mercoledì 7 maggio 2014

Elezioni europee: come valutarne gli effetti


Penso come molti che le elezioni europee vedranno un memorabile successo di liste così dette populiste, e in gran parte anti-europee. Malgrado ciò sono pessimista sulle reali ricadute di queste elezioni circa un cambiamento delle politiche di austerità e antidemocratiche attuate finora dai singoli Stati su direttiva di Bruxelles.

Penso che alla fine le élite europee digeriranno anche le brutte sorprese delle urne, faranno "mae culpa, mea maxima culpa", e diranno che le cose sono andate così perché non si sono fatte le "riforme". Mi sembra già di sentirli i decrepiti politici dei partiti tradizionali e governisti mentre strillano, come nella nota pubblicità della Cepu: "più riforme! più riforme!" e poi "più Europa! più Europa!". Cercheranno insomma di volgere a loro vantaggio una disfatta, facendo finta di non comprendere le grida di disperazione dei popoli, e di fatto continueranno con le stesse politiche.

Ma del resto perché cambiarle, visto che la ripresa seppur incerta, timida (e mezza inventata nelle statistiche) è già dietro l'angolo, che la luce in fondo al tunnel è sempre la, cioè in fondo. A pochi giorni dalle elezioni si moltiplicano i visionari di riprese miracolose. Chissà come mai... poi però la realtà a piccoli passetti arriva (Verso la Bancarotta: E il PIL 2014 (Stima OCSE) si Abbassa Ancora. Chi Offre di Meno?).

Ma se invece dovessi sbagliarmi, cioè se dalle elezioni europee dovesse arrivare un'influenza decisiva sui destini dei singoli Stati europei, allora ecco cosa potrebbe accadere in base al seguente equilibrato articolo che condivido completamente:

"Dieci giorni fa, un istituto inglese, Open Europe, ha lanciato un allarme: gli euroscettici potrebbero arrivare al 30% conquistando circa un terzo dei seggi del Parlamento Europeo.
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L’impressione è che abbiano considerato euroscettici tutti quelli che non sono “europeisti” doc (cioè socialisti, popolari, liberali e verdi). Ma questo è secondario. Quello che conta è che tutti i commenti si sono lanciati sul risultato aggregato, senza capire che quello che conterà non sarà tanto il risultato complessivo, quanto quello disaggregato per nazione. Il dato aggregato sarà importante solo per un aspetto: se il successo dei partiti che, per comodità, definiamo “antisistema” sarà tale da costringere popolari e socialdemocratici a coalizzarsi per eleggere le cariche del Parlamento Europeo, questo segnerà la formula della convergenza al centro di cui gli esperimenti di Italia e Germania sarebbero stati l’anticipazione.

Va detto che questo tipo di formula crea scontenti ai due lati della coalizione ed, in genere, danneggia più i contraenti di destra.

Per il resto, quello che conterà, sarà il confronto fra i singoli risultati nazionali. Il dato importante da analizzare sarà il differenziale fra i risultati tedeschi e quelli del resto della Ue. In Germania, salvo i neo nazisti della Npd, i Piraten e poca altra roba, l’unica forza politica “critica” verso la Ue è la Linke che, peraltro, al suo interno ha orientamenti diversi fra i quali prevalgono quelli più moderati. Va detto che né la Linke né i Piraten sembrano in una fase di particolare dinamismo, mentre la Npd è probabile che si collochi sotto il 3%. Dunque, nel complesso è difficile che gli “euroscettici” vadano molto oltre il 10-12%, mentre i partiti classicamente “europeisti”(Cdu-Csu, Spd, Liberali, Verdi) dovrebbero collocarsi intorno al 90%.

Vice versa, sono attesi risultati ben diversi in Inghilterra (con l’Ukip), Francia (Fn), Italia (M5s, Lega e FdI più lista Tsipras), Grecia (Syriza, Kke, Alba dorata), Finlandia (Veri Finlandesi), Ungheria (Fidesz e neo nazisti), Polonia (Diritto e Giustizia), Paesi Bassi (partito per la libertà), Portogallo (Pcp), Spagna (Izquierda Unida). In realtà, in questo elenco abbiamo assommato varie sfumature politiche che vanno dagli anti Europa dichiarati (Fn, Lega, Alba Dorata, Fidesz e nazisti ungheresi, Partito per la Libertà olandese), gli euroscettici nazionalisti ma più moderati (Ukip, FdI, Veri Finlandesi, Diritto e Giustizia polacca), gli anti Ue di sinistra (Kke, Pcp), gli euro critici radicali (M5s), gli euro critici moderati (Syriza, Izquierda Unida, Lista Tsipras).

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Ma, ai fini del nostro discorso, conviene considerare, per un momento, complessivamente queste forze come quelle che identifichiamo come “polari” rispetto alla politica dell’austerità e, di riflesso, della Germania che ne è il pilastro.

Infatti, è evidente che, qualora una delle liste anti-austerità (o, se preferite, anti-Germania) dovesse ottenere un clamoroso successo in un paese, le forze di governo di quel paese si troverebbero strette fra la tenaglia del vincolo europeo e la pressione interna anti Ue. Alcuni governi potrebbero essere costretti ad adottare politiche meno arrendevoli verso la Ue, per non essere travolti dalla pressione interna. Altri, invece, potrebbero scegliere la strada opposta, ma con il rischio di una conflittualità sociale ben più aspra del passato. In ogni caso, si determinerebbe una polarità molto più acuta del passato che potrebbe spingere diversi sistemi politici al limite della rottura.

In secondo luogo, un forte divario fra i comportamenti elettorali degli elettori tedeschi e quelli degli altri paesi (soprattutto se l’esito fosse quello di una alleanza fra popolari e socialdemocratici che hanno i loro principali punti di forza in Germania) rafforzerebbe molto di più l’immagine di una “Europa tedesca” con il conseguente inasprimento degli atteggiamenti antitedeschi (e di riflesso anti Ue) negli altri paesi della comunità, determinando una spirale difficilmente controllabile.

Empiricamente, possiamo adottare queste “soglie” per valutare il risultato: considerata la somma delle liste euro critiche o euro ostili in Germania (Linke, Npd e altri minori), se la media degli altri paesi (sommando tutte le diverse espressioni “euroscettiche) dovesse superare del 10% il valore tedesco, inizierebbero serie fibrillazioni del sistema Europa. Ma se il differenziale dovesse superare il 20%, si profilerebbero comportamenti desolidarizzanti potenzialmente distruttivi della stessa Ue.

Il secondo dato da scrutare con attenzione è quello di alcuni paesi. In alcuni paesi come l’Olanda, la Grecia, l’Ungheria, la Finlandia sono possibili successi rilevanti delle forze euro critiche, ma si tratta di paesi troppo piccoli da soli per mettere in crisi l’Unione. Il problema riguarda, nell’ordine, Francia, Inghilterra ed Italia.

In Francia abbiamo la possibilità di un forte successo del Fn (intorno al 25%), cui andrebbero sommati i voti del Parti de Gauche di Melenchon ed altri minori, per cui la somma degli “euroscettici” potrebbe sfiorare il 35%, avviando il paese all’ingovernabilità o, in caso di elezioni politiche, ad un ballottaggio fra gaullisti e Fn, come fu nel 1999. E, per quanto i voti di socialisti e sinistra non si riverserebbero certamente sul Fn, questa volta, non è detto che finisca come 15 anni fa. Potrebbe verificarsi il caso italiano della “maggioranza impossibile”. Sarebbe destabilizzato il secondo paese della Ue con effetti imprevedibili, data anche la scarsa qualità politica del governo socialista vigente.

Questo è certamente il punto più vulnerabile della costruzione europea in questa scadenza.

Poi l’Inghilterra, dove si prevede un’affermazione non irrilevante dell’Ukip che, però, difficilmente supererà di molto il 25% e quasi certamente non raggiungerà il 30%. Il punto è che da sempre l’europeismo delle forze politiche inglesi è piuttosto tiepido. E, infatti, l’Inghilterra non è nell’Eurozona e, spesso, in politica estera, ha seguito più gli Usa che i partner europei.
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l’Ukip di Nigel Farage è particolarmente forte nel Galles, un suo forte successo in quella parte del paese potrebbe anche stimolare derive secessioniste, proprio mentre la Scozia sta andando al referendum sulla separazione da Londra. Se si profilasse un’uscita contemporanea di Scozia e Galles, entrerebbe seriamente in crisi l’Uk, riducendola, di fatto alla sola Inghilterra o poco più. Con effetti che si riverserebbero anche sulla Ue che si troverebbe a dover ripensare tutti i trattati istitutivi.

Infine, il caso italiano, dove le soglie critiche sono quelle legate al derby Renzi-Grillo. Grillo deve superare il 25% per mantenere un certo peso politico e Renzi è nei guai se va sotto il 30% anche di un solo voto. Soprattutto, la distanza fra i due deve essere superiore ai tre punti dal punto di vista di Renzi ed inferiore da quello di Grillo. Infatti, una differenza sotto i tre punti renderebbe il M5s competitivo con il Pd in caso di elezioni politiche. In soldoni, qui il problema è quello della stabilità del quadro politico del massimo debitore di Europa. Se il governo entra in fibrillazione e si trascina con sé le leggendarie riforme renziane, i mercati finanziari europei non possono non risentirne.

Ovviamente, se anche in tutti gli altri paesi (Grecia, Ungheria, Olanda, Portogallo, Spagna, Finlandia, Polonia, Austria ecc.) dovesse registrarsi simultaneamente un’affermazione del cd partiti “populisti” questa sarebbe una ulteriore aggravante che renderebbe i giochi sempre più difficili."

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