martedì 11 settembre 2012

Convulsioni da economia e società matura



Stiamo vivendo un periodo a cui non eravamo preparati. Il momento in cui un certo tipo di civiltà, un certo tipo di società, costruita su determinati criteri, ha praticamente esaurito le proprie possibilità di sviluppo. Un momento in cui i problemi accumulati in decine di anni sono diventati macigni difficili da spostare.

La nostra società è costruita e basata sull’industrializzazione e sul modello di crescita capitalistica. Il capitale viene impiegato per ottenerne una rendita. Il modo i cui la società industriale ha sempre impiegato il capitale è stato quello di investirlo in un processo di trasformazione del prodotto grezzo in prodotto finito, in grandi quantità attraverso le macchine e la sua successiva commercializzazione. Questo processo presuppone la presenza di energia e materie prime a basso costo, manodopera abbondante e conveniente, un grande mercato con una poderosa domanda dei beni prodotti.

Ad un certo punto questo tipo di sviluppo, e quindi la relativa società, va incontro a dei continui intoppi, fino a quando il meccanismo si inceppa. Quasi da subito, sono iniziati i contrasti sociali tra i detentori del capitale e la manodopera abbondante e conveniente. Col tempo la manodopera è diventata sempre meno conveniente, ma se da un lato questo è stato un danno per il singolo produttore, dall’altra, il miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori, è stata una manna per il lato della domanda e quindi per la società nel suo insieme.

Anche energia e materie prime, con il crescere della loro richiesta, sono diventati via via meno convenienti. I produttori hanno risposto con la tecnologia, cercando di migliorare sempre più il rendimento energetico e riducendo il costo delle materie prime, cercando di sostituirle con nuove più convenienti. Per esempio negli anni si è assistito ad una continua sostituzione del vetro, del legno e del metallo con sostanze plastiche.

Ma poi in una società matura, conformata secondo determinati criteri e abitudini di vita, succede una cosa naturale. Il mercato della domanda di nuovi prodotti tende a diminuire velocemente. Quando tutti i componenti della società (o quasi) hanno raggiunto e acquistato l’ambito prodotto, non rimane che il mercato di sostituzione. Per esempio, non ci saranno più milioni di italiani che bramano per avere la prima auto, ma qualche migliaio all’anno che deve sostituire negli anni la vettura vecchia.

A questo punto la società industriale entra in crisi. Noi abbiamo già superato da un pezzo questa fase. E’ accaduto negli anni ’80. A questo punto i produttori più innovativi cercano di indurre nuove abitudini e desideri per creare nuovi mercati. E’ quello che è avvenuto nelle nostre società con la rivoluzione informatica. Prima il computer non c’era, si è creata la necessità di questo nuovo prodotto, e una parte dei produttori ha cavalcato l’onda, con alterne fortune.
Ma prodotti innovativi e competitivi come quelli informatici non nascono di continuo. Prima o poi anche il settore informatico è giunto a saturazione.

Quando c’è il calo della domanda così improvvisa, la società industrializzata entra in crisi, perché è stata progettata sul presupposto sbagliato di crescita continua. Ma risorse e desideri umani hanno dei limiti. Quando questo tipo di società entra in crisi, i produttori si accorgono di colpo che tutto diventa insostenibile: le materie prime e l’energia non sono più convenienti, la manodopera è eccessivamente cara, i finanziamenti sono difficili da reperire perché anche i banchieri si accorgono che lo sviluppo si è ingolfato.

Ecco che allora la società capitalistica, entra in una fase convulsiva. Al principio i produttori tenteranno di emigrare e sfruttare la manodopera e le risorse di quei paesi rimasti indietro, dove tutto è ancora conveniente. Ma molto spesso, invece di ricreare in quei luoghi lo stesso tipo di società, preferiranno sfruttarli per produrre gli stessi beni ma a costi molto più competitivi nel mercato primario da cui provengono. In questo modo per un po’ riusciranno a reintrodursi nel mercato, e riattivare la domanda grazie a costi più bassi. Ma nello stesso tempo avranno commesso un grosso errore togliendo il lavoro e le risorse al mercato primario da cui sono fuggiti. Per un po’ potranno ancora sfruttarlo, ma poi il mercato primario si sgonfierà. Non solo per mancanza di domanda, ma anche per mancanza di risorse della società stessa, priva di sostentamento.

In piena convulsione, la società industriale, non sa più come auto-sostenersi e creare crescita. E’ per la forza della disperazione che a questo punto si inventano sistemi di arricchimento speculativi e fittizi. Che sono imparentati con il gioco d’azzardo e le catene di Sant’Antonio, dove i primi si ingrassano a scapito degli ultimi entrati nel gioco.
E’ quello che è avvenuto negli anni ’90 e i primi del 2000 in cui sono stati creati tutti i giocattoli finanziari che ora ci stanno portando a fondo.
A questo punto, la ormai ex società industriale capitalistica, è nelle fasi finali. Ha giocato tutte le sue ultime carte, anche quelle fasulle, e si ritrova con un pugno di mosche. Inoltre si ritrova con una montagna di debiti, tutti quelli che in passato si credeva di ripagare, confidando nell’erronea visione di una crescita infinita. Arriva così la fase della “decrescita infelice”, perché al contrario di quella “felice” di Latouche, questa che stiamo vivendo non è per niente cercata.

Che succederà dopo?
La montagna di debiti che ci sovrasta dovrà per forza annientarsi e perdere valore. Sono praticamente impagabili. Questo provocherà il fallimento generale del sistema. Questo avverrà come nel domino, cominceranno a crollare le caselle deboli, e poi tutte le altre. Non c’è scampo. I valori legati alle monete esistenti, ai sistemi finanziari, ai sistemi produttivi saranno svalutati e dissolti. Quanto vale un’industria come la Mercedes se non vende nemmeno una ruota di scorta? Zero. Quanto vale una banca se non è più in grado di farsi pagare un centesimo di interesse, o addirittura di non riavere più il capitale? Zero.
Rimarranno in piedi gli Stati perché sono gli unici che possono decidere di stampare moneta. Ritornerà quindi importante la politica e le sue scelte. Ma anche essi dovranno azzerare tutto, ripartire da capo e cancellare il debito con un colpo di spugna (se non tutto buona parte).

A questo punto la società post-post capitalistica potrà ripartire da capo faticosamente, non senza gravi tensioni al suo interno. Saranno messi in discussione i principi democratici. In alcuni casi saranno accantonati per dare speranza all’uomo della provvidenza di turno, in latri casi saranno messi in discussione e rafforzati i controlli per evitare un nuovo disastro.
Ma tutto dovrà ripartire dal centro civile e politico delle nazioni: lo Stato. Banche e industrie, se non nazionalizzate, dipenderanno di nuovo dal potere politico, nel bene e nel male.
Probabilmente una certa domanda di beni ritornerà a vivacizzare l’economia, soprattutto se la stagnazione durerà a lungo. Ma anche a livello sindacale, inizierà tutto di nuovo dal principio. Cioè da livelli salariali molto bassi, perché all’inizio la crescita sarà faticosa da raggiungere e commisurata al livello di impoverimento della ex società industriale.
Il livello di ricchezza della società crollerà almeno ad un punto collocabile a due terzi tra quelli minimi raggiunti a fine ‘800, inizio ‘900 a quelli massimi raggiunti nei primi anni 2000. Considerando un andamento parabolico della crescita di ricchezza, si tornerà ai livelli economici della fine degli anni ’70, metà anni ‘80.
In Italia ci siamo già quasi, perché siamo una pedina debole del domino.

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