lunedì 24 marzo 2014

Vendiamo l'argenteria per il fiscal compact?


Ora ho capito. Vogliono (sperano) di pagare la prima rata del fiscal compact (50 miliardi) con le privatizzazioni.

"Sulle privatizzazioni il governo intende "accelerare" il pacchetto ideato dal governo Letta e sta preparando un nuovo piano. Lo ha confermato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, nel suo intervento al Forum Confcommercio di Cernobbio. Quella del lavoro, ha aggiunto Padoan, "è una riforma complessa che, consentitemi il bisticcio, permette di semplificare".

"Il governo - ha specificato Padoan - guarda con favore a concrete ipotesi di dismissioni di partecipazioni che potranno essere realizzate da società controllate come Ferrovie dello Stato e Cassa Depositi con riferimento all'apertura al capitale privato di Fincantieri"."

(www.tgcom24.mediaset.it)

Scriveva La Repubblica alcuni giorni fa, un articolo che metteva in dubbio la validità di una tale operazione:

"Sotto la guida dell’ormai ex ministro Fabrizio Saccomanni, l’esecutivo caduto il mese scorso era arrivato ad abbozzare un piano di dismissioni di società pubbliche (o semi-pubbliche) che, negli annunci, doveva valere fino a 12 miliardi. A dire la verità invece si muoveva piuttosto, nel migliore dei casi, nella fascia fra gli otto e i dieci miliardi di euro di ricavi. Ma non importa: forte o debole che fosse, un piano c’era.
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Si dovrebbe partire in primavera con il collocamento in Borsa e la cessione del 40% di Fincantieri. La società successiva nella lista delle privatizzazioni poi avrebbe dovuto essere la Sace, la società di assicurazione all’export, ... Il primo problema, per la verità poco discusso, è il fatto che in realtà Sace è già stata venduta dal Tesoro. Dal 2012 il nuovo azionista è la Cassa Depositi e Prestiti
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Si lavora all’idea della quotazione di Poste, con conseguente cessione di un 40% per un incasso stimato (forse con ottimismo) fra i 4 e i 4,8 miliardi, al quale segue il progetto di vendere altre quote nel 2015. Ancora più concretamente, si continua a preparare la vendita del 49% di Enav, l’ente del controllo aereo che il Tesoro di Saccomanni sperava garantisse proventi per circa un miliardo. Concreto poi è anche il progetto di vendere una quota sotto il 50% di Cdp Reti, la scatola societaria dentro la quale la Cassa Depositi e Prestiti ha raccolto Snam e il gestore Terna. Anche in questo caso il Tesoro beneficerebbe dunque di una doppia entrata dalla cessione dello stesso bene, perché ha già “privatizzato” le società di rete elettrica e del gas cedendole a Cdp.
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Tempi più lunghi invece per l’Eni. Il progetto prevede che il gruppo dell’energia riacquisti azioni proprie in misura sufficiente a far salire la quota del Tesoro dal 30% al 33%, perché poi lo Stato possa vendere un altro 3% senza in teoria perdere il controllo in assemblea. Ma un’operazione così complessa non sembra fattibile entro fine anno.
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interrogativo irrisolto del piano di privatizzazioni ereditato dal Tesoro è però anche più radicale, perché riguarda la sua utilità. Perché vendere una tantum e in modo più o meno solido beni per 8 o 10 miliardi - meno dell’1% del Pil - quando i vincoli europei chiedono riduzioni del debito di dimensioni almeno triple su ciascuno dei prossimi vent’anni? Telos A&S, uno studio indipendente di relazioni istituzionali e consulenza, su questi aspetti raccoglie da mesi lo sconcerto di diversi grandi investitori esteri. Fra loro, riferisce Marco Sonsini di Telos A&S, è diffuso uno “scetticismo di fondo sulla reale efficacia del piano dismissioni” e sulla sua “razionalità economica” per la riduzione del rapporto fra debito e Pil. L’esperienza dimostra che il debito potrà scendere solo se l’Italia sarà in grado di intervenire sugli ingranaggi del sistema che ne frenano la crescita. «La più grande preoccupazione degli investitori – spiega Sonsini – è che il debito divenga insostenibile non per la sua dimensione in termini assoluti ma per la stagnazione dell’economia». Fare un po’ di cassa in modo più o meno convincente può far guadagnare qualche tempo. Ma se Renzi non lo userà per mettere il Paese su tutt’altro sentiero di crescita, i grandi investitori globali non sono pronti a dargli più credito che ai suoi predecessori. Il piano di riacquisto delle azioni Eni da parte del Tesoro è stato rinviato ad un momento più conveniente"

(www.repubblica.it)

Vendersi l'argenteria di Stato non serve a nulla. E' il preludio ad una nuova caduta dei conti pubblici. Parte delle entrate di queste aziende (quelle che ce l'hanno come l'Eni) finirà all'estero, compresa la fiscalità.
Inoltre nei telegiornali si sente parlare di privatizzazioni per 40 miliardi, come a voler confermare che con questa operazione non ci saranno problemi di fiscal compact, e si potrebbe anche arrivare a coprire i 50 miliardi per intero.
In realtà si realizzerà molto meno e tale cifra più probabilmente servirà in parte alle coperture dei piani ambiziosi di Renzi. Difficilmente produrrà qualche vantaggio per la discesa del debito pubblico.

Si tratta evidentemente dell'ennesima allucinazione governativa sulle privatizzazioni come toccasana delle finanze pubbliche. Le privatizzazioni non servono a questo. Servono a regale a qualche imprenditore con tessera (n. 1 e oltre) pezzi di monopoli statali. Oggi che gli imprenditori nazionali tendenzialmente senza soldi sono "spompi" ci si metterà d'accordo con quelli stranieri per spartirsi qualche buona intermediazione. Forse questa volta di nuovo attraverso Mediobanca visto che Mps è alla canna del gas? In ogni caso è proprio vero che Renzi segue ostinatamente le orme sbagliate degli altri come ben spiegato da Seminerio ("Provaci ancora Pierluigi Enrico Renzi").

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