martedì 9 luglio 2013

Costa di più il lavoro o lo Stato borbonico?


Ogni tanto ritorna il mantra del cuneo fiscale troppo elevato in Italia. E in base a questa evidenza escono interviste di espertoni che dichiarano che in Italia il costo del lavoro è eccessivo: ci vuole più flessibilità sul lavoro (come se non ce ne fosse già abbastanza) che tradotto dal tecnichese all'italiano significa in sostanza salari più bassi in stile cinese.

"Mentre i politici stanno perdendo tempo dedicandolo all'Imu, ogni due ore in Italia muoiono tre imprese...
la parola d'ordine e' riformare ilcosto del lavoro.
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la globalizzazione selvaggia avanzava il governo e' restato con le mani in mano, agendo da "scarica barile tra sindacati e governo, mettendo tutto il peso sulle imprese"
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se non mettono mano al costo del lavoro non si va da nessuna parte. Un dipendente prende 100 e dobbiamo dare 140 allo stato. Le aziende grosse e strutturate che riescono a fare il salto, vanno da un'altra parte."
(www.wallstreetitalia.com)

Mi chiedo allora come mai la Germania con il costo del lavoro che si ritrova non stia molto peggio dell'Italia. Non è il costo del lavoro, seppure il cuneo fiscale andrebbe riequilibrato un poco, a rendere le aziende poco competitive. E' la forma di organizzazione del mondo produttivo italiano a rendere la vita difficile alle imprese. E questa organizzazione proviene in piccola parta dalla tradizione imprenditoriale italiana, a volte abbastanza "pressapochista", cioè poco attenta alla qualità. Ma in massima parte proviene dall'organizzazione burocratica dello Stato italiano.

Ieri c'è stata la seconda giornata di protesta della collera, degli operatori dell'edilizia. Una delle corporazioni che impatta maggiormente sul sistema burocratico italiano:

"Tornano i caschi gialli dei lavoratori dell'edilizia in piazza Affari a Milano. Nella seconda 'Giornata della collera', dopo quella del febbraio scorso, imprese e addetti della filiera delle costruzioni hanno manifestato contro le 'vessazioni' amministrative e burocratiche che impediscono la ripresa."

Certo l'edilizia è un'industria che non può delocalizzare molto. Quindi si scontra in pieno con il sistema assurdo di permessi, concessioni, autorizzazioni, pareri ecc. che è ormai una giungla inestricabile e pericolosa per le imprese. Ma cosa chiedono in definitiva le imprese è facile da capire: regole semplici e in linea con quelle degli altri paesi. Una tassazione che sia più equa oltre alla possibilità di accedere al credito rivolgendosi a persone competenti nella materia in cui le imprese operano.

Negli Usa se vuoi richiedere un credito per aprire una fabbrica di biscotti o di hardware ti fanno parlare con un esperto nei rispettivi settori. In Italia ti fanno compilare un mare di documentazioni e se hai un "amico" in banca il finanziamento passa, altrimenti si tenta nell'istituto successivo come se fosse un gratta e vinci.

Il costo del lavoro è un problema, ma si supera se le cose vanno bene. E questo è dimostrato da una strana delocalizzazione di un'azienda di Lecco, che invece di inseguire stipendi cinesi, è andata a cercare un quadro normativo razionale e una minore oppressione fiscale complessiva:

"Stefano Fiocchi, presidente dell'impresa della "Fiocchi munizioni", nota: "Da imprenditore, che vuole salvaguardare il valore aziendale, se devo investire non lo faccio in Italia. Dispiace dirlo, ma siamo un paese condannato al declino"
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Non si può neanche parlare di de-localizzazione, ma di scelte strategiche che nascono dall'analisi di costi e opportunità. Non si va all'estero per inseguire un costo del lavoro "cinese", ma solo per lavorare in condizioni normali, cioè a quelle condizioni in cui operano i concorrenti di Germania, Francia, Austria. Il Canton Ticino, la Carinzia, la Slovenia - per indicare alcune aree confinanti con l'Italia - sono pronte a fare ponti d'oro alle imprese che decidono di portarvi un insediamento produttivo. Basta un "saltino" e si passa il confine: che differenza può fare (se non in positivo) a un'azienda lecchese portare la produzione nel Canton Ticino cioè a meno di 50 chilometri da qui? Una valutazione dei costi e delle opportunità la sta facendo la "Fiocchi munizioni" (a Lecco occupa 400 persone per un fatturato di 70 milioni) che, in una prospettiva di crescita, sta decidendo di aprire in Svizzera una nuova unità produttiva. "L'opportunità c'è - spiega Stefano Fiocchi - ora dobbiamo completare le verifiche interne e aspettare la conclusione dell'iter autorizzativo in Svizzera. Se i due step verranno superati procederemo con l'investimento. Non ce l'abbiamo con le istituzioni locali con le quali abbiamo rapporti di grande correttezza, ma ritardi e inefficienze del sistema paese sono un onere che ogni giorno è più pesante". Il progetto allo studio prevede un esborso tra 1,5 e 2 milioni di euro per realizzare un impianto di caricamento, che è l'ultima fase delle lavorazioni della "Fiocchi". "Il modello che vorremmo seguire - spiega il presidente - è quello che abbiamo già adottato negli Stati Uniti che ci ha consentito di far crescere l'attività, con benefici anche per la sede di Lecco"."

(www.laprovinciadilecco.it)

Probabilmente le delocalizzazioni non cesserebbero, perché in un mondo globalizzato, su certi prodotti se si vuole fare concorrenza a cinesi ed indiani si è obbligati ad inseguire un costo del lavoro inferiore al nostro. Ma se in Italia ci fosse una burocrazia più semplice, più amica, una tassazione più umana, molte aziende continuerebbero ad operare e fare investimenti qui. E probabilmente ne nascerebbero anche di nuove con ambizioni di crescita e sviluppo occupazionale. Ma purtroppo nel nostro Stato borbonico tutto questo è impossibile:

"La “lobby burocratica”: complicazione batte semplificazione 4 a 1. Ricordate il Ministero della Semplificazione? Semplificando, è finito travolto dal Ministero della Complicazione, virtuale ma ben più prolifico, che ha prodotto un numero quattro superiore di leggi in grado di ostacolare, rallentare, paralizzare. Sergio Rizzo sul Corriere della Sera dell’8 luglio) si occupa di redigere il bilancio di questo fallimento che, per le dimensioni assunte, non è certo colpa del solo Roberto Calderoli.
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dal 2008 a oggi sono state approvate 491 norme tributarie, delle quali 288 hanno reso la vita più difficile alle imprese, contro le 67 che invece sulla carta le semplificavano. Bilancio: 4,3
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Calderoli, ci provò a fare una legge per stabilire che le leggi dovevano essere scritte in modo chiaro e comprensibile. Quell’obbligo esiste da quattro anni. Ma sfogliate una Gazzetta ufficiale , a caso, e controllate quante volte è stato rispettato. Praticamente mai.
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Per avere norme semplici e comprensibili bisognerebbe forse cambiare chi le scrive. Che invece sono sempre gli stessi. Magistrati e altissimi burocrati detentori dei gangli del potere: capi di gabinetto e degli uffici legislativi, commissari straordinari, consiglieri di ministri e sottosegretari, ai vertici delle authority. Il fulcro della burocrazia. Tecnici e politici al tempo stesso, con entrature di peso nei partiti e nelle loro correnti. Anche loro una lobby"

(www.blitzquotidiano.it)

Pare la solita banale lamentela sulla burocrazia assassina, ma è una questione fondamentale. Ed è ancora una volta questione di cultura. La cultura giuridico-burocratica italiana che andrebbe modificata, innanzi tutto cambiando le persone. Ci vorrebbero persone più giovani e pronte a veri cambiamenti. E questo lo si vede dalle norme che vengono partorite dal potere legislativo, anche quelle di semplificazione: una limatina al comma qui, una abrogazione parziale la, un sostituzione di due paroline e voilat... la semplificazione è pronta.

Mai un colpo d'ala, sempre solo rimescolamenti e rimasticature di norme che andrebbero riscritte da capo a piedi. Ed incredibile anche questo: quelle poche volte che succede che viene riscritta una norma inglobando la materia in un unico codice che si fa? un copia e incolla dalle norme vecchie con poche modifiche. Così non si andrà mai da nessuna parte.

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