lunedì 31 marzo 2014

Confini amministrativi confusi



Non avevo bisogno di T. Boeri per capire che l'abolizione delle province di cui si parla molto (a vanvera) in questi giorni è pressoché inutile. Ma comunque fa piacere che da sinistra ci sia qualcuno che apre gli occhi e vede le cose come stanno, e non ci sia la solita piaggeria verso il premier "illuminato".

Ma credo che la questione sia abbastanza banale, e l'avevo già scritto in qualche post: le province italiane non sono poi così inutili come si strilla sui giornali, in quanto hanno delle funzioni ben precise. A parte la programmazione e pianificazione urbanistica provinciale di cui si può fare anche a meno, le province gestiscono le scuole secondarie e parte importante della viabilità e mobilità. E poi tutta una serie di altre cose forse meno rilevanti ma non banali, elencate nel D.Lgs. 267 del 2000. Per fare ciò hanno strutture e personale.

Chiaramente si possono anche abolire le province, ma comunque le loro competenze devono passare ad un altro organo amministrativo che sia il comune o la regione. Per questo abolire le province come prevede il progetto Delrio non porterà a grandi risparmi effettivi.

Come afferma Boeri:

"Contrariamente a quanto proclamato da molti titoli di giornali, giovedì non abbiamo affatto dato l’addio alle province. Il disegno di legge approvato col voto di fiducia al Senato (dovrà adesso tornare alla Camera) non abolisce le province. Non poteva essere altrimenti dato che per farlo era necessaria una riforma costituzionale.
...
Per le ragioni di cui sopra, il testo approvato al Senato genera pochi risparmi. Né dipendenti né funzioni delle ex province scompaiono e, di conseguenza, non scompaiono neanche i costi relativi, la stragrande maggioranza delle spese di questo livello di governo. E siccome le province rimangono in vita, anche se la dirigenza politica è ora espressa in modo indiretto, non si riducono neanche le spese di rappresentanza degli altri enti territoriali e del governo presso le province. Quello che si risparmia con certezza è solo il finanziamento degli organi istituzionali (le indennità del presidente, assessori e consiglieri e i vari rimborsi connessi alle loro attività), che vengono aboliti, insieme alle spese delle relative consultazioni elettorali. Il finanziamento degli organi istituzionali è una partita di circa 110 milioni secondo gli ultimi dati disponibili. Non verrà azzerata dati i costi dei nuovi organi delle città metropolitane. Le consultazioni elettorali costano circa 320 milioni e si tengono ogni cinque anni, dunque il risparmio annuale è di circa 60 milioni, in totale i risparmi saranno attorno ai 150 milioni di euro. Meglio che nulla, ma certo non è una cifra particolarmente significativa su una spesa pubblica complessiva di circa 800 miliardi di euro. E non si tiene conto del fatto che la legge aumenta il numero di consiglieri comunali (vedi sotto): il Governo si è impegnato a rendere questa operazione a costo zero, ma è difficile aumentare le cariche senza aumentare le spese."

(www.ilfattoquotidiano.it)

Tutto come da previsioni. Quello che invece mi disturba molto, è il fatto che oggi esiste una certa superficialità nel delineare le competenze dei nuovi organi amministrativi. Era più lucido e consapevole Napoleone Bonaparte di quanto non lo sono gli attuali politici della Repubblica Italiana.

"Chiunque si sia occupato di pianificazione territoriale e di programmazione sa che la dimensione della regione è troppo ampia e quella comunale troppo stretta. E sa che il tentativo di trovare un sistema organizzativo attraverso i comprensori, è fallito. E che le province, istituite dall’ordinamento napoleonico proprio per risolvere quelli che nel XIX secolo erano i problemi d’area vasta (la riscossione dei tributi, la vigilanza contro l’ordine pubblico), tenevano conto delle tradizioni locali e dei variegati legami tra città e contado, tanto che si erano tracciati i loro confini sulla base di indicatori territoriali: la distanza che può percorrere in un giorno un signore che deve recarsi in carrozza al capoluogo per pagare le tasse, uno squadrone di gendarmi a cavallo per ripristinare l’ordine turbato."
(ilsimplicissimus2.wordpress.com)

Ma se Napoleone aveva rapportato le dimensioni e le funzioni delle province alle possibilità "tecniche" offerte allora dall'uso dei cavalli, e quindi utilizzando una certa logica nel disegnarle, oggi non si sa più nemmeno che compiti affidare alle nuove unità amministrative. Così appaiono sulla scena le "città metropolitane" come scatole vuote e quindi come possibili fonti di sprechi futuri ancor prima di partire. Dopo un'incubazione ventennale delle stesse che non ha portato ad alcuna idea particolare sui motivi della loro esistenza.

"Vengono istituite nove città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria) sulla base di criteri interamente politici. Nessun riferimento alla struttura urbana, come dimostra il caso di Reggio Calabria. A queste si aggiungono Roma capitale e le cinque già istituite dalle Regioni a statuto autonomo... . Il problema è che la legge, mentre non pone i paletti di criteri oggettivi sulla base dei quali fondare lo status di città metropolitane, apre la possibilità di istituire altre città metropolitane. Gioco facile, ad esempio, per Padova o Verona sostenere che se Venezia è citta metropolitana, loro hanno molte più ragioni per diventarlo. Il rischio è che molte province (non solo i capoluoghi di Regione!) cambino solo denominazione trasformandosi in città metropolitane. Del resto, il territorio e le risorse finanziarie delle nuove città metropolitane coincidono con quelli delle vecchie province. Al contempo, regna grande la confusione su quali saranno le competenze dei nuovi enti locali, dunque forte il rischio di creare nuove sovrapposizioni (o conflitti) di competenze, come quello di dare nuove funzioni senza risorse adeguate. In tutta la legge approvata al Senato non c’è alcun tentativo di definire le funzioni più appropriate da allocare ai vari livelli di governo, e le risorse di cui dotarli, esattamente lo stesso errore compiuto nel costruire il “federalismo” al contrario negli ultimi venti anni.
...
Il testo varato dal Senato, infine, istituzionalizza e definisce anche le unioni di comuni (e le convenzioni), con sindaci e consiglieri dei comuni sottostanti che diventano, in parte, presidenti e membri del comitato e del consiglio dell’unione.
...
ma perché non si è avuto il coraggio di andare più a fondo? Visto che per i piccoli comuni la gestione di tutti i servizi fondamentali in forma associata diventa obbligatoria, non si capisce bene perché non prevederne direttamente la fusione. Oppure lasciare ai comuni sottostanti meramente una funzione di rappresentanza. Invece, la legge prevede un incremento (rispetto a quanto definito dal Governo Monti) degli assessori, fino a quattro per i comuni dai 1000 fino ai 10mila abitanti, sia pure “senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”."
(www.ilfattoquotidiano.it)

Anche con Renzi, anzi ancor più con Renzi, tutto procede in modo raffazzonato e improvvisato. A causa anche della fretta con cui il premier vorrebbe raggiungere dei risultati utili. La fretta come si sa non è mai buona consigliera. E credo che pasticci simili si avranno anche con la trasformazione del Senato, benché non credo come hanno affermato alcuni, che cambiare forma a questa camera sia un attentato alla democrazia.

Oggi con il Senato si ha un doppio controllo legislativo. Se le leggi fossero emanate solo dalla Camera non significherebbe che è venuta meno la democrazia. E chi lo pensa allora dovrebbe ammettere che considera i deputati dei pericolosi incapaci. Come se attualmente i senatori fossero scelti con un criterio migliore dei deputati. Con questa riforma il Senato rimarrebbe nell'ordinamento statale italiano, e rimarrebbe anche la rappresentazione del territorio attraverso sindaci e presidenti regionali comunque eletti dal popolo. Sulle funzioni attribuite al nuovo Senato si può discutere, ma mi pare che non sia sbagliato a questo punto lasciarne poche. Come per esempio l'elezione del Presidente della Repubblica che non sarebbe solo più il prodotto di accordi politici, ma anche anche dell'espressione dei territori.

L'importante è non aspettarsi da queste riforme, cambiamenti epocali, perché questo non può avvenire. Il ridimensionamento delle province, in realtà sarà minimo in quanto l'eliminazione della "corruzzzione" politica non porterà che pochi benefici. Non è evitando l'acquisto di mutande verdi e vibratori che si risanano le finanze pubbliche. Ciò che incide principalmente sul costo delle province è la "polpa" e non la "buccia". Cioè i costi del personale e di gestione delle competenze provinciali. Asfaltare strade e mantenere in ordine scuole costa miliardate di euro...

Anche il ridimensionamento numerico e funzionale del Senato non porterà a risultati miracolistici. La classe politica che occuperà i seggi della Camera non potrà che essere la medesima dell'attuale. Se è incapace oggi, lo sarà anche domani.

domenica 30 marzo 2014

Soldi dagli elicotteri, ma con ipocrisia


Negli ultimi cinquant’anni ci siamo indebitati con la spesa pubblica e non ci siamo quasi mai preoccupati più di tanto delle conseguenze. Siamo andati avanti allegramente come se la cosa non ci riguardasse. Le economie occidentali crescevano (fra alti e molti bassi) ed anzi la cosa importante era solo la crescita economica da finanziare a qualsiasi costo. Soprattutto a debito.

Solo all’inizio del XXI secolo è arrivata improvvisa, a seguito della crisi finanziaria statunitense del 2007-8, la preoccupazione per gli iperbolici debiti pubblici di molti paesi. Fra questi sicuramente l’Italia, anche se poi a ben vedere, nè la dinamica di crescita del debito italiano, né quello stratosferico giapponese dovrebbero preoccupare molto. I nostri sono debiti alti, ma se si va a vedere cosa è successo a paesi come Spagna o Francia che hanno debiti pubblici minori (rispetto al rapporto debito/Pil) dell’Italia, si vedrà che quei debiti in pochi anni durante l’ultima crisi si sono incrementati paurosamente.

Quella del debito pubblico è quindi una preoccupazione generalizzata. Negli Usa e nel Giappone, poi la preoccupazione si è accresciuta dopo gli aumenti di debito pubblico prodotti attraverso i quantitative easing serviti nel primo caso a coprire i debiti privati irrecuperabili della finanza, e nel secondo caso per una ricerca spasmodica di crescita perduta.

Ma oggi appare sempre più evidente che quella del debito pubblico è una finzione a cui prima o poi bisognerà porre fine. Il debito pubblico non è stato niente meno che una forma sofisticata del vecchio conio di monete in epoca antica e medievale. Lo Stato è padrone della moneta, anche se oggi parrebbero esserlo le banche centrali, e quindi la emette secondo le proprie necessità.

Chiaramente nell’antichità e nel medioevo gli Stati ed i Regni potevano emettere moneta se avevano a disposizione metalli preziosi. E se cercavano di barare emettendo monete con minor quantità di metalli preziosi, incorrevano in pericolose svalutazioni e crisi monetarie che sfociavano in crisi economiche, poi in guerre e a volte epidemie.

Da almeno un secolo, lo Stato può emettere moneta anche senza avere i forzieri pieni d’oro. La moneta di carta, non è altro che un assegno, una promessa di pagamento di una certa quantità di valore. Che però non si salda mai con un valore effettivo in preziosi, ma viene scambiata per beni e lavoro a cui viene attribuito quel valore. Se su quella cartamoneta non ci fosse una simbologia che rimanda allo Stato o ente emettitore riconosciuto politicamente, nessuno si sognerebbe di scambiare pezzetti di carta per beni o lavoro. Si esigerebbero altri beni (baratto) o dei metalli preziosi.

La cartamoneta e la moneta elettronica di oggi sono pura finzione, sono un patto fra tutti noi per cui abbiamo stabilito che quei foglietti e quei numeri hanno un valore riconosciuto da tutti.
Rimane perciò il fatto che non dovendo cavare l’oro, o conquistarlo militarmente, lo Stato moderno potrebbe emettere quanta monete gli serve.

Sennonché, come avviene nella legge di domanda ed offerta, se una cosa viene diffusa troppo, perde velocemente di valore. Per ora nessuno si sogna di pagare l’aria. Per il momento è un bene a disposizione di tutti, quindi è un bene che “non” ha al momento un valore monetario. Mentre si è disposti a fare degli spropositi per un diamante, essendo un bene molto raro.

Pertanto se da un lato lo Stato potrebbe emettere quanta moneta gli serve, dall’altro non può effettivamente lasciarsi andare, perché provocherebbe una svalutazione della propria moneta tale da  renderla ben preso inutilizzabile, come si è visto molte volte nella storia (vedi Repubblica di Weimar). Lo Stato deve perciò sempre trovare un equilibrio tra emissione e tassazione. Tra spinta dell’economia e frenata della stessa.

Per cui ipocritamente, gli Stati tendono a non ammettere mai che si finanziano con la stampa di moneta dal nulla, ma tendono a sostenere che il finanziamento deriva unicamente dalle tasse. Non è vero. Oggi è però drammaticamente vero in Europa, dove alcuni tecnocrati folli, hanno veramente creduto a questa balla colossale, ed hanno imposto deficit a zero o sforamenti limitatissimi di bilancio (il 3% famoso) e quindi imposto il sostegno economico dello Stato solo unicamente attraverso la tassazione. Non per nulla in Italia ha raggiunto livelli asfissianti.

Malgrado ciò anche in Europa si è proceduto alla stampa di moneta, per esempio attraverso l’operazione Ltro della Bce, che ha comportato la creazione dal nulla di circa 1.000 miliardi di euro. Una cifra notevole che però a causa della crisi si è dimostrata appena sufficiente a fermare il collasso dell’euro come moneta comune. Ma anche in questo caso Draghi non ha potuto ammettere la cosa, ma ha dovuto nascondere questa creazione di valore sotto forma di prestito (peraltro dato su garanzie spesso inesistenti).
In Usa e Giappone invece queste politiche monetarie espansive hanno avuto un largo utilizzo, ma come detto primo stanno provocando più preoccupazioni dei vantaggi effettivi ottenuti in termini di crescita.

Quindi in Europa e in Usa si sono avute follie monetarie contrapposte, ma entrambe fallimentari.

“Come potranno le banche centrali “uscire” definitivamente dalla politica monetaria non convenzionale e ridimensionare a livelli “normali“ i loro bilanci gonfiati dalla politica monetaria non convenzionale?
La riduzione degli acquisti da parte della Federal Reserve rallenta solo la crescita del suo bilancio. La banca centrale dovrebbe ancora vendere 3.000 miliardi di dollari di titoli per ritornare nella condizione precedente la crisi.

La verità che solo raramente si ammette, tuttavia, è che non c’è alcuna necessità che le banche centrali riducano i loro bilanci.
Come mostra uno studiorecente pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale, di Carmen Reinhart and Kenneth Rogoff, le economie avanzate si trovano ad affrontare oneri derivanti dai debiti pubblici che non possono essere ridotti semplicemente con un mix di austerità, astinenza e crescita.

Però, se una banca centrale possiede i titoli del debito del suo Stato, non esiste alcuna passività netta per lo Stato stesso.
Lo Stato possiede la banca centrale, quindi il debito che ha emesso e che la banca centrale possiede è verso se stesso, e la spesa per gli interessi viene restituita al governo sotto forma dei profitti della banca centrale.”

Questo giro vizioso su esposto, dove si inventano due figure che fingono di prestarsi a vicenda del denaro, quando in realtà ne esiste sempre solo una, cioè lo Stato, è il simbolo dell’ipocrisia monetaria che ha prosperato nell’ultimo secolo. In definitiva si tratta di stampare denaro, ma di non farlo sapere troppo in giro, inventandosi giri viziosi per nascondere il segreto, ma anche e non secondariamente, per evitare che qualcuno si faccia prendere la mano. Cosa che nell’antichità e successivamente era quasi impossibile: o c’era metallo prezioso oppure non c’era e quindi non si poteva emettere moneta.

Anche se, nei periodi in cui la moneta era legata ai preziosi, comunque si poteva incorrere in svalutazioni. Per esempio l’oro dei popoli precolombiani portato in Spagna in dosi massicce dopo il 1.500, non fece questa nazione più ricca. Ma provocò anche in questo caso inflazione. Quindi nemmeno la circolazione dell’oro può rendere stabile e prospera un’economia nazionale.

La moneta non è tutto, ciò che conta è soprattutto il lavoro e la sua remunerazione. Il problema della crescita è più sociale che monetario. In questo do ragione chi difende l’euro, non è sufficiente cambiare moneta per avere sviluppo, ma è vero anche che con l’uscita dall’euro si potrebbero rimuovere delle rigidità che potrebbe farci respirare un po’ e muoverci più liberamente. E tornare a fare proprio quanto viene tenuto segreto da anni, ma che è fondamentale: stampare moneta.

Ora sarà interessante capire cosa accadrà al Giappone e come riuscirà a nascondere l’emissione di denaro dal nulla, pur continuando a farlo se non vuole collassare.

“Dopo due decenni di bassa crescita e deflazione, il debito pubblico lordo giapponese è oggi maggiore del 240% del PIL
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, per ridurre il suo debito pubblico netto all’80% del PIL entro il 2030 il Giappone dovrebbe convertire il suo attuale disavanzo primario (il saldo di bilancio che si ottiene escludendo il pagamento degli interessi sul debito pubblico) pari all’8,6% del PIL in un avanzo primario pari al 6,7% del PIL e mantenere questo avanzo con continuità fino al 2030.

Questo non accadrà, e ogni tentativo di raggiungere questo obiettivo condurrebbe il Giappone in una grave depressione.
(vedi alla voce Europa, ndr)
La Banca del Giappone continuerà ad espandere il suo bilancio finché raggiungerà il suo obiettivo di una inflazione pari al 2%.
Una volta raggiunto questo obiettivo, il suo bilancio si potrà stabilizzare in termini nominali assoluti e ridursi leggermente in rapporto al PIL, ma la sua dimensione in termini assoluti probabilmente non si ridurrà mai - una possibilità che non deve generare alcuna preoccupazione.
Anche se si verifica una permanente monetizzazione del debito pubblico, tuttavia, la verità può essere nascosta.
Se il governo continuasse a rimborsare alla Banca del Giappone i titoli di Stato giunti a scadenza, ma i rimborsi fossero sempre compensati da nuovi acquisti di titoli di Stato da parte della banca centrale, e se la Banca del Giappone mantenesse nullo il tasso di interesse pagato sulle riserve delle banche commerciali, l’effetto netto sarebbe lo stesso di una cancellazione del debito, ma la finzione di una “normale“ attività della banca centrale potrebbe essere mantenuta.

Le banche centrali possono monetizzare il debito pubblico fingendo di non farlo.
Questa finzione può riflettere un utile tabù: se riconosciamo apertamente che la cancellazione o monetizzazione del debito pubblico è possibile, i politici potrebbero pretenderla in continuazione e in misura eccessiva, non solo quando è opportuna.
Le esperienze storiche della Germania di Weimar, o dello Zimbabwe oggi, illustrano il pericolo.

Quindi, anche quando una permanente monetizzazione del debito pubblico si verifica - come quasi certamente accadrà in Giappone e probabilmente altrove - essa rimane sempre la politica che non osa dire il suo nome.”

Insomma è possibile trovare delle tecnicalità per cancellare il debito senza cancellarlo, e soprattutto per continuare ad emettere moneta senza dirlo palesemente. Questo è in sostanza ciò che sostiene l’economista A. Turner nell’artico su citato.

Quello che però non torna, e che fa dire ai liberisti che le politiche keynesiane non funzionano, se è vero che gli Stati saggi (quindi ad esclusione dell’Europa) se vogliono sopravvivere devono stampare moneta anche se in incognito, perché le politiche monetarie espansive si Usa e Giappone non funzionano a dovere? Perché la crescita, anche negli Usa, è minore di quel che ci si sarebbe aspettati?

Probabilmente proprio per quello che ho scritto prima: il problema della crescita è più sociale che monetario. Non è sufficiente stampare trilioni di dollari se poi questi soldi servono per fare giochi finanziari simili a catene di Sant’Antonio. O vengono impiegati in investimenti che ci si aspetta continueranno ad aumentare di valore solo perché tutti si convincono ad investire in borsa. Quindi non si gioca sul valore effettivo di un titolo, sul suo sottostante commerciale ed industriale, ma si gioca sulla massa dei giocatori stessi partecipanti…

Lo dico in modo chiaro, per cui non ci siano travisamenti. Oggi per uscire dalla crisi ci vorrebbe più statalismo e meno libero mercato. Lo Stato, non solo dovrebbe stampare moneta, ma decidere come e dove spenderla. Oggi sarebbe necessario un riequilibrio, ovunque in occidente, fra le varie categorie sociali. Lo Stato dovrebbe finanziare opere pubbliche, e/o tornare attivamente in economia pagando stipendi, per riportare reddito nelle classi sociali oggi impoverite dalla crisi. Dovrebbe essere lo Stato a riattivare quella domanda interna, che è l’unica che può riportare crescita nei vecchi paesi industrializzati.

Il libero mercato non lo può fare. O meglio lo potrebbe fare in parte, ma solo con l’aiuto dello Stato. Il quale ha due strade in effetti per intervenire: quello di farsi attore, oppure quello di ritirarsi. Ritirandosi lo Stato lascerebbe al privato la possibilità di crescere e quindi di creare sviluppo. E’ chiaro che anche in questo caso lo Stato non potrebbe rinunciare alla stampa di denaro dal nulla. Per lo Stato ritirasi dall’economia rappresenta comunque un costo: significa meno tasse, significa meno burocrazia. Anche se lo Stato si riducesse di dimensioni, alcune funzioni che rimarrebbero a suo carico dovrebbero essere finanziate in qualche modo. Come ha dimostrato il caso statunitense, i tagli e gli sconti delle tasse degli anni novanta, più uno Stato snello con poca burocrazia, hanno comunque prodotto un aumento del debito senza precedenti. Il livello di tassazione rimaneva troppo distante dalle effettive esigenze economiche statali.

In ogni caso, negare allo Stato la possibilità di emettere moneta è cosa assurda, ed anche pericolosa. Quel che sta avvenendo in Europa è folle.
In secondo luogo però non è sufficiente stampare denaro e poi lasciare che siano i banchieri a deciderne la destinazione. Deve essere la politica e lo Stato a guidare la crescita elaborando un piano preciso.
In terzo luogo, è chiaro che queste politiche si devono fare ma non si possono abusare. E’ logico che in futuro l’emissione di moneta dal nulla dovrà essere legata a regole precise, che abbiano come obiettivo la creazione di lavoro o meglio la redistribuzione del reddito presso un numero maggiore di soggetti, e che contengano dei freni che impediscano la perdita di controllo come è avvenuto recentemente in Zimbawe.

Lancio di monete dagli elicotteri si, ma con cognizione ed in incognito.

sabato 29 marzo 2014

Svalutazione salariale dall'alto



"Scattano il 1 aprile i tagli agli stipendi dei manager pubblici

Avranno compensi ridotti di almeno il 25% rispetto ai predecessori i presidenti e gli amministratori con deleghe di Eni, Enel, Finmeccanica, Cassa depositi e prestiti (Cdp), Ferrovie dello Stato e Poste italiane. L’annuncio arriva dal ministero dell’Economia, che in un comunicato spiega di voler dare attuazione a quanto prevede il cosiddetto «decreto del fare». Il taglio delle remunerazioni sarà sottoposto al voto delle assemblee.

Il rappresentante del Tesoro «è vincolato a votare favorevolmente tale proposta«, spiega la nota
...
Quindi non potranno guadagnare più di 311.658,53 euro gli amministratori delle società non quotate controllate dal ministero dell’Economia, diverse però da quelle che emettono obbligazioni sui mercati regolamentati. Nel tetto rientra “qualsiasi componente retributiva, inclusi benefit di tipo non monetario suscettibili di valutazione economica”"

Qualche giornalista dietrologo e gigione afferma che questo provvedimento ha un non so ché di populista. Accarezza l'opinione pubblica nel verso giusto del pelo. Effettivamente questo è vero. A me però suggerisce un'altro possibile punto di vista.

Se l'Europa (cioè la Germania) ha deciso per noi che non potendo svalutare la moneta, si devono svalutare stipendi e prezzi interni, allora anche la classe dirigente deve dare il buon esempio. Renzi ha quindi iniziato ad applicare la svalutazione salariale dall'alto. Tanto prima o poi, che si cominci da una parte o dall'altra il risultato sarà lo stesso. Meglio iniziare le "rifforme" dove fanno meno male. Se tagli del 25% lo stipendio del super manager sicuramente questi non soffrirà molto. Diverso se lo fai con lo stipendio dell'operaio Fiat... Ma se poi l'operaio vede il "buon esempio" partire dall'alto, forse, forse si rassegna...

Del resto come potrebbe funzionare effettivamente la svalutazione salariale? Non come avviene oggi, in cui a fianco di super manager strapagati, e dipendenti garantiti ancora ben pagati, ma anche una casta di professionisti con parcelle milionarie, ci sono categorie sfortunate di lavoratori saltuari con stipendi finti con i quali a malapena si pagano gli abbonamenti dei mezzi pubblici, o di operai come quelli della Elettrolux che vengono messi di fronte al dilemma lavoro o taglio di stipendi, o di esodati a cui era stata promessa un pensione anticipata ed ora sono senza reddito.

Così la svalutazione salariale non funziona. Perché ci sono categorie e strati di società il cui reddito è sproporzionalmente più basso della media, che non sono in grado di sopravvivere e quindi di sostenere il mercato interno, e quindi di partecipare al Pil nazionale. E' anzi per questo che stiamo economicamente collassando. I consumi interni latitano, perché i lavoratori italiani non sono più in grado di sostenere gli acquisti, nemmeno quelli di base ormai.

Come può funzionare effettivamente la strategia della svalutazione interna? Potrebbe funzionare solo in un modo. Cioè se in uno stesso istante tutti i salari e tutti i prezzi venissero abbassati di una certa percentuale. E' chiaro che si tratterebbe di un intervento da socialismo reale, impraticabile oggi. Ma se fosse possibile, diventeremmo immediatamente più competitivi, poiché la nostra manodopera risulterebbe meno onerosa che in altri paesi come la Germania. Inoltre i lavoratori potrebbero comunque difendere il loro potere d'acquisto, avendo a disposizione dei beni il cui prezzo sarebbe commisurato allo stipendio. Probabilmente la domanda interna si riprenderebbe un poco, o comunque smetterebbe di arretrare.

Si avrebbe una deflazione interna istantanea, che renderebbe poco conveniente produrre per il mercato interno. Questo è sicuramente vero, ma è anche vero che i lavoratori italiani non avrebbero più molte possibilità di acquistare beni provenienti da paesi con moneta... anzi con stipendi maggiormente rivalutati. Quindi l'industria italiani si riprenderebbe non solo per un aumento delle esportazioni, ma anche per un aumento delle vendite nazionali. Meno Volkswagen  e più Fiat. Avverrebbe più o meno ciò che succederebbe lasciando l'euro e ripristinando una neo-lira svalutata.

Allo stesso modo, le materie prime che acquistiamo dall'estero, ci costerebbero un po' di più in proporzione alle retribuzioni ed ai prezzi interni. Anche in questo caso avremmo una situazione simile a quella in cui ci ritroveremmo con una neo-lira. Rimarrebbe invariato comunque il costo delle materie prime in rapporto ai prezzi dei beni esportati.

Con il debito pubblico avremmo il vantaggio di conservarlo in euro. Anche se qualcuno afferma che questo è uno svantaggio. Poiché trasformandolo in lire, in realtà si svaluterebbe di colpo del 20-30%. Un debito di 2.000 miliardi euro diventerebbe un debito di 2.000 miliari di neo-lire del valore di 1.500 miliardi di euro. Altri sostengono che non tutto il debito potrebbe essere svalutato: quello in mano agli stranieri saremmo costretti a continuare a pagarlo in euro per non incappare in sanzioni internazionali.

Comunque con la svalutazione interna istantanea, il nostro debito pubblico, pur non variando, diventerebbe un peso maggiore. Poiché se oggi abbiamo un Pil di circa 1550 miliardi di euro a fronte di 2.015 miliardi di debito pubblico, con una svalutazione interna di salari e prezzi, il Pil potrebbe diminuire ancora in termini assoluti (anche se con tendenza a crescere nel futuro grazie alla miglior performance dell'export). Così se oggi abbiamo un rapporto debito/Pil del 130%, con una svalutazione istantanea questo rapporto potrebbe peggiorare brutalmente.

Insomma riassumendo, con la svalutazione interna: aumentano le esportazioni; cala in rapporto agli stranieri il valore dei nostri stipendi; rimane però invariato o quasi il nostro potere d'acquisto; ci costerebbero di più le materie prime; il rapporto debito/Pil aumenterebbe ancora.
Con la svalutazione monetaria adottando la neo lira si avrebbero le stesse conseguenze.

Ma allora mi chiedo, perché scegliere la strada difficilissima della svalutazione interna, in quanto genera scontri sociali e populismo a non finire, invece della più semplice svalutazione monetaria, dove tutte le cose su esposte, quelle vantaggiose e quelle svantaggiose, avvengono automaticamente e nessuno si accorge della decurtazione del proprio stipendio in rapporto a quello di un tedesco?

venerdì 28 marzo 2014

Umori dalla Capitale dell’Impero



(Oggi che sono pigro, propongo un divertente ma istruttivo post, nel senso che condivido in pieno ogni parola, di M. Tizzi - www.rischiocalcolato.it)

Torno dalla mia consueta gita a Berlino con la solita nostalgia nel cuore per quella che ritengo sempre la più divertente città del mondo. E per questo non posso che ringraziare ancora una volta tutti i tedeschi non berlinesi, bavaresi uber alles, che con le loro abbondanti tasse consentono a questa città ultrasussidiata di rimanere, soprattutto nella parte Est, la grande patria del fancazzismo soprattutto discotecaro e di ogni forma d’arte.

Grazie di cuore, non potrei davvero permettermi le mie 3-4 vacanze all’anno in un’altra capitale. E comunque la gente dovrebbe lavorare senza la vostra generosità, quindi sarebbe difficile passare così tanto tempo in giro per club.

Data la particolarità della Capitale dell’Impero e dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Europee, è molto difficile sentire il “clima” del “popolo” tedesco (ovviamente per me non esistono “popoli”, “razze”, “società”, ma solo individui) facendo riferimento ai Berlinesi dell’Est, ma non manco mai di chiedere opinioni sulla politica internazionale alle persone con cui mi capita di parlare e devo dire che questa volta sono tornato un po’ preoccupato. La preoccupazione nasce dal fatto che il 100% dei miei interlocutori, inclusi amici anche ormai di lunga data, sono risultati convinti che i soldi delle loro tasse siano finiti e stiano finendo tutt’oggi nelle tasche degli italiani.

A questo punto solitamente l’essere italico medio taccia i tedeschi di nazismo e razzismo e s’incazza come una bestia.

Errore.

“I tedeschi” (che non esistono, esistendo solo individui casualmente nati e/o cresciuti in Germania) sono sì nella stragrande maggioranza Nazisti, perché “Nazista” significa “Nazional Socialista” e i socialisti l’hanno abbreviato perché faceva brutto dire che Hitler era un socialista, anche se, nel mondo reale, tolta la bi-lingua, era ed è così. Idem Mussolini. Ma del resto la stragrande maggioranza degli europei è Nazista, quindi non vedo dove stia il problema.

“I tedeschi”, però, non sono affatto razzisti. Certo, come ci ricordava la Bild agli Europei, spesso il maschio tedesco si porta dietro il brutto ricordo di un latin lover che gli ha fottuto la donna, certo, il calcio è stato un problema, certo di donne bionde col cuore spezzato da un bagnino di Rimini ce ne sono ancora in giro tante, ma da lì ad essere razzisti ci passa un oceano. In realtà la Germania è uno dei pochissimi esempi di meltin’ pot ben riuscito al mondo, in cui gente nata e cresciuta in tutto il mondo vive davvero pacificamente.

Dov’è quindi il problema? Perché tante stronzate? Cui prodest?

Secondo me il problema è sempre quello: l’informazione. Che in Germania è come in tutto il resto del mondo, cioè prezzolata, statalista e propagandista, con la differenza che “i tedeschi” si fidano, al contrario di quello che avviene in gran parte del mondo occidentale. Ricordo una mia cara amica “tedesca” che mi diceva “se in Germania succedesse quello che succede in Italia i giornali farebbero un macello”. Illusa.

Se anche voi pensate che l’informazione tedesca sia dura e pura, provate a leggere la Bild e pensate che è il giornale più letto del paese. Auguri.

Ma anche andando più su di livello, Spiegel, FAZ, Handelsblatt, in effetti non mi è mai capitato di leggere la dura e maledetta realtà su quali sono stati i flussi di denaro dei taxpayer europei in questa crisi infinita. Immagino, infatti, che non sia carino per un giornale tedesco dire che i soldi dei “salvataggi”, soprattutto della Grecia, non si siano fermati nemmeno un secondo nei Paesi “salvati”, ma siano finiti nelle tasche delle banche che avevano fatto la stronzata megagalattica di prestare soldi ai PIIGS agli stessi tassi degli altri Paesi europei. Non è carino perché quelle banche sono soprattutto tedesche, cosa che, diamogli atto almeno di questo, Monti disse in conferenza stampa a Berlino, in tedesco.

Non è carino perché magari, chissà, i cittadini tedeschi potrebbero anche incazzarsi a sapere che il loro governo ha raccattato soldi in tutta Europa per salvare le proprie banche. Proprie nel senso che le possiede, non nel senso che hanno sede nella terra che governa.

Quindi ho il timore che la propaganda abbia fatto il suo corso e che adesso i tedeschi siano convinti che gli italiani facciano gli splendidi nelle loro villone grazie ai soldi raccolti con le tasse tedesche.

Se fossi nazionalista potrei ricordare loro che hanno ancora l’oro che le SS hanno fottuto all’Italia, ma quell’oro non era mio, perché non sono nazionalista, quindi per quanto mi riguarda possono anche tenerselo.

Sarebbe carino, però, che quando pago il 70% abbondante di tasse evitino almeno le prediche. Ma la propaganda funziona così, del resto la Lega sbraita contro il Fiscal Compact che ha firmato il suo Governo, quindi ne sappiamo qualcosa anche noi.

Fatto sta che gli eredi di Goebbels hanno imparato bene dal loro avo.

Ma perché il Governo tedesco vuol far credere al loro popolo che noi gli stiamo fottendo i soldi?

Nella risposta a questa domanda mi aiuta Uriel Fanelli, blogger che mi auguro tutti voi conosciate. O che rimediate subito alla mancanza leggendo costantemente Kein Pfusch.

Ammiro Uriel, anche se sono spesso in disaccordo con lui. Come è ovvio, penso, perché alla fine noto sempre in lui un’ammirazione smisurata e molto cieca per la Germania, sua patria d’adozione. Ritenendo io la Germania lo Stato più socialista del mondo non posso che essere spesso in disaccordo.

Nei pochi mesi che ho vissuto a Colonia mi ricordo che per farmi un complimento mi dicevano “sei più tedesco dei tedeschi”. Non era affatto vero ovviamente.

Uriel, invece, è più tedesco dei tedeschi.

Davvero.

In due splendidi pezzi, qui e qui, spiega come quella dell’Europa a due velocità sia da sempre un progetto di Schauble. Si dimentica il dettaglio che Schauble era consigliere di Kohl, ma è un dettaglio forse insignificante (davvero).

Secondo Uriel, quindi, il progetto di “Europa a più velocità” è un progetto sbandierato ai quattro venti, che semplicemente viene messo in atto con ogni mezzo da un Governo sulla cui legittimità democratica ci sarebbe molto da discutere. Non che la democrazia sia poi il mio pallino, sia chiaro. Anzi, la ritengo giusto meglio della dittatura, ma sempre un pessimo sistema di Governo, a meno che sia quella vera.

Penso che abbia ragione, che sia così: il Governo tedesco vuole un’Europa a più velocità e vuole governarla come Stato più forte della parte a velocità più alta, anche se comunque prossima allo zero.

Però Uriel dimostra davvero di essere molto “tedesco” perché commette lo stesso errore che i governanti tedeschi hanno commesso già troppe volte nel secolo scorso. In particolare una frase mi ha colpito: il voto degli euroscettici non farebbe altro che “accontentare un vecchio piano tedesco. Che sicuramente sarà a vantaggio della Germania, visto che è stato ideato da loro”. Ah sì? Dato che i governanti tedeschi hanno fatto un piano è sicuramente a vantaggio della Germania? Tipo la “soluzione finale” di Hitler? Tipo i piani di Ludendorff e Guglielmo II?

Ricordo che i “piani tedeschi” dei governanti tedeschi hanno ridotto nello scorso secolo la Germania in un Paese del terzo mondo, raso al suolo due volte, separato e riunito a fatica, con un mucchio di problemi tutt’oggi irrisolti.

Forse Fanelli non capisce che lo statalismo prevede uno Stato forte dentro e fuori dai confini e che questa forza è data soprattutto dall’esercito.

E che l’esercito tedesco oggi (per fortuna) conta come il due di picche quando briscola è bastoni, un altro mazzo.

E che la Germania è militarmente invasa dal più grande avamposto militare americano al di fuori degli USA (cosa che rende assolutamente ridicola la polemica con la NSA, ma non divaghiamo).

E che gli USA potrebbero essersi rotti il cazzo.

Soprattutto potrebbero essersi rotti il cazzo del mercantilismo teutonico, perché il mercantilismo, dato che la bilancia commerciale è un gioco a somma zero, oltre ad essere una stronzata obbliga alla guerra economica al resto del mondo. Perché se devi esportare tu, non possono esportare gli altri. E questo crea attriti. E gli attriti diventano prima scintille, poi fiamme e poi incendi.

Achtung, baby.

Che se fai girare i coglioni al più potente esercito del mondo rischi di bruciarti.

Quindi io resto della mia idea, rafforzata dalla conferenza stampa del signore abbronzato che adesso è a Roma e che NON passerà invece da Berlino: il sig. Draghi, che ha il passaporto italiano, ma il culo a stelle e strisce, sta caricando con i voti euroscettici (che del resto in Italia non hanno una rappresentanza reale, altrimenti sarebbe maggioranza assoluta) il bazooka del torchio da una parte e la pistola dell’Unione Bancaria dall’altra.

Il primo è puntato verso i PIIGS e spara Euro freschi, il secondo è puntato alla tempia di Weidmann e spara fallimenti bancari tedeschi. Andrà dalla Signora Grandi Forme e chiederà “quale dei due grilletti devo tirare, madame?”

E pioveranno Euro sul debito pubblico italiano. Del resto i dollari stan già piovendo.

Poi l’Imperatrice di Prussia farà comunque fuori il nazistello con la faccia da pirla a capo della Buba, più che altro per liberarsi di un pericoloso avversario politico, ma a quel punto sarà troppo tardi: avrà già vinto l’esercito più forte e l’Imperatrice, poverina, tornerà nell’angolo della Storia che le compete, quello dietro alla lavagna, con le orecchie da somaro.

E da lì firmerà il patto di free trade con gli USA che sta facendo di tutto per non firmare.

Magari portatole, beffa del destino, proprio dal nostro Mr. Bean-Mascetti, con un sorrisino a cazzo, che se non altro ha capito che nel grande Risiko di questi Stati che voi tanto amate, vince chi ha l’esercito più forte.

Cosa che, da sola, lo renderebbe il miglior giocatore di Risiko tra i politici italiani degli ultimi 20 anni.

Non un gran risultato, di suo, che il mio gatto Felipe faceva il culo quadrato a tutti.

Ma tant’è, son tempi duri, s’ha da accontentasse.

“Storicamente, le cose più terribili (guerre, genocidi, schiavitù) non sono il risultato della disobbedienza, ma dell’obbedienza”.

(Howard Zinn)

Speriamo che “i tedeschi” se ne ricordino. Per loro, più che altro.

(Per contro va detto che oggi, l'unica super potenza militare del mondo, gli Usa, è un po' "sbombata". Nel senso che la crescente crisi economica e l'iperbole del debito non gli consentono di spendere e spandere in nuove guerre. Si è visto con la Siria, dove dopo tanto sbraitare ha evitato un intervento diretto. Anche in Ucraina finirà tutto in un non nulla, anzi finirà tutto come vuole Mosca...

Anche agli Usa ultimamente piace vincere facile: con la Libia hanno mandato avanti Francia e Uk, e poi comunque Gheddafy non rappresentava niente di insormontabile militarmente. Visto che qualche anno fa la Libia aveva dovuto arrendersi al Ciad ed è tutto detto sulle qualità militari di quel paese. 
Ma se la Germania mente a se stessa, come si afferma in questo pezzo, la sua egemonia non continuerà a lungo. Si risveglierà presto passando dal sogno egemonico all'incubo dell'euro/Europa che rischia di crollare.)

giovedì 27 marzo 2014

Una fiscal risata li sommergerà



E' proprio vero che se non stessimo vivendo una tragedia ci sarebbe da rotolarsi dal ridere. Come c'è da schiantarsi dalle risate per le affermazioni di I. Visco governatore di Bankitalia riportate da "Iceberfinanza":

"Mentre in Italia sembra prepararsi il Vietnam parlamentare di Renzi e in Ucraina la dolce Tymoschenko ucciderebbe volentieri con un mitra Putin e bombarderebbe con l’atomica tutti i russi che vivono in Ucraina, andiamo ad occuparci per un attimo delle parole di un altro pifferaio magico italiano, il governatore della Banca d’Italia Visco il quale incomincia seriamente ad occuparsi di Fiscal compact

“Per rispettare gli obiettivi del Fiscal compact europeo non sono necessarie maxi-manovre di riduzione del debito pubblico, perchè basterebbe mantenere il bilancio in pareggio con una crescita vicina al 3%. La regola sul debito pubblico, ha sottolineato Visco, «richiede una riduzione media annua del suo rapporto rispetto al Pil pari a circa un ventesimo della parte che eccede il limite del 60%. Per rispettarla non è necessario ridurre il valore nominale del debito. In condizioni di crescita ‘normale’, vicina al 3% nominale, sarebbe infatti sufficiente mantenere il pareggio strutturale del bilancio”.

Visco, per taglio debito no a manovre da 40-50 miliardi… e ci mancherebbe dove li troviamo 40/50 miliardi se si stanno scannando per trovarne 10 per regalare 80 euro il biglietto per partecipare alle elezioni europee?

Ma certo è così semplice, perchè non ci abbiamo pensato prima, una crescita nominale del 3 % !!!!




nominale si intende il PIL reale aumentato dell’inflazione.

Basta il grafico per capire quanto sia irrealistico oggi ottenere una crescita nominale del 3 % o serve anche l’inflazione, ci facciamo aiutare dall’inflazione, mentre va a passeggio con la deflazione ?

Con una crescita reale prevista dello 0,6% quest’anno e dell’1,1% il prossimo. Queste le stime del Fondo Monetario Internazionale contenute nella bozza del World Economic Outlook secondo quanto anticipato dall’agenzia stampa Ansa ma tanto non ne azzeccano una a morire, servirebbe un’inflazione rispettivamente del 2,4 e 1,9 per giungere a quel risultato, mentre ora stiamo per andare a far visita a nonna deflazione… In Italia, precisa Eurostat, l’inflazione annuale a febbraio è stata dello 0,4%, in calo rispetto allo 0,6% di gennaio. Un anno prima, nel febbraio 2013, il tasso annuale era al 2,0%. Sempre per l’Italia, l’inflazione mensile è -0,3%."

(icebergfinanza.finanza.com)

Che poi quella di Visco non è neppure un'idea tanto originale. Non solo l'ho sentita in qualche talk show dove si voleva tacitare chi faceva "terrorismo economico" dicendo la verità, cioè che dovremmo tirare fuori dal cilindro della spending review e del fisco almeno 50 miliardi di euro all'anno, ma circolava già un anno fa
sul Web:

"Il fiscal compact è un costo o solo una modifica di rapporti fra debito e Pil? Secondo Seminerio (Phastidio.net) il fiscal compact non è così tremendo come può apparire, forse meno del pareggio di bilancio.
...
"Con il "Fiscal compact" saremo obbligati a spianare il debito, per un controvalore di circa 980 miliardi in 20 anni (follia e delirio) per un totale di circa 50 miliardi all'anno! alla faccia della fine del tunnel! Significa portare effetti recessivi nell'economia reale per 30 anni!"
(Siamo all'inizio del tunnel - dati sul debito superati)

In effetti questa è una strada, ma non è quella più semplice da seguire. Anzi la strada che probabilmente è stata prevista dalle istituzioni europee è un'altra.
...
"Le cose non stanno esattamente in questi termini, ed è possibile mantenersi in tabella di marcia (e pure batterla) con sforzo ragionevolmente contenuto o pressoché nullo, al verificarsi di date condizioni.
...
è utile rileggersi un articolo scritto un anno addietro da Giuseppe Pisauro per lavoce.info, in cui si dimostra la tesi che, contrariamente agli strepiti politico-popolari, la regola sul debito è in genere meno severa di quella sul pareggio di bilancio.
...
«Si può calcolare facilmente che per rispettare la regola di 1/20, con un debito al 120 per cento del Pil e il pareggio di bilancio è sufficiente che il Pil nominale cresca del 2,5 per cento;
...
Perché si verifichino basta un po’ di inflazione. Tanto per dare un’idea, nel 2000-2007, anni di crescita reale molto bassa, la crescita nominale del Pil in Italia è stata in media del 3,6 per cento l’anno»

In caso aveste soverchi dubbi su questa stregoneria, partite dalla premessa (bilancio pubblico in pareggio), e moltiplicate il debito-Pil per il Pil nominale: 120 per cento per 2,5 per cento fa (sorpresa, sorpresa) 3 per cento. E così via."
(phastidio.net)

Oppure si può prendere il Pil italiano (1.600 miliardi circa) e moltiplicarlo per una crescita del 2,5%, e si ottengono 40 mld di euro in più. Il rapporto 2015/1640 vale il 123% che sarebbe 3 punti inferiore all'attuale rapporto del 126%.
...
se era necessario far crescere il Pil del 3% all'anno, il governo (Monti all'epoca, ndr) avrebbe dovuto fare l'opposto di quel che ha fatto. Invece di stritolare l'economia, avrebbe dovuto ridurre il carico fiscale e burocratico, e poi chiedere al resto del mondo di aderire a un progetto di poderosa crescita (per l'Italia) economica acquistando titoli di Stato italiani. Titoli sicuri, coperti da una crescita rassicurante."

(Le due interpretazioni del fiscal compact - 12 gennaio 2013)

Il fiscal compact comincia a spaventare, soprattutto perché potrebbe diventare un cavallo di battaglia di Grillo&C., dove la "C" significa "compagnia di populisti assortita". Ma del resto se la sono cercata. Gli europeisti e liberisti estremi hanno aderito all'austerità più stupida ed ora si sono giocati la crescita che all'interno del sistema dell'euro non ci sarà mai. E se il futuro governo (per Renzi prevedo una fine prematura sommerso dalle sue stesse balle...) dovesse veramente cavare 50 miliardi di euro ogni anno da tasse e tagli, non solo scoppierebbe una rivoluzione, ma la recessione prenderebbe una piega ancora peggiore dell'attuale. Alla fine nemmeno Laffer sarà in grado di fornire una spiegazione logica all'andamento del prelievo fiscale, che in definitiva dovrà diventare una confisca vera e propria.

Credo che il fiscal compact, se non sarà la Francia di Le Pen a far saltare il banco, rappresenterà il momento della verità e il momento della scelta vera: fuori o dentro l'euro. A meno che la Germania si arrenda all'evidenza e pur di guadagnare tempo ci conceda di rinviarne di anno in anno l'adozione. Fino a quando ci si renderà conto che è impossibile adottarlo. Allora forse si deciderà di cambiare politica economica, monetaria e l'Europa stessa. Nel frattempo saremo morti e falliti da tempo. Amen.

Comunque vada sarà un disastro, e non basterà l'ottimismo della ragione di quelli come Visco per fermare la caduta dell'Italia verso il baratro. E comunque Visco si consoli, non è l'unico a farci ribaltare dalle risate. Ci sono ministri che non hanno la minimissima idea della materia di cui si occupa il proprio dicastero ("In Che mani siamo: F35 e Pinotti"). 

mercoledì 26 marzo 2014

Sdoganamento no euro (2)



Nel primo post con questo titolo, facevo notare che ormai fare propaganda contro l'euro in rete era diventato banale:

"Due anni fa, scrivere un post anti euro, o riportare qualche raro articolo contro l'euro tradotto dalla stampa estera, mi dava l'impressione di essere un carbonaro del Risorgimento. Oggi mi pare addirittura quasi ripetitivo. Non c'è giorno che passa senza che da qualche parte in rete, anche su siti di testate nazionali non venga pubblicato un testo che prima sarebbe stato definito populista.
Anche se molti esperti continuano a abusare del termine "populista" a sproposito. Mi è capitato di sentire un commento all'indomani del V-day grillino di Genova, in cui un'intellettuale affermava che Grillo dal palco trattava purtroppo ancora temi populisti, come la carenza di democrazia nell'Unione Europea...
Non sapevo che anche la democrazia fosse diventato un tema populista! Probabilmente lo diventa se pronunciato dal politico "sbagliato".

Ma comunque oggi l'euro non è più di moda. La maggior parte dei partiti italiani sta velocemente o lentamente transitando sulle sponde antieuropee. "

(Sdoganamento no euro - dicembre 2013)

Era solo l'inizio, ma già il tema dell'euro era addirittura entrato di prepotenza nei talk show, cosa impossibile per esempio nel 2012 se non in casi rarissimi. I media hanno a poco a poco scoperto che il tema "tira" e fa audience.

Dal 24 marzo 2014 con l'avanzata in Francia del Front National il tema dell'uscita dall'euro è diventato preponderante, con grande sconcerto qui in italia del Pd e delle forze più europeiste. E' stato sdoganato l'argomento "no euro" anche nell'ambito più importante, quello dello scontro politico. La stessa cosa non era accaduta per esempio nel 2013 con le elezioni nazionali.

Questo l'ho immediatamente percepito poiché si è subito alzata, per esempio la voce di Napolitano, il quale (non ho capito bene il motivo, forse a causa di qualche domanda specifica di giornalista) ha messo in guardia contro la possibile perdita della pace e della libertà in Europa. Come se l'euro c'entrasse  qualcosa con libertà e pace. Quando in realtà il problema dell'euro e dell'Europa è semmai la mancanza di democrazia, di cui del resto Napolitano non sente la mancanza visto che preferisce governi nominati e non eletti dal popolo.

Se come credo l'Europa è ormai più che interconnessa, credo che l'affermazione di M. Le Pen avrà grande influenza anche sulla campagna elettorale in Italia (ed auspicabilmente in altre nazioni). Di fatto ha imposto l'agenda, ed ha imposto un'agenda estremamente sgradevole per il centro sinistra italiano. Costretto a confrontarsi con un tema di cui non vuol parlare e che ha sempre cercato di censurare in questi anni, dalla caduta di Berlusconi in poi. Il quale era un capo espriatorio talmente comodo, che dover ora andare a cercare le vere cause della crisi, provoca nei piddini un certo imbarazzo e una perdita di riferimenti politici.

Eppure ora si dovrà discutere in questa campagna di Europa, e come dimostra la risposta piccata di Renzi sul successo del Front National, il Pd non ha veri argomenti, una vera strategia.

"La "luna di miele" del governo sembra finita e il premier comincia a dar segni di affanno con l'approssimarsi delle elezioni del 2 5 m aggio che rappresentano per il nuovo capo del governo un "voto di fiducia", e non si può dire che l'esordio di Matteo Renzi sulla scena europea sia stato un successo. Leader carismatico ai nostri occhi - per il "popolo delle primarie" e dei talk-show nazionali - il premier italiano che ha m andato via Enrico Letta, Emma Bonino (ed Enzo Moavero) presentandosi a Bruxelles con Federica Mogherini come ministro degli Esteri non ha ipnotizzato le cancellerie europee. A ciò si aggiunge, sulla scena italiana, una sostanziale destabilizzazione determinata dai rapporti non all'unisono con il ministro dell'Economia, Padoan, con il commissario alla spending review , Cottarelli, e con il presidente di Confindustria, Squinzi.

Ma il fatto che i "sorrisini" tra Barroso e Von Rompuy abbiano rinnovato quelli tra la Merkel e Sarkozy pone il problema se l'insuccesso europeo di Renzi riguardi soltanto una nostra casalinga sopravvalutazione del sindaco di Firenze."

(www.ilsussidiario.net)

"Ne deriva che per contrastare la valanga non serve il timor panico, bensì una risposta politica. Peccato che manchino i tempi: i due mesi di qui alla fine di maggio sembrano davvero esigui per realizzare ciò che propone Renzi, ossia un'Europa «diversa» capace di porre al centro della sua strategia «la crescita e la lotta alla disoccupazione».
...
Combatteremo il dilagare del populismo anti-europeo con il "bonus" degli 80 euro in busta paga e gli interventi a favore delle imprese che assumono. Può essere sufficiente? Nessuno può dirlo, ma sarebbe abbastanza miracoloso invertire la tendenza che parte dalla Francia ed è destinata a scandire, nelle prossime otto settimane, la partita secca fra chi crede nell'Europa, pur con i suoi gravi limiti, e chi punta al ritorno agli Stati nazionali, ciascuno con la propria moneta."

(www.ilsole24ore.com)

E' una cosa logica occuparsi di Europa nelle relative elezioni, ma è una novità per l'Italia (forse anche per gli altri paesi) abituata a declinare le elezioni europee in chiave interna. Il Pd ha pensato di attrezzarsi in anticipo con un premier e con un segretario "movimentista" e risoluto per correre verso un "più Europa" con maggior decisione, determinatezza ed empatia.
Ed ora invece la "moda" del momento sta diventando un'altra: l'accusa proprio all'Europa e all'euro.

Insomma, anche l'istrionico Renzi da oggi si trova a nuotare contro corrente. In politica è importante seguire la corrente, andare contro i flussi della storia è assurdo, ma soprattutto impossibile ed autolesionistico. Per questo credo che a partire da questi giorni, la fortuna arriderà a quei partiti che mostreranno di trovarsi dalla "parte giusta" in questo momento storico. Ci sarà sicuramente un effetto trascinamento Le Pen, e saranno i partiti nel solco dei populisti francesi a trarne vantaggio.

Quindi il Movimento 5 Stelle andrà a vele spiegate verso un possibile grande risultato, si avvantaggerà degli stessi argomenti "no euro" anche la Lega di Salvini che si è allineato proprio alle tesi di Le Pen. 

I partiti invece che tentenneranno fra una sponda eurista ed una di critica all'euro verranno puniti, o si troveranno sempre più in difficoltà nella difesa dell'euro. In politica chi sta sulla difensiva ha già perso. Chi poi difende l'austerità, i vincoli europei, e l'euro, apparirà nettamente dalla parte sbagliata. Forse grazie alla Francia, l'Europa così com'è oggi si schianterà molto prima di quanto stimavo.

Le polemiche sull'euro dureranno a lungo, anche oltre le elezioni se poi i partiti populisti, come credo, avranno un grande successo alle elezioni del Parlamento europeo. Sarà un anno difficile, il 2014, per gli europeisti a tutti costi, quelli che volevano morire per Maastricht. Ad inizio anno avevo pronosticato che questo sarebbe stato l'anno della consapevolezza. Probabilmente sarà anche l'anno in cui si porranno le basi per un cambiamento profondo dell'Europa e dell'euro.

Ora all'Europa tecnocratica e finanziaria rimangono solo due mesi per porre rimedio. Ma concordo con Folli del Sole24ore. Due mesi sono troppo pochi. Ormai è tardi, bisognava e si potevano rizzare prima le antenne. Ma evidentemente i sensori delle oligarchie europee ormai non captano più le trasmissioni dei ceti popolari.

martedì 25 marzo 2014

I nemici della svalutazione vogliono svalutare


Lo scossone Le Pen sta producendo ansietà e crisi di panico fra i gli eurofanatici. Come scrive S. Bassi:

"L'exploit della Le Pen alle Amministrative Francesi e dunque lo spauracchio della possibile ondata no-euro alle Europee del 25 Maggioha fatto 'o Miracolo meglio di San Gennaro...
Herr Weidmann, il Falco della Bundesbank, improvvisamente (ed astutamente) ha preso le sembianze di una Colomba....
...
Weidmann apre alla Bce stile Fed
Svolta del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che ha detto di non escludere la possibilità che la Bce possa acquistare prestiti e altri asset dalle banche per combattere la deflazione, adottando così il modello della Federal Reserve.
Weidmann ha quindi aggiunto che i tassi negativi sui depositi possono essere una misura da prendere in considerazione per contrastare l'eccessivo apprezzamento dell'euro.
"Le misure non convenzionali", ha detto Weidmann, "prese in considerazione sono un territorio poco conosciuto. Questo significa che occorre discutere la loro efficacia e gli effetti dei loro costo. Questo non significa che i programmi di quantitative easing siano in generale fuori discussione".
L'ammorbidimento di Weidmann è arrivato due giorni dopo l'affermazione del Front National di Marine Le Pen, che chiede l'uscita di parigi dall'euro, alle elezioni municipali francesi.
E stasera alle cinque parla Mario Draghi a Parigi.Credo che da qui al 25 Maggio ne vedremo delle belle,
con L'Eurocrazia che si giocherà tutte le carte possibili,
inclusi dei miracolosi dati PMI che improvvisamente migliorano al di là delle attese...;-) "

(www.ilgrandebluff.info)

Anche se la manipolazione dei dati statistici e delle relative tabelle non servirà a nulla se non ricomincerà a partire l'occupazione.

Ma ciò che ora cercheranno di fare per rilanciare la competitività di mezza Europa sotto recessione, come hanno suggerito e penso indovinato i professori Pelada e Baldassarri (tgcom) sarà cercare di svalutare l'euro rispetto al dollaro ed alle altre monete core. Il super euro è troppo forte, bisogna svalutarlo ed arrivare perlomeno a 1.2 sul dollaro, o perlomeno alla parità. Ma tornare alla lira è sbagliato dicono, ci sarebbe una svalutazione colossale. 

Salvo poi, verificando vari studi disponibili, constatare che la nuova lira andrebbe proprio più o meno alla pari con il dollaro... però per carità, la lira ci metterebbe ai margini del mondo, non conteremo più nulla nella globalizzazione.

Come cavolo siamo sopravvissuti nei primi 140 anni di unità nazionale con la lira? E qualcosa di veramente misterioso, propongo di chiedere un'inchiesta a Giacobbo per Voyager...

2.000 miliardi, 20 regioni, 20 anni



- 2.000 miliradi circa è il debito pubblico dell'Italia.
- L'Italia è divisa in 20 regioni, alcune delle quali ambiscono all'indipendenza.
- 20 anni è il tempo previsto per portare il rapporto debito/Pil dal 130 al 60%, secondo quanto previsto dal fiscal compact.

"Ora i venetisti di Plebiscito.eu ritentano con il web e un clic di mouse: oltre 2 milioni di sì - è il dato comunicato nella serata di venerdì 21 marzo - per il Veneto indipendente dall'Italia, restaurando in sostanza la Repubblica dei Dogi strappata 'illegalmente' da Napoleone.
...
La proclamazione dell''indipendenza' è arrivata da Treviso, dove i promotori di Plebisicito.eu hanno riepilogato i dati del referendum partito domenica 16 marzo.
I voti conteggiati sono stati 2.360.235, pari al 73,2% degli aventi diritto al voto in veneto; i sì all'indipendenza 2.102.969, pari all'89% dei votanti, i no 257.276 (10,9%). L'organizzazione ha fornito anche il dato dei voti ritenuti 'non validi', 6.615 (0,29%).
...
È stata una consultazione virtuale in tutti in sensi: perché fatta soprattutto attraverso la Rete, oltre che con schede raccolte nei gazebo, e 'voti' telefonici, e perché, Costituzione alla mano, non ha alcun valore formale, men che meno istituzionale.
L'articolo 5 della Carta sancisce, infatti, che la Repubblica italiana «è una e indivisibile». Una proposta di referendum per il Veneto indipendente esiste in realtà anche in Consiglio regionale, ferma in prima commissione, dopo che già un comitato di giuristi aveva spiegato che la 'via legale' alla separazione dall'Italia non esiste. "

(www.lettera43.it)

Non è un parallelo con le vicende della Crimea come qualche giornalista si è avventato a dire e scrivere. Quanto semmai un parallelo con quanto sta avvenendo in Scozia (Regno Unito) e Catalogna (Spagna). Altre due regioni che reclamano indipendenza. Penso che in queste vicende centrino molto sia l'Europa dell'euro, che l'austerità, che stanno producendo recessione generalizzata. E quindi producono una forza centrifuga di "fuga dal continente". Probabilmente è quello che paventa anche Grillo in uno dei più enigmatici dei suoi post.

Ma a questo punto l'Italia, il suo Parlamento, il suo governo, ci pensi bene. A conseguenze e vantaggi. Quanto dobbiamo rifondere di debito ogni anno per rispettare il fiscal compact? un ventesimo della differenza tra il 130 e 60% (occhio e croce circa 1.100 miliardi in 20 anni). Quante sono le regioni italiane? Venti giuste, giuste!

Allora il gioco che suggerisco al governo è molto semplice: per ogni regione che chiede l'indipendenza, l'Italia cede alla nuova unità statale 1/20 del debito. Questo per 20 anni finché al ventesimo anno semplicemente non ci sarà più nessun debito da "spurgare". Non ci sarà neppure più l'Italia... ma tanti staterelli che non aderiscono ad alcun trattato europeo (e se lo faranno peggio per loro).

E quindi ci perdiamo l'Italia? Macché! Basterà rifare una federazione leggerissima alla Cattaneo, per ridare alla penisola una unità politica meno costosa dell'attuale. E poi saremo di nuovo fuori dall'euro, perché è stato lo stesso Barroso a dire che per i secessionisti non è automatica l'adesione all'euro. Evviva. Certo lo svantaggio sarà dover cambiare moneta ogni 300 Km di penisola... ma non esiste un piano perfetto.

Un sistema contorto per uscire dall'euro, ma per evadere da una galera bisogna studiarsele proprio tutte.

lunedì 24 marzo 2014

Francois! l'optimisme est le parfum de la vie


La Storia presenta il conto, era inevitabile. Comincia dalla Francia, guidata da un presidente scialbo che al momento dell'elezione aveva suscitato molte speranze (anche in me), ma ha deluso enormemente allineandosi ai dettami della Germania:

"Un duro colpo al partito socialista del presidente François Hollande e una forte avanzata dell’estrema destra del Front National di Marine Le Pen, accompagnati da una forte astensione. Sono questi i risultati del primo turno delle elezioni municipali in Francia dove per la prima volta il Front National potrà partecipare al secondo turno in 229 città. “In tutte le città che governeremo – ha detto alla radio Rmc la leader del Fronte – faremo abbassare le tasse. E’ un provvedimento urgente, i francesi non ne possono più”. "
(www.ilfattoquotidiano.it)

Una campagna elettorale amministrativa, con temi tipicamente locali, ma è assolutamente evidente che dietro il successo dei populisti estremi di Le Pen c'è l'Europa, l'euro ed il funzionamento di entrambi. Se le cose non stessero crollando in tutto il continente Francia compresa, pochi francesi si sognerebbero di votare per un partito neofascista.

Ma la situazione è ormai grave in tutta Europa, e dire come fanno alcuni giornalisti di regime, che il caso Le Pen è una questione interna francese, è un atteggiamento di miopia politica ed economica, se non di malafede.
In Spagna c'è appena stata una mega manifestazione anti austerità, che mi pare non sia stata presa in considerazione nelle sue giuste proporzioni nemmeno nei telegiornali "progressisti", ormai allineati anch'essi nella difesa estrema dell'indifendibile politica europea dell'euro. Si mette la sordina a qualsiasi notizia che metta in dubbio la costruzione del catafalco dell'euro e dell'Europa.

La Storia presenta il conto, e giustamente chi ha visto lontano rivendica i propri meriti:

"Adesso avete capito?

No, almeno a giudicare dai ragli che il vecchio malvissuto ha emesso oggi sul Fatto Quotidiano: quella storia secondo cui Paul Krugman starebbe all'economia come Di Bella al cancro.

Allora, visto che la risposta a questo esito che avevo previsto sul Manifesto e sul sito della sinistra perbene e decotta, visto che la vostra risposta, cari Soloni criminali dell'informazione italiana, continua ad essere il dileggio e la disinformazione, aspettatevi qualcosa di simile anche qui.

Vedete, cari Zucconi, Colombi, Gallini (non dimenticatelo mai), e altro pollame assortito, il vostro atteggiamento, oltre a qualificarvi come patetici ignoranti dei più elementari principi di economia (ormai assorbiti da quella parte dell'elettorato che ha fatto il minimo sforzo di informarsi); oltre a qualificarvi come dei totali ignoranti della storia economica recente del nostro paese
...
Insomma, chi pone l'identità euro=Europa nega la possibilità di concepire l'abolizione dell'euro, cioè il rimediare a un errore, senza la negazione dell'Europa, e quindi rende inevitabile che la necessaria correzione di rotta in politica economica, che passa per l'eliminazione dell'euro, si trasformi in una svolta nazionalistica, nella negazione dell'Europa.
...
è politicamente suicida che vi ostiniate a non capire il messaggio che il Nobel laburista Meade consegnò alla letteratura economica nel 1957, e che io ho divulgato ad alcune decine di migliaia di italiani nel 2012: in un'Europa che voglia privilegiare realmente il lavoro, l'unico percorso di integrazione economica sostenibile è quello che prevede una flessibilità del cambio nominale fra paesi strutturalmente (e legittimamente) diversi.

Ma voi questo messaggio lo negate, perché, come ha ben detto l'onorevole Fassina in un'altra occasione, per voi ammettere quello che per un laburista inglese degli anni '60 era scontato, e che in teoria dovrebbe esserlo anche per la Costituzione italiana, ovvero che il lavoro sia un diritto, sarebbe una colossale sconfitta politica. E questo perché? Perché voi avete ciecamente rivendicato come vittoria politica l'adozione di un sistema dove la rigidità del cambio nominale si scarica sui salari, rendendo ineluttabile il recupero di competitività via "svalutazione interna", cioè via austerità, cioè via disoccupazione."

(goofynomics.blogspot.it - A. Bagnai)

"Ti sta bene caro Hollande, come sta bene a tutte le socialdemocrazie del continente che hanno tradito la loro funzione storica e il loro elettorato piegandosi supinamente ai diktat neoliberisti e rinunciando a mettere in crisi quei meccanismi monetari e istituzionali che ne consentono l’applicazione. Ben gli sta anche a quella parte della sinistra cosiddetta radicale che perseguendo una sorta di internazionalismo fuori luogo ( ma spesso funzionale alla sopravvivenza delle piccole elite di comando ) hanno regalato alla destra tutti o quasi i temi forti dell’anti liberismo primo fra tutti la questione dell’euro come strumento di divisione e di guerra continentale oltre che di distruzione dello stato sociale.
...
occorre scegliere tra l’idea d’Europa e la moneta unica perché la prima dentro l’attuale contesto è incompatibile con la seconda. Per salvare l’idea di una unione continentale libera e paritaria occorre liberarsi in maniera consensuale dell’euro, se non altro come divisa corrente, potendo rimanere come punto di riferimento verso l’esterno. Naturalmente i ricchi e coloro che hanno grandi disponibilità liquide, le banche, i potentati finanziari ci perderebbero e quindi si oppongono con tutti i mezzi: le pallide socialdemocrazie, ormai persuase nella loro conversione al mercato totale, che per vincere non bisogna essere troppo a sinistra, non sono state in grado di resistere a queste sirene e ai relativi pourboire. Nella migliore delle ipotesi avevano vagheggiato e tuttora vagheggiano un compromesso: si all’euro, ma fine della politica dell’austerità, come se le due cose fossero indipendenti e prefigurando un futuro di “più Europa” dimenticando o non comprendendo che è proprio la moneta unica a enfatizzare le divisioni già grandi fra le economie del continente, ad essere strutturalmente la ragione di fratture insanabili.
...
perché votare socialista quando alla fine Hollande non fa nulla di realmente diverso da Sarkozy e perché accettare la farsa del partenariato fasullo con Berlino che in realtà è una subalternità?. O molto più semplicemente perché andare a votare? Ed ecco il risultato delle amministrative che sono solo un piccolo assaggio di quanto avverrà alle europee."

(ilsimplicissimus2.wordpress.com - A.C. Minutolo)

Che dire di più. Dovrei citare, lincare, e riportare intere pagine di questo blog fino alla noia. Riassumendo non si può far altro che dire che la storia presenta il suo conto a questi governanti europei che si sono infilati in un cul de sac chiamato euro, anzi il sacco se lo sono messi in testa e guidano il torpedone senza vedere la strada. Ci porteranno a sbattere contro il primo muro. Il prossimo cigno nero dell'economia che atterrerà sulla carreggiata ci farà uscire di strada. L'Europa in questo quadro economico, malgrado quanto ne pensino i tedeschi, è più fragile che mai.

Temo che comunque dalle elezioni europee non ci sarà una svolta. Alcuni burocrati di partito (soprattutto a sinistra) si spaventeranno ma difficilmente ci sarà un'inversione. Si dirà: pazienza... abbiamo perso il Parlamento europeo, ma tanto non conta nulla. Ed è vero che non conta niente. Le élite al governo diranno: il popolo non ci ha capito, ma appena avremmo completato le "riforme strutturali" (non a caso fra virgolette), tornerà la crescita e torneranno i voti. E rimanderanno al futuro la resa dei conti. Ma non sarà così naturalmente. Le cose continueranno a peggiorare, fin quando ci sarà il crollo finale.

"Su una cosa credo possiamo tutti convenire, intendo fra noi litiganti proEuro, noEuro, agnostici o semplici osservatori. Eventualmente, non sarà la “classe dirigente” (psssst, la Zanicchi e De Mita sono stati eletti a Bruxelles con le prefernze… dunque niente scuse neh!) ne un fantomatico e inesistente “moto” di protesta italiano (la prostata non giova alla piazza) a fare un serio tentativo di cambiare la politica europea. Oppure al limite a tentare la spallata per disgregare l’eurozona.

Sono d’accordo, mi sa che dovremmo aspettare un popolo più serio e con senso dello Stato di noi, i Francesi sono ottimi candidati.

Grazie al buon lavoro fatto da Hollande, il peggior presidente della storia dell’umanità (roba che Monti al confronto è uno statista del calibro di Einaudi), la Francia sta precipitando nello stesso incubo italiano tanto che sulla stampa elevetico-italiana ogni tanto trapela la notizia che nei cantoni francofoni stanno arrivando fior di industrie, benestanti, e cervelli formati nella ottima Francia.

Peraltro i dati grezzi raccontano di una traiettoria dell’economia transalpina persino peggiore di quella italiana e questo effettivamente è un risultato notevole, non era facile riuscire in un cimento simile, Bravò Hollande.

 





Dunque è questione di tempo ma temo che ci vorranno ancora anni. L’idiota al potere scade nel 2018 e nonostante alle prossime europee Marine Le Pen è destinana a fare cappotto non pare ci siano spiragli per inversioni a U dalle parti di Parigi."

(www.rischiocalcolato.it)

Appunto. Condivido.

Vendiamo l'argenteria per il fiscal compact?


Ora ho capito. Vogliono (sperano) di pagare la prima rata del fiscal compact (50 miliardi) con le privatizzazioni.

"Sulle privatizzazioni il governo intende "accelerare" il pacchetto ideato dal governo Letta e sta preparando un nuovo piano. Lo ha confermato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, nel suo intervento al Forum Confcommercio di Cernobbio. Quella del lavoro, ha aggiunto Padoan, "è una riforma complessa che, consentitemi il bisticcio, permette di semplificare".

"Il governo - ha specificato Padoan - guarda con favore a concrete ipotesi di dismissioni di partecipazioni che potranno essere realizzate da società controllate come Ferrovie dello Stato e Cassa Depositi con riferimento all'apertura al capitale privato di Fincantieri"."

(www.tgcom24.mediaset.it)

Scriveva La Repubblica alcuni giorni fa, un articolo che metteva in dubbio la validità di una tale operazione:

"Sotto la guida dell’ormai ex ministro Fabrizio Saccomanni, l’esecutivo caduto il mese scorso era arrivato ad abbozzare un piano di dismissioni di società pubbliche (o semi-pubbliche) che, negli annunci, doveva valere fino a 12 miliardi. A dire la verità invece si muoveva piuttosto, nel migliore dei casi, nella fascia fra gli otto e i dieci miliardi di euro di ricavi. Ma non importa: forte o debole che fosse, un piano c’era.
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Si dovrebbe partire in primavera con il collocamento in Borsa e la cessione del 40% di Fincantieri. La società successiva nella lista delle privatizzazioni poi avrebbe dovuto essere la Sace, la società di assicurazione all’export, ... Il primo problema, per la verità poco discusso, è il fatto che in realtà Sace è già stata venduta dal Tesoro. Dal 2012 il nuovo azionista è la Cassa Depositi e Prestiti
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Si lavora all’idea della quotazione di Poste, con conseguente cessione di un 40% per un incasso stimato (forse con ottimismo) fra i 4 e i 4,8 miliardi, al quale segue il progetto di vendere altre quote nel 2015. Ancora più concretamente, si continua a preparare la vendita del 49% di Enav, l’ente del controllo aereo che il Tesoro di Saccomanni sperava garantisse proventi per circa un miliardo. Concreto poi è anche il progetto di vendere una quota sotto il 50% di Cdp Reti, la scatola societaria dentro la quale la Cassa Depositi e Prestiti ha raccolto Snam e il gestore Terna. Anche in questo caso il Tesoro beneficerebbe dunque di una doppia entrata dalla cessione dello stesso bene, perché ha già “privatizzato” le società di rete elettrica e del gas cedendole a Cdp.
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Tempi più lunghi invece per l’Eni. Il progetto prevede che il gruppo dell’energia riacquisti azioni proprie in misura sufficiente a far salire la quota del Tesoro dal 30% al 33%, perché poi lo Stato possa vendere un altro 3% senza in teoria perdere il controllo in assemblea. Ma un’operazione così complessa non sembra fattibile entro fine anno.
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interrogativo irrisolto del piano di privatizzazioni ereditato dal Tesoro è però anche più radicale, perché riguarda la sua utilità. Perché vendere una tantum e in modo più o meno solido beni per 8 o 10 miliardi - meno dell’1% del Pil - quando i vincoli europei chiedono riduzioni del debito di dimensioni almeno triple su ciascuno dei prossimi vent’anni? Telos A&S, uno studio indipendente di relazioni istituzionali e consulenza, su questi aspetti raccoglie da mesi lo sconcerto di diversi grandi investitori esteri. Fra loro, riferisce Marco Sonsini di Telos A&S, è diffuso uno “scetticismo di fondo sulla reale efficacia del piano dismissioni” e sulla sua “razionalità economica” per la riduzione del rapporto fra debito e Pil. L’esperienza dimostra che il debito potrà scendere solo se l’Italia sarà in grado di intervenire sugli ingranaggi del sistema che ne frenano la crescita. «La più grande preoccupazione degli investitori – spiega Sonsini – è che il debito divenga insostenibile non per la sua dimensione in termini assoluti ma per la stagnazione dell’economia». Fare un po’ di cassa in modo più o meno convincente può far guadagnare qualche tempo. Ma se Renzi non lo userà per mettere il Paese su tutt’altro sentiero di crescita, i grandi investitori globali non sono pronti a dargli più credito che ai suoi predecessori. Il piano di riacquisto delle azioni Eni da parte del Tesoro è stato rinviato ad un momento più conveniente"

(www.repubblica.it)

Vendersi l'argenteria di Stato non serve a nulla. E' il preludio ad una nuova caduta dei conti pubblici. Parte delle entrate di queste aziende (quelle che ce l'hanno come l'Eni) finirà all'estero, compresa la fiscalità.
Inoltre nei telegiornali si sente parlare di privatizzazioni per 40 miliardi, come a voler confermare che con questa operazione non ci saranno problemi di fiscal compact, e si potrebbe anche arrivare a coprire i 50 miliardi per intero.
In realtà si realizzerà molto meno e tale cifra più probabilmente servirà in parte alle coperture dei piani ambiziosi di Renzi. Difficilmente produrrà qualche vantaggio per la discesa del debito pubblico.

Si tratta evidentemente dell'ennesima allucinazione governativa sulle privatizzazioni come toccasana delle finanze pubbliche. Le privatizzazioni non servono a questo. Servono a regale a qualche imprenditore con tessera (n. 1 e oltre) pezzi di monopoli statali. Oggi che gli imprenditori nazionali tendenzialmente senza soldi sono "spompi" ci si metterà d'accordo con quelli stranieri per spartirsi qualche buona intermediazione. Forse questa volta di nuovo attraverso Mediobanca visto che Mps è alla canna del gas? In ogni caso è proprio vero che Renzi segue ostinatamente le orme sbagliate degli altri come ben spiegato da Seminerio ("Provaci ancora Pierluigi Enrico Renzi").

sabato 22 marzo 2014

Babbo Natale "fiscal compact" ci fotte la tredicesima


" i dati Ocse dunque spiegano che la retribuzione netta media di un single italiano senza figli a carico nel 2011 era pari a 25mila e 160 dollari (19mila e 34 euro)"
(www.ilfattoquotidiano.it - dati 2012)

Questo significa che l'italiano medio prende uno stipendio, compresa tredicesima e quattordicesima chi ce l'ha, fra 1300 e 1400 euro netti.

Non un gran che, ma c'è sempre in Europa qualcuno che sostiene che gli italiani sono troppo ricchi. Che se le loro banche hanno dei problemi, gli italiani con la loro ricchezza possono risolvere queste insolvenze (agendo sui loro risparmi chiaramente). E se l'Italia ha un debito pubblico fuori controllo, lo si può tagliare sempre agendo sulla nostra ricchezza.

In Europa del nord la vedono così, e se non ci svegliamo dal letargo (prima montiano, poi lettiano ed ora confusamente renziano) ci faranno la festa. Ci cacceranno una volta per tutte in una recessione ventennale (o più lunga) senza alcuna via d'uscita. O forse con un'unica via d'uscita: le barricate in piazza.

"... mentre i politicanti italiani fingono che le priorità siano altre, a Bruxelles c'è chi lavora alacremente per dare al Fiscal Compact una forma attuativa precisa quanto atroce. Anche in questo caso, come in quello dell'italica Spending Review, sono all'opera gli "esperti": undici tecnocrati di provata fede liberista, guidati dall'ex governatrice della banca centrale austriaca, la signora Gertrude Trumpel-Gugerell. Entro marzo, costoro dovranno presentare al presidente della Commissione UE, Barroso, le proprie proposte operative.
...
Sul lavoro di questi undici taglieggiatori erano già uscite delle indiscrezioni. Ma ora che la scadenza si avvicina i rumors si fanno più precisi. Ed anche la stampa italiana, dopo le balle a iosa sui "successi" di Renzi a Berlino, comincia a scrivere qualcosa. Ha iniziato ieri l'altro Il Foglio, con il titolo «Dare soldi, vedere cammello. L'Ue fruga nelle nostre tasche». Ha proseguito ieri il Corriere della Sera che, quasi a voler bilanciare il trionfalismo filo-governativo, ha titolato: «I nuovi vincoli e quelle illusioni sul "fiscal compact"».
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Partiamo dal nuovo Fondo che si vorrebbe istituire, Debt Redemption Fund (DRF) secondo i più, European Redemption Fund (ERF) secondo altri, ma il nome non cambia la sostanza. In questo Fondo verrebbero fatti confluire i debiti di ogni Stato che eccedono il 60% in rapporto al pil. Per l'Italia, ad oggi circa 1.100 miliardi di euro.
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Una vera pacchia, se non fosse per la clausola che dovrebbe garantire - in automatico - l'azzeramento del debito assorbito dal Fondo in un periodo di vent'anni.

Come funzionerebbe questa clausola? Secondo i due giornali citati, con un prelievo diretto da parte del Fondo su una quota delle entrate fiscali di ciascun stato debitore. Così, giusto per non rischiare. Leggere per credere.

Scrive ad esempio Antonio Pilati su Il Foglio: «In realtà l’idea degli esperti è a doppio taglio e la seconda lama fa molto male all’Italia: è infatti previsto che dal gettito fiscale degli stati partecipanti si attui ogni anno un prelievo automatico pari a 1/20 del debito apportato al Fondo. Nel progetto, le risorse raccolte dal fisco nazionale passano in via diretta, tagliando fuori le autorità degli stati debitori, alle casse del Fondo. Si tratta di un passaggio cruciale e drammatico tanto nella sostanza quanto – e ancora di più – nella forma».

E così pure Riccardo Puglisi sul Corriere della Sera: «L'aspetto gravoso per l'Italia è che la commissione sta anche pensando ad un prelievo automatico annuo dalle entrate fiscali di ciascuno stato per un importo pari ad un ventesimo del debito pubblico trasferito al fondo stesso. Il rientro verso il 60 percento avverrebbe in modo meccanico, forse con un eccesso di cessione di sovranità».
...
la direzione di marcia è chiara. La linea dell'austerity non solo non è cambiata, ma ci si appresta ad un suo drammatico rilancio, del resto in perfetta coerenza con i contenuti del Fiscal Compact, noti ormai da due anni.

Per l'Italia si tratterebbe di un prelievo forzoso - in automatico, appunto - di 55 miliardi di euro all'anno per vent'anni. Cioè, per parafrase lo spaccone di Palazzo Chigi, di mille euro a persona (compresi vecchi e bambini) all'anno, per vent'anni. Per una famiglia media di tre persone, 60mila euro di tasse da versare all'Europa.

Naturalmente si può dubitare che si possa arrivare a tanto. Ma sta di fatto che questa è l'ipotesi sulla quale l'Unione Europea - quella vera, non quella immaginata a forza di Spinelli - sta lavorando. "

(www.comedonchisciotte.org)

Quindi considerando che la quota di 1.000 euro riguarda anche chi non lavora, si fa prima a dire che in pratica l'idea è di espropriare la tredicesima degli italiani. Magrissimi natali per i bambini nei prossimi venti anni se la proposta avrà successo. Ma forse non durerà venti anni questa situazione, perché ovviamente in un quadro del genere le tredicesime spariranno assieme alle altre dodici mensilità. La gente spenderà ancora meno e, servizi e prodotti saranno ancora meno richiesti. Sono prevedibili chiusure di aziende e nuova disoccupazione. Tanto per cambiare. Ma è quello che sta avvenendo con l'austerità attuale e che accelererà con una proposta come questa del Debt Redemption Fund.

Forse ho capito. Questa è veramente l'Unione Sovietica Europea, ma ora deve forgiare il nuovo cittadino sovietizzato. Non è cosa facile. Ce ne stanno combinando una più di Bertoldo perché vogliono scuoterci dall'apatia di questi ultimi cinquanta anni. Gli europei si stanno afflosciando, hanno una coscienza politica inesistente, il morale sotto le scarpe, una pigrizia delittuosa. Cosa si sono studiati i burocrati dell'U.S.E.? Tutto un sistema di sgarbi e cattiverie, sottrazioni di diritti e soprusi in crescendo per farci scendere nelle strade con i forconi, e replicare finalmente la rivoluzione d'ottobre! Viva il socialismo reale!