mercoledì 25 luglio 2012
Fate Presto, siate folli
Quelli di "Fate Presto", che affermavano che via il governo Berlusconi avremmo recuperato 300 punti di spread, oggi pregano disperatamente la Bce. Hanno esaurito tutti i santi: san Monti non funziona, san Ltro ha funzionato un mese, non rimane che san Draghi. In particolare il direttore R. Napoletano, il quale affermava che non era compito della Bce acquistare titoli di Stato, ma l'Italia doveva fare i "compiti a casa", oggi scrive un editoriale in italiano e inglese in cui dice:
"La situazione è sotto gli occhi di tutti, impone a chi ha la responsabilità delle istituzioni europee di intervenire prima (non dopo) un'eventuale rottura dell'euro per evitare di aggiungere il costo del panico ai già elevatissimi costi che economie, come quella italiana, stanno pagando sull'altare della fragilità politica europea. Noi i compiti a casa li abbiamo fatti, altri ancora ci aspettano, ma è chiaro che oggi paghiamo tutto il conto della debolezza della costruzione europea.
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La Banca centrale europea deve fare la sua parte e deve farla subito. Bisogna cambiare radicalmente la logica e fare tesoro della lezione appresa nel 2010 quando si intervenne in misura insufficiente di fronte alla prima emergenza greca.
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Si obietta: la Banca centrale europea non può attuare questo tipo di interventi, lo vieta la legge. La risposta è secca: non è così. A legittimarli sono precise ragioni di stabilità da tutelare all'interno dell'eurozona. La Bce opera, è chiamata ad operare, perché bisogna evitare i rischi terribili della deflazione legati al cataclisma dell'euro, occorre impedire che tutto si avvolga in una spirale recessiva e in un aggravarsi (non più recuperabile) delle posizioni debitorie riportando i tassi dei titoli pubblici spagnoli e italiani a un livello congruo.
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A nostro avviso, le leggi vanno lette e interpretate nelle condizioni e nei momenti in cui si è chiamati a decidere. Nessuno potrà mai imputare a Mario Draghi e al Consiglio della Bce di essere intervenuti per scongiurare il rischio più grave e avere fatto in modo che, per una volta, i mercati ci perdano e non ci guadagnino. Anche la Bundesbank dovrà farsene una ragione."
(www.ilsole24ore.com)
Da ieri, i fans dell'austerità, sono un po' meno austeri. E un po' più italiani, nel senso di "spendaccioni" e inflazionisti. Se la crisi avanza, vedremo che scomparirà anche il tabù dell'euro "irreversibile". Uscirà un nuovo editoriale sul Corrire, o su Repubblica, o sul Sole24ore in cui il direttore di turno affermerà di essere (sempre stato) favorevole al ritorno alla lira e di essere (sempre stato) contrario alle politiche austeriche.
Io penso che al punto in cui siamo, dovremmo avere il coraggio di fare scelte anche un po' folli, ma necessarie per rilanciare il paese, se non vogliamo veramente ritrovarci in recessione per 20 o 30 anni. Per me, significherebbe sacrificare metà della mia vita produttiva e probabilmente tutti gli anni del riposo pensionistico. Per i più giovani, significa non riuscire mai a impostare una vita adulta. Bisogna pensare ai nostri interessi di italiani, essere più egoisti. Se l'Europa non vuole essere una nazione solidale, anzi non vuole proprio essere nazione, è inutile insistere.
E' meglio tornare a programmare la nostra vita economica, la nostra crescita da soli, con gli strumenti che abbiamo già usato in passato. Il rischio è di tornare a (o proseguire) politiche di spesa pubblica irresponsabile, ma a questo punto, se devo sciegliere tra il binomio onesta&miseria e casta&crescita, preferisco il secondo.
Quindi torno a proporre una mia idea pazza per rilanciare economicamente il paese:
"...scenario fantapolitico. Uscita dall’euro, nuova lira svalutata del 20%; si limita la tassazione media al 25% massimo, pertanto si prevede un drastico dimagrimento dello Stato:
- il debito passa di botto da 1.950 miliardi di euro, a 2.340 miliardi di nuove lire (n.lit.);
- il Pil attuale di circa 1650 miliardi, risulterebbe gravato da meno tasse, quindi si liberano circa 330 miliardi di n.lit. da reinvestire nell’economia reale. Queste risorse generano un’improvvisa spinta che può far crescere il Pil ai ritmi americani ante crisi 2008, cioè del 3% l’anno. L’aumento annuo del Pil sarebbe di circa 50 mld di n.lit.;
- Con una tassazione massima del 25%, sarebbe necessario rivedere le clausole sul pareggio di bilancio. Ma comunque, volendo mantenere uno Stato sano con un deficit di bilancio limitato, si avrebbero a disposizione solo più circa 415 miliardi di n.lit. (la metà della disponibilità attuale); a questo punto si dovrebbero trovare soluzioni per il ricollocamento graduale del personale pubblico verso il settore privato, evitando la sostituzione dei pensionandi, riorganizzando gli uffici, snellendo quelli congestionati e rinforzando quelli carenti; il welfare non potrebbe più essere garantito a tutti e dovrebbe essere integrato da assicurazioni; lo Stato dovrebbe snellire al massimo le procedure burocratiche avendo la metà del personale attuale, a meno che un taglio netto degli sprechi consenta di limitare in parte la diminuzione del personale; molte procedure oggi gratuite, dovrebbero però diventare a pagamento.
- Una crescita del 3% annuo, vuol dire 600.000 nuovi posti di lavoro ogni anno, 600.000 nuovi consumatori ogni anno. La disoccupazione italiana è circa il 9% della forza lavoro, ma considerando Cassa integrazione e lavoro sottopagato direi che il tasso reale è del 15%. Il 15% corrisponde a 3,5 milioni di non lavoratori (occupati 2011), che con un Pil al 3% si riassorbirebbero in 4 anni.
- Anche in questo caso ci sarebbe un aumento della bolletta energetica, ma in un contesto molto più effervescente di crescita economica."
(Italia futuribile)
Una follia che implica, non di ripudiare il debito, ma renderlo meno importante e impellente. Lo spread potrebbe essere annullato, effettuando le stesse politiche messe in campo dalla Fed o dalla Banca d'Inghilterra.
Con una situazione economica risanata e in crescita, sarà poi possibile anche ridurre il debito vendendo azioni o beni demaniali nell'ambito di un'economia interna "frizzante" e non stagnate o recessiva come l'attuale.
Se l'economia cresce, sarà anche più semplice convincere sindacati e dipendenti pubblici a lasciare il "posto sicuro", in cambio di un posto meno sicuro, ma magari più remunerato o con prospettive di crescita personale.
Probabilmente, la cosa più complicata, sarà convincere la politica a non utilizzare più le assunzioni pubbliche come serbatoi di voti. Ma per questo sta già lavorando molto bene Monti.
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