giovedì 14 giugno 2012

Uscire dall'euro con un piano



Uscire dall'euro è una scelta dolorosa in tutti i sensi: economicamente prima di tutto, politicamente secondariamente perchè significherebbe sfasciare il lento processo di unificazione europea. Ma secondo il prof. Savona, già ministro nel gov. Ciampi, autore di "Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi" se la situazione di crisi, di spread Btp-Bund alto, di pericolo insolvenza per Stato e aziende rimane quella attuale, per l'Italia non rimarrebbe altra scelta. Tanto vale redigere un piano d'uscita che cerchi di prevedere i danni maggiori e predisponga dei sistemi per attutire l'impatto.

Ma in realtà ci stanno pensando un po' tutti. La Grecia in primis, ma persino i primi della classe, i tedeschi stanno pensando ad alternative come la creazione di una moneta interna parallela all'euro ("Quanto costerebbe alla Germania uscire dall'euro")

Il prof. Savona spaventa più di Grillo gli adoratori dell'euro a prescindere, perchè non è un comiziante, ma un autorevole economista.
"Si tratta della prima figura autorevole, rappresentativa di una parte dell’establishment politico-economico, a rompere il tabù imposto negli ultimi vent’anni, e a mettere in discussione una scelta che per l’Italia si sta rivelando sempre più disastrosa.

In una lettera al direttore de Il Foglio, Savona ha scritto il 10 novembre che entrando nell’Euro fin dalla sua nascita, l’Italia ha accettato “il vincolo esterno nella promessa di un futuro migliore che non si è realizzato; anzi stringe la corda attorno al collo che si è volontariamente posta”."

( www.stampalibera.com )

"Savona individua nella "manovra" la madre di tutti i mali, una pratica di cui si avvale ora anche l'Unione Europea. La crisi che stiamo vivendo, secondo l'ex ministro dell'industria ed ex Bankitalia, e' il conto che gli italiani sono chiamati a pagare per gli errori commessi dagli Stati Uniti nel dopo Bretton Woods, non avendo adeguato le regole sul piano della moneta e dei cambi, e dall'Unione Europea nel dopo Trattato di Maastricht, per non aver attuato il disegno di unificazione politica che l'aveva indotta a creare l'euro. Savona ammette che l'Italia ha le sue colpe, ma esse sono solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso gia' colmo di squilibri economici e di dissapori mondiali sul da farsi."(www.liberoquotidiano.it)

Uscire dall'euro implica la revisione dei trattati internazionali. Ma questi possono sempre essere revocati da uno Stato sovrano che decida di modificare il proprio progetto futuro. Nulla è eterno, figuriamoci le leggi umane. Ecco alcuni passaggi di un intervista al professore.

"All’Italia converrebbe uscire dall’euro?

Se l’Ue non modifica le condizioni di operatività della Banca centrale europea, allargando le sue competenze ai titoli di Stato e al rapporto di cambio e assegnando a essa il compito di collaborare per lo sviluppo (tutte cose che già sta facendo, ma per iniziativa del suo vertice, non per dovere statutario!), e non decide una politica compensativa per le aree svantaggiate dalla natura non ottimale dell’eurozona, allora conviene uscire dall’euro. Ma ciò deve avvenire preparandosi a farlo, altrimenti i danni sarebbero incalcolabili. Invece, si persiste nel rifiuto di solo parlarne e, quindi, potremmo essere costretti a farlo, non a farlo su nostra iniziativa potendone governare il processo.

Se i benefici di un’uscita dall’euro per l’Italia fossero maggiori dei costi, quanto tempo ci vorrebbe perché i primi superino i secondi?

La scelta sarebbe in ogni caso di lungo periodo. L’alternativa è tra pagare i costi un pezzo all’anno, con conseguenze sociali e politiche gravi, oppure pagarli in una sola volta e trovarsi in tre-cinque anni in una situazione migliore. Il vantaggio sarebbe per le esportazioni e il costo sarebbe l’inflazione. Lo Stato dovrebbe cedere risorse ai privati, tagliando le spese.

Quali sarebbero i passaggi che ci porterebbero dall’euro alla lira?

Se si riferisce ai passaggi tecnici, i più importanti sono il tasso di conversione dall’euro alla nuova lira e la ridefinizione del valore dei titoli di Stato in circolazione. A seguire ci sarebbe la definizione della nostra posizione nell’area non-euro del mercato comune. Il passaggio politico richiede invece un decreto legge, da convertire in Parlamento."


Ed ancora il professore afferma:
"È giunto il momento di comprendere che cosa stia effettivamente succedendo nella revisione del Trattato di cui si parla e nella realtà delle cose europee, prendendo le necessarie decisioni; compresa quella di esaminare l’opportunità di restare o meno nell’Unione o nella sola euro area, come ha fatto e fa il Regno Unito gestendo autonomamente tassi di interesse, creazione monetaria e rapporti di cambio. Se l’Italia decidesse di seguire il Regno Unito – ma questa scelta va seriamente studiata – essa attraverserebbe certamente una gravi crisi di adattamento, con danni immediati ma effetti salutari, quelli che ci sono finora mancati: sostituirebbe infatti il poco dignitoso vincolo esterno con una diretta responsabilità di governo dei gruppi dirigenti. Si aprirebbe così la possibilità di sostituire a un sicuro declino un futuro migliore attraverso il re impossessamento della sovranità di esercitare scelte economiche autonome, comprese quelle riguardanti le alleanze globali”"
(www.stampalibera.com )


Ma anche la scelta di uscire dall'euro implica riforme economiche importanti. Fra queste l'abbattimento del debito non è secondaria. Da qui l'esigenza di trovare un modo per raggiungere l'obiettivo:

"Ne è scaturita la nascita di un Comitato per l’abbattimento del debito pubblico, accogliendo la proposta del Prof. Paolo Savona e del Prof. Antonio Rinaldi di un piano di collocamento sul mercato di beni immobili e partecipazioni non strategiche dello stato, valutato in circa 400 mld., attraverso obbligazioni quinquennali gestite o dalla Cassa depositi e Prestiti o da Fintecna senza alcun aggravio diretto ed indiretto per i cittadini, svincolandoli quindi dal legame con i titoli di stato, fluttuanti quanto gli attacchi dei mercati finanziari, e rendendoli appetibili mediante il diritto del prezzo garantito in opzione, warranty, in tranche significative. Tale strumento permetterebbe di raggiungere il pareggio di bilancio entro il primo semestre del 2013 e creerebbe le condizioni di un avanzo per rilanciare la crescita e gli investimenti sia sociali che infrastrutturali. Non solo si potrebbero bilanciare i tassi di crescita ma si avrebbe entro un quinquennio il raggiungimento del disavanzo debito/pil entro la soglia di sicurezza del 90%, al pari di Germania e Francia, rendendoci giustizia geopolitica e geoeconomica."


Ma l'Italia, come l'Europa, non è tutta uguale e il prof. Savona avverte che:

"l’affaccio dell’esigenza di un piano B, ossia dell’uscita dall’euro controllata non potrebbe che significare la morte del Sud per circa sette anni. Già da tre anni circa il Mezzogiorno vive una crisi sistemica maggiormente acuita da 40 anni di mancanza di strategia di crescita e sostenibilità sistemica delle regioni, sia in termini economici che in soluzioni sociali, va intrapresa una rinascita civile del proprio ruolo sullo scenario nazionale... "

Dall'entourage del prof. Savona, arriva anche la proposta di richiedere un appoggio esterno. Nel caso di uscita dall'euro, l'Italia per evitare di affondare in una svalutazione selvaggia, potrebbe richiedere l'aggancio al dollaro ed eventuali garanzie alla Fed:
"Carlo Pelanda spiega che chi desidera, comprensibilmente, l’uscita dall’eurogabbia e la secessione dal Quarto Reich, deve mettere in conto un costo elevatissimo. Infatti, nell’analisi costi/benefici conviene di più cercare di far funzionare l'euro, modificandone l’architettura tecnica e politica, piuttosto che tornare alla sovranità monetaria.
...
Se si riuscisse a superare senza morti questo impatto, poi il minor peso della spesa per interessi (oggi tra gli 80 e 90 miliardi annui) e la competitività del cambio permetterebbe all’Italia una crescita del Pil tendenziale attorno al 5 per cento. Quindi il problema si concentra su come superare il biennio di ritorno alla lira evitando la distruzione totale del sistema.

In teoria un modo ci sarebbe. Agganciare la nuova lira al dollaro e ottenere dall’America una linea di credito speciale di 1,5 trilioni di dollari. Se fosse possibile, la svalutazione della nuova lira sarebbe contenuta, sufficiente per dare impulso alla crescita, ma non troppa per costringere il mercato europeo al ritorno dei dazi."

(www.wallstreetitalia.com)

Purtroppo questa proposta mi ricorda sinistramente il disastro argentino. Anche l'Argentina agganciò il pesos al dollaro, e sappiamo come andò a finire.

Insomma, qualsiasi sia la nostra scelta, sempre e comunque dovranno essere affrontati dei sacrifici. Quelli della permanenza nell'euro già li vediamo e sopportiamo. Fra poco con il pagamento della prima trance Imu, poi si sommerà l'aumento dell'Iva, e non è detto che prima della fine dell'anno non arrivi qualche nuova brutta sorpresa (Italia: nuova manovra in vista?).
Attualmente, per quanto possa capire, si sta scommettendo su un cambio d'opinione del governo tedesco. In modo che si arrivi prima o poi a politiche europee di debito (eurobond, projet financing) in grado di sostenere le aree depresse dei Piigs. Ma il tempo scorre e nulla cambia negli orientamenti della Merkel. Che ha fatto delle aperture, ma subordinate a nuove interessanti proposte come l'unione politica, che richiedono molto tempo e il tempo si sta esaurendo (La vera Unione Europea si fa. forse...).

Invece i costi dell'uscita dall'euro sono tutti da stimare, e non è nemmeno detto che si riesca a considerare tutte le variabili (Il Grande Bluff pro Germania). Ma se ci fossimo costretti, meglio avere uno straccio di piano che guadare in mezzo a una palude ignota e pericolosa. Ciò che mi stupisce, è che un ripensamento del genere sull'euro provenga da un ex membro del governo Ciampi, che fece dell'Europa e dell'euro una bandiera irrinunciabile. Non avrebbe potuto far presente questi timori già all'epoca, quando la moneta unica veniva progettata?

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