domenica 25 novembre 2012

Il Piemonte sprofonda nella depressione



Non solo la città di Alessandria. Non solo Torino il cui sindaco è impegnato in una gimcana per evitare il commissariamento. Tutta la Regione Piemonte è in una situazione sempre più critica, sia a livello amministrativo che produttivo.

“Secondo l'ultima verifica della Corte dei Conti depositata nell'agosto scorso, si legge che «L’esercizio finanziario 2010 si era chiuso con un disavanzo (- 614.892.358,38) che non è stato assorbito nell’esercizio 2011. Quest’ultimo esercizio si è chiuso con un disavanzo (-484.615.722,77) che appare diminuito rispetto a quello dell’esercizio precedente. Dai dati che precedono il risultato negativo del 2011 sembra ascriversi alla sempre più ampia differenza fra residui passivi e residui attivi che indica la mancata corrispondenza fra la diminuzione delle risorse e quella delle spese, mantenute in misura maggiore rispetto ai finanziamenti disponibili». Secondo la Corte dei Conti il debito totale della Regione Piemonte ammonta a 6,44 miliardi di euro. Un dato inferiore alle stime del governo regionale, ma che, udite udite, secondo uno studio recentemente elaborato dal Centro Pio La Torre è identico a quello siciliano (circa 10 miliardi, ndr).”
(www.linkiesta.it )

Sprechi, corruzione, festini? E' probabile che una quota di sciupio, come le trasferte gonfiate dei consiglieri regionali, ci sia stata. Dai rendiconti dell'assemblea regionale si riscontra comunque che non tutti, per fortuna e per decenza, partecipavano a questo furto mascherato da legalità.
La situazione non era così smaccata e volgare come nella Regione Lazio.

Il Piemonte forse muore di welfare. Muore di sanità per Prima cosa, che assorbe più dell'80% del bilancio regionale. Anche qui ci sono stati sprechi? indubbiamente, ma non a livello di altre regioni. La sanità in Piemonte non avrà l'eccellenza della lombarda, ma é comunque un servizio che funziona.

“l'assessore alla Sanità, Paolo Monferino, ha dichiarato in commissione: «Non è possibile che in Piemonte ci siano più reparti di emodinamica che in Scozia», perché non riesce a sperare la muraglia cinese che si erige, ogni volta che cerca di accorpare reparti, ridurre i costi, abolire i piccoli ospedali. «La sanità è diventato un capro espiatorio della crisi della Regione» ha raccontato a Linkiesta il dirigente di un'azienda sanitaria.

«Secondo i miei calcoli la sanità ha un disavanzo di un solo miliardo e allora il problema non è tanto quello della sanità, ma piuttosto il debito complessivo della Regione», anche se ammette che la sanità registra un profondo squilibrio. «Ci sono 20 reparti di emodinamiche costruite per pressioni del mercato sanitario, di cui molte superflue» continua, «ma nel frattempo state ridotte drasticamente le cure domiciliari agli anziani non autosufficienti. E infatti ora c'è una lista di attesa 30 mila persone. È questo crea un rilevante congestione negli ospedali e pronto soccorso, dove gli anziani vanno a chiedere assistenza e cura».”

(www.linkiesta.it )

Chi ha avuto la sfortuna di dover transitare per ospedali o altre strutture sanitarie piemontesi, ha a volte riscontrato piccoli disservizi. Ma nel complesso non si può dire che il servizio sanitario sia scadente. Anzi molto spesso ho riscontrato nella mia modesta esperienza, un'ottima conduzione. La sensazione è di avere a disposizione medici ed infermieri preparati e disponibili sia nelle strutture pubbliche che nelle private. Locali con una manutenzione discreta, attrezzature non nuovissime ma all'altezza di un paese civile.

Anche negli altri campi in cui la Regione ha competenza, come quello dei trasporti, si potrebbe fare di più. E' evidente. Ma non si possono non valutare positivamente tutti gli sforzi che le varie amministrazioni hanno fatto per cercare di servire tutti i territori.

Anche nei trasporti, si rischia il crack, ma almeno in questo campo il Piemonte non è solo. Lo Stato centrale blocca i trasferimenti già promessi per i trasporti locali. Ora sembra ne sbloccherà una quota, che consentirà ai treni di viaggiare per qualche mese.

Ma intanto lo Stato provoca con i suoi interventi continue crisi locali: sono state abolite le Comunità Montane, ma ora non si sa che fare dei loro dipendenti. Dovrebbero essere a carico della Regione, ma pare che questa non sia in grado di pagare gli stipendi. Il governo taglia, ma scarica tutto sugli enti locali.

Che succede allora? Cos'ha l'amministrazione piemontese che non va? dice linkiesta:

“...dubbi sulla gestione di una Regione, che ha compiuto un miracolo tripartisan. Accumulando debiti durante la gestione del PDl con Enzo Ghigo, raddoppiati durante il governo di Mercedes Bresso. E ulteriormente aumentati con l'arrivo della giunta leghista, …Nel frattempo secondo i dati di Bankitalia il Piemonte ha un tasso di disoccupazione preoccupante: 9,1% nei primi sei mesi dell’anno a fronte del 7,5% dell’analogo periodo 2011 e al 4,7% nel primo semestre 2008. Sono in calo sia in contratti a tempo indeterminato (-7,1%) sia quelli a termine (-1,7%). Unica eccezione il lavoro intermittente o a chiamata (+38,9%) che rappresenta l’8,4% delle assunzioni di lavoratori dipendenti (era pari al 3,1% nella prima metà del 2009. Con una previsione di calo produttivo per le imprese per il 2013 del 25% .”
(www.linkiesta.it )

Succede che il welfare costa caro, e malgrado tagli a destra e sinistra, in Piemonte, non ce lo possiamo più permettere. E non possiamo probabilmente, per una ragione geografica: i piemontesi pensano di essere ancora al nord italia, ma sono invece cittadini di una regione depressa del sud Europa. Da grande regione industriale, oggi è una regione sempre meno manifatturiera. C'è sempre meno lavoro, soprattutto del tipo tradizionalmente piemontese, quello in fabbrica. Il Pil regionale è crollato da tempo.

L'industrializzazione piemontese ha una storia che inizia dalle parti di Cavour. Non più politicamente centrale, il Piemonte divenuto italiano si tuffa nella modernità. Meccanica, auto, ferrovie. Dal Piemonte inizia l'elettrificazione d'Italia, arrivano i primi telefoni. Nel distretto d'Ivrea inizierà l'informatizzazione dell'Italia. La radio trasmissione intesa come attività di informazione e divulgazione, nasce a Torino. 

Le vallate alpine sono ormai ricche di archeologia industriale. Luoghi dove negli anni 70' si incontrava una fabbrica ogni 5 Km sono diventati deserti produttivi, nemmeno riciclabili per il turismo.

La pianura era disseminata di grandi apparati produttivi. Città industriali all'interno delle città. Luoghi infernali da vivere ma che davano lavoro a migliaia di piemontesi ed immigrati.
Dei grandi apparati produttivi in Torino resiste solo la Fiat di Mirafiori, a un regime di funzionamento minimo. Un solo cancello su dieci vede ancora transitare operai e automobili.
Tutti gli altri stabilimenti in Torino o sono scomparsi o scompariranno nelle varianti urbanistiche. L'industria nel capoluogo è decimata, nelle altre province vivacchia. Si salva solo la Nutella.

Tutto il mondo produttivo del nord-ovest comincia ad arrestarsi a metà anni 80'. Iniziano le grandi crisi dell'auto che cominciano a falcidiare le piccole fabbriche dell'indotto.
La Fiat è stata per il Piemonte un'opportunità, e nello stesso tempo una maledizione. Con il tempo tutto o quasi l'apparato produttivo piemontese ha cominciato a gravitare attorno alla casa automobilistica, e quindi a diventare Fiat dipendente. Gran parte della voglia di intraprendere dei piemontesi è stata assorbita dall'indotto Fiat.

Molto spesso anche in modo malato. Quante "boite" (le fabbrichette piemontesi) sono state aperte da parenti ed amici di dirigenti Fiat, che pertanto avevano commesse garantite, in spregio a qualsiasi conflitto d'interesse? Il lavoro era garantito ma molto spesso a scapito della qualità.
Oggi che la Fiat è più americana che piemontese, l'indotto delle fabbrichette, le varie "boite" zoppicanti, o vivacchiano o sono state chiuse. Alcune sono riuscite a svincolarsi dalle commesse Fiat. Molte lavorano per esempio per la Wolkswagen.

La nuova gestione Marchionne ha fatto piazza pulita dei conflitti di interesse dei vecchi dirigenti. Ma i buoni propositi hanno incrementato la desertificazione produttiva. Marchionne in realtà sta facendo piazza pulita della Fiat torinese.
Sono rimaste in piedi per un po' le fabbriche che costruiscono impianti produttivi per altre industrie. Altra eccellenza piemontese, che purtroppo sta subendo un tracollo, vittima della concorrenza dei paesi emergenti.

Anche il terziario sta lasciando o ha lasciato il Piemonte. Il grande centro finanziario propulsore del Piemonte, la storica e potente Banca S. Paolo è ora milanese e si chiama Intesa.
La Telecom aveva sede a Torino, ha traslocato da tempo. Le strutture torinesi dell'Eni se ne andranno nei prossimi anni. Rimane solo più l'eccellenza dell'industria aero-spaziale, che comunque è un'industria di nicchia. Non rimane che sopravvivere con cioccolatini gianduiotti e turismo invernal-museale.

Oggi la grigia Torino delle ciminiere, è alla ricerca di una vocazione turistica. Invece delle auto, vende cultura, o almeno cerca di farlo. Naturalmente gli introiti non potranno mai più essere gli stessi. Il museo egizio non è come gli Uffizi.

Il Piemonte è stato una fucina di idee di successo, ma i piemontesi non sono stati in grado di trattenere e gestire le proprie capacità innovative. Non hanno saputo dare il giusto valore alle loro idee, come invece hanno sempre saputo fare i lombardi. Ora la situazione è una "tabula rasa", non rimane più quasi nulla. I piemontesi dovranno di nuovo reinventarsi se vorranno entrare nel nuovo millennio camminando e non strisciando.

La situazione economica piemontese è sempre più drammatica. La sua tradizione imprenditoriale, un tempo forte nel campo della meccanica, sembra si stia estinguendo. Fare concorrenza alla Cina è impossibile. Si deve prendere atto che quando le cose andavano bene, era perché la Cina eravamo noi.

Tutto si intreccia, attività privata e pubblica. Non ho stime, ma ritengo che la base fiscale regionale del Piemonte si restringa sempre più. A danno quindi anche dell'amministrazione, che può fare affidamento sull'Irap, sull'addizionale Irpef (in Piemonte già molto alta) e a una compartecipazione sull'Iva. Tutte imposte strettamente legate alla salute dell'economia territoriale.

Se dovesse fallire la Regione, si avrebbe un ulteriore aggravio di una situazione già tesa. E probabilmente si avvierebbe un domino che provocherebbe l'ulteriore caduta di quel poco che è rimasto in piedi.
I piemontesi potrebbero reagire molto male alle prossime elezioni. Forse per questo la pericolante giunta Cota rimane in sella:

“Cota ha perso per strada 5 consiglieri del gruppo Progett'azione, già fuoriusciti dal Pdl,
...
È così il governo regionale è andato sotto. Ed è stato salvato dai voti del Pd, che ha tenuto in vita la giunta Cota, salvo poi chiedere una verifica per capire se ci sia ancora una maggioranza in grado di governare, così giusto per ricordare che il Pd è pur sempre un partito di opposizione. Ora il futuro politico della giunta, già logorata dai conflitti interni alla Lega e con il Pdl, è appesa a un filo. Il castello di sabbia può essere cancellato da un'onda anomala in ogni momento. Ora che si deve mettere mano ai conti, cercare di ridurre il debito di 10 miliardi di euro, ogni provvedimento finirà in un vicolo cieco perché, per avere la maggioranza, il consiglio regionale dipenderà da un voto solo, quello di Michele Giovine, il consigliere eletto con la lista dei Pensionati per Cota, condannato in secondo grado per firme false alla presentazione delle liste elettorali nel 2010. Oppure dai consiglieri di Progett'azione, usciti dalla maggioranza, che voteranno sui singoli provvedimenti. O dalla "magnanimità" del Pd, che dichiara di voler essere responsabile, ma in realtà teme, come il governatore Cota, una crisi di maggioranza che li riporterebbe alle elezioni, dritti in pasto alla rabbia dei cittadini contro la classe dirigente, che ha demolito la stabilità economica di una Regione, ormai considerata la prima del Sud al Nord.” 

(www.linkiesta.it )

M. Bresso, il candidato governatore di centro sinistra contro Cota, ricorda amaramente di aver perso le elezioni a causa di Grillo. E all'epoca l'M5s aveva percentuali ad una cifra. Evidentemente ora la paura di una grande affermazione dell'antipolitica è ancora più forte. I partiti tentano l'estrema sopravvivenza, anche a costo di sostenersi a vicenda tra avversari.

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