giovedì 1 gennaio 2015

Post ottimista sul 2015



Visto che abbondano post, commenti, articoli, editoriali sulle future e abbastanza prevedibili sciagure economiche del 2015, voglio andare in contro tendenza e provare a vedere il futuro anno con lenti rosa. Inpresa ardua, ma non del impossibile come già scrivevo nel post "Il meraviglioso mondo del default greco":

"Mi dispiace per gli amici greci, ma per noi italiani la tragedia greca è  un grande affare. L'euro si svaluta contro il dollaro, le borse corrono, il petrolio scende, lo spread si annulla, i tassi d'interessi del nostro debito precipitano.
...
Forse avremo finalmente la parità euro/dollaro che per noi italiani può significare un ulteriore aumento dell'export e finalmente un po' di crescita. Magari insufficiente come quella prospettata da Confindustria, ma meglio che niente.

Inoltre con il petrolio basso ci costerà meno trasportare e produrre le nostre manifatture. Potrebbe veramente verificarsi quanto pubblicato dal centro studi confindustriale:

"Il Pil italiano calerà dello 0,5% a fine anno, per poi crescere dello 0,5% nel 2015 e dell’1,1% nel 2016. È quanto emerge dal nuovo rapporto del Centro studi di Confindustria (Csc), secondo cui anche il rapporto deficit/Pil migliorerà."


Anche l'Istat sembra credere in questa nuova congiuntura nazionale e globale che pare avvantaggiarci.

"Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana

Lo scenario macroeconomico permane frammentato. Tra le economie avanzate, gli Stati Uniti mostrano vigorosi segnali di crescita mentre nell'area euro gli indicatori anticipatori evidenziano i primi segnali di miglioramento.

L'assestamento del prezzo del petrolio ai bassi livelli attuali è previsto influire moderatamente, in senso positivo, sulla crescita economica dei principali paesi europei.

La fase di contrazione dell'economia italiana è attesa arrestarsi nei prossimi mesi, in presenza di segnali positivi per la domanda interna.

Le condizioni del mercato del lavoro rimangono tuttavia difficili con livelli di occupazione stagnanti e tasso di disoccupazione in crescita"

(www.istat.it)

Ora bisognerà fare un po' la tara a queste affermazioni, ma tutto sommato le condivido. Per ora rimango scettico sulla mirabolante ripresa in corso in Usa. Ho il timore che si tratti di dati artefatti al solo scopo di permettere alla Fed di abbandonare le politiche di Quantitative easing che rischiano di schiantare il dollaro. Infatti da quando è stato messo un freno alla stampa di dollari, questo si è rivalutato rispetto all'euro, procedendo verso un cambio di 1,20 €/$ da 1,40 di un anno fa.

Il fatto che si tratti di dati di crescita artefatti, è evidente nella sconfitta delle elezioni di medio termine di Obama, a cui probabilmente è stata imputata la crisi economica. Al fatto che gli acquisti pre natalizi sono andati peggio del previsto. Al fatto che permangono problemi di debito privato di vario genere che erodono le capacità di spesa della classe media (prestiti per studenti, mutui immobiliari ecc.)

E' probabilmente vero che in Europa ci sono segnali di ripresa. Credo non tanto dipendenti dai consumi negli Usa, che rimangono deboli, ma proprio per la svalutazione dell'euro, che rende più competitive le economie europee. L'Italia con il suo manifatturiero dovrebbe avvantaggiarsene.

In più il basso costo energetico migliora i conti delle aziende europee che dipendono dalle forniture di idrocarburi dall'estere. Praticamente quasi tutte le nazioni europee sono dipendenti dal petrolio e dal gas d'importazione, ad eccezione forse di Francia che utilizza ampiamente il nucleare, dell'Inghileterra e della Norvegia che hanno riserve petrolifere (in diminuzione) nel Mare del Nord.

Quindi è possibbile essere moderatamente ottimisti anche per l'Italia. Sicuramente non farà piacere al governo Renzi, leggere nella nota Istat che non si prevede ripresa dell'occupazione, ma anzi ulteriore disoccupazione. Soprattutto dopo l'approvazione del Job Act e della conseguente propaganda renziana, secondo cui ora gli imprenditori non hanno più alibi, ora debbono assumere.

Non è proprio così come spiega Seminerio:

"E’ vero che, con queste norme, “gli imprenditori non hanno più alibi”, e quindi devono assumere? No, non è vero, allo stesso modo in cui credere che queste norme faranno aumentare l’occupazione in presenza di una congiuntura mortifera come l’attuale vuol dire fare propaganda o non aver capito nulla. Potranno certamente esservi, ...  arbitraggi di manodopera e di tipologie contrattuali, nel tentativo di abbattere il costo del lavoro, ma questo non vuol dire che l’occupazione crescerà, ceteris paribus."
(phastidio.net)

Come sempre detto dall'inizio della crisi, quel che conta è la congiuntura economica, e non tanto le regole. Se non c'è stimolo ad investire, e quindi ad assumere, qualsiasi nuova regola porterà ben pochi vantaggi.
Quindi per non guastare un post ottimista, evitiamo di analizzare gli aspetti negativi del Job Act.

Si può dire in conclusione, che se una ripresina ci sarà, servirà soprattutto per migliorare i conti dello Stato in rapporto con le precrizioni dei trattati europei. Sarà un po' più facile rispettare il parametro del limite di deficit che deve scendere sotto il 3% sul Pil. Se dovesse aumentare di poco il Pil, anche con una crescita che rasenta lo zero, si potrà avere un live miglioramento del rapporto debito/Pil. Escludo che un miglioramento dello "zero virgola" potrà rendere più attuabile il fiscal compact. Per rispettare questa ulteriore prescrizione europea è necessaria una crescita ben più robusta, ed anche una certa inflazione. Mentre per il 2015, se i consumi interni non si riprenderanno, continuerà il trend deflattivo. Probabilmente il fiscal compact verrà rimandato ancora, se non si vorrà affossare anche la possibile debole ripresa del 2015.

Tutto questo al netto di eventuali "cigni neri" di qualsiasi tipo: guerre, effetti imprevisti della crisi greca, caduta mondiale delle borse, esplosione debitoria e defalut del settore dello shale oil o di intere nazioni legate al petrolio (Venezuela? Canada?), crisi debitoria e default bancari in Cina, effetti distrosivi dell'Abenomics in Giappone con conseguente recessione ecc.

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