svalutazioni competitive. La nostra nazione si evolverà naturalmente come ha sempre fatto, ma lo farà con i suoi tempi e seguendo le sue strade. Se ritroveremo la nostra sovranità, la nostra autonomia di scelta, ritornerà anche maggiore entusiasmo e voglia di fare e di cambiare.

"Mai come oggi il Nord e il Sud appaiono come due Nazioni immensamente lontane. Entrambe abitate perlopiù da anziani: parti separate di un’Italia dove in pratica sta cessando di esistere anche qualunque mobilità sociale; dove circa un terzo dei nati dopo gli anni ‘80 ha visto peggiorare la propria condizione lavorativa rispetto a quella del proprio padre."
(www.corriere.it)

Questo della differenziazione delle macro regioni europee è un fenomeno imprevisto, ma forse non imprevedibile della costruzione europea. Anche in questa direzione politica esiste il pericolo di distruggere ciò che i nostri antenati costruirono 150 anni fa con grande sacrificio di sangue. Possiamo consolarci con il fatto che questo fenomeno è europeo, non riguarda solo l'Italia (vedi: "Caleidoscopio politico d'Europa"), ma è una magra consolazione. E' comunque un fenomeno di nuovo causato dalla cattiva costruzione europea.

"Di coloro che negli ultimi vent’anni hanno avuto nelle proprie mani le sorti dell’industria e della finanza del Paese. Quale capacità imprenditoriale, che coraggio nell’innovare, che fiuto per gli investimenti, hanno in complesso mostrato di possedere? La risposta sta nel numero delle fabbriche comprate dagli stranieri, dei settori produttivi dai quali siamo stati virtualmente espulsi a opera della concorrenza internazionale, nel numero delle aziende pubbliche che i suddetti hanno acquistato dallo Stato, perlopiù a prezzo di saldo, e che sotto la loro illuminata guida hanno condotto al disastro. Naturalmente senza mai rimetterci un soldo del proprio. Né meglio si può dire delle banche: organismi che invece di essere un volano per l’economia nazionale si rivelano ogni giorno di più una palla al piede"
Della dinamica economica prodotta dall'euro si è ormai scritto ed analizzato molto. A causa della moneta unica, i capitali sono transitati facilmente dai paesi forti a quelli deboli. Quando quest'ultimi hanno deluso le aspettative di guadagno del centro Europa, i capitali con altrettanta velocità sono ritornati indietro, lasciando i paesi deboli fra cui l'Italia, senza più coperture finanziarie. Con le banche nazionali ridotte a relitti piene di insolvenze, con gli industriali in crisi di liquidità ma anche deprivati di un mercato di sbocco perché il lavoro è al collasso e gli italiani non dispongono più degli strumenti finanziari "facili" di un tempo.

In questa situazione i nostri impianti industriali e le nostre attività si svalutano pesantemente e divengono più facilmente preda di aziende straniere (vedi "Un altro regalo dell'euro").

"E di tutte queste cose si nutre lo scoraggiamento generale che guadagna sempre più terreno, il sentimento di sfiducia che oggi risuona in innumerevoli conversazioni di ogni tipo, nei più minuti commenti quotidiani e tra gli interlocutori più diversi. Mentre comincia a serpeggiare sempre più insistente l’idea che per l’Italia non ci sia più speranza. Mentre sempre più si diffonde una singolare sensazione: che ormai siamo arrivati al termine di una corsa cominciata tanto tempo fa tra mille speranze, ma che adesso sta finendo nel nulla"

Qui mi viene facile rispondere a Galli della Loggia, osservando quanto sta avvenendo a livello politico in tutta Europa. Com'è che i popoli europei stanno cercando di ritrovare il sentimento di fiducia? semplice, votando Alba Dorata in Grecia, Marin Le Pen in Francia e il M5s in Italia. Non voglio accostare politicamente i tre movimenti citati, perché di sicuro quello italiano non è fascista, evidentemente li italiani non ci cascano più. Ma sono accomunai dal fatto di essere movimenti di rottura che mettono in dubbio pesantemente la costruzione europea. Ecco come intendono gli europei ritrovare la fiducia in se stessi: abbandonando l'Unione Europea!

"Abbiamo dunque bisogno di una classe dirigente che - messa da parte la favola bella della fine degli Stati nazionali e l’alibi europeista, che negli ultimi vent’anni è per lo più servito solo a riempire il vuoto ideale e l’inettitudine politica di tanti - si compenetri della necessità di un nuovo inizio. Ripensi un ruolo per questo Paese fissando obiettivi,stabilendo priorità e regole nuove: diverse, assai diverse dal passato."
(www.corriere.it)

Ovviamente se avessimo una classe dirigente lungimirante, adotteremmo velocemente quei cambiamenti che ci rendano efficienti come Germania e Francia, per fare un esempio. Ma non ce l'abbiamo e non possiamo nemmeno inventarcela. Se è vero che per esempio Monti è stato lesto nel ridurre i diritti pensionistici degli italiani, è altrettanto vero che la nostra classe dirigente non ha pensato nemmeno per un millisecondo a ridurre i propri privilegi. E molto spesso questi privilegi si riflettono direttamente sull'efficienza della nazione. Per esempio certe connivenze politico-economiche nelle banche, o certi posti privilegiati in enti inutili che andrebbero aboliti, e certe norme burocratiche contorte che favoriscono illeciti politici o quantomeno rendite di posizione politico-amministrative ecc.
Solo con una rivoluzione violenta di solito si cambiano in toto le classi dirigenti. Non è il caso italiano, malgrado i momenti di violenza nelle manifestazioni a Roma di ieri.

"Con le «larghe intese», sfortunatamente, non si diminuisce il debito, non si raddoppia la Salerno-Reggio Calabria, non si diminuiscono né le tasse né la spesa pubblica,non si elimina la camorra dal traffico dei rifiuti, non si fanno pagare le tasse universitarie ai figli dei ricchi, non si fa ripartire l’economia, non si separano le carriere dei magistrati, non si costruiscono le carceri, non si aboliscono le Province, non si introduce la meritocrazia nei mille luoghi dove è necessario, non si disbosca la foresta delle leggi, non si cancellano le incrostazioni oligarchiche in tutto l’apparato statale e parastatale; e, come è sotto gli occhi di tutti, anche con le«larghe intese» chissà quando si riuscirà a varare una nuova legge elettorale, seppure ci si riuscirà mai. Si tira a campare, co le «larghe intese», questo sì: ma a forza di tirare a campare alla fine si può anche morire . "
(www.corriere.it)

La situazione politica non può che risentire di questa situazione precaria generata dalla crisi dell'euro. Ovunque nell'Europa meridionale i governi sono tenuti su con lo sputo. E' così in Portogallo dove è già intervenuta la Troika a scongiurare una crisi. E' così in Spagna dove un governo travolto dagli scandali è mantenuto in vita artificialmente. E' così in Grecia dove il governo si regge con un deputato di scarto e non appena si è avuto sentore delle dimissioni dei parlamentari di Alba Dorata sono scattati gli arresti.
Il governo italiano è il risultato della protesta antipolitica: da una parte chi sostiene il cieco europeismo, e il giogo dello straniero e dall'altra chi vuole il referendum sull'euro...

Nessun commento:

Posta un commento