domenica 5 ottobre 2014

L'euro-zona non ce la farà


Gli osservatori più attenti cominciano a vedere lunghe crepe formarsi nel sistema europeo della moneta unica. Non poteva che essere così. In particolare sono interessanti le considerazioni di Capece Minutolo e del prof. Orsi (italiano a Londra presso la London School of Economics). Inutile farsi illusioni, salvare l'euro diventerà sempre più difficile e costoso.

Nel post precedente scrivevo:
"Del resto sono giorni che sui principali quotidiani economici esteri escono articoli critici sulla situazione europea, ed a volte in particolare su quella impossibile italiana."
Il prof. Orsi fa parte di questa schiera di autorevoli commentatori esteri che vede la nave dell'euro inabissarsi sempre più. Senza più alcuna speranza di evitare il naufragio.

"Tre articoli firmati da autorevoli commentatori come Ambrose Evans-Pritchard, Roger Bootle (entrambi del Telegraph) e Wolfgang Münchau (Financial Times) sono recentemente apparsi sulla stampa finanziaria: tema comune, la situazione economica dell’Italia e l’instabilità del suo debito pubblico. Le argomentazioni e le parole usate in questi contributi sono da soppesare con cura, perché potrebbero essere il segnale di un graduale riposizionamento degli operatori di mercato e deipolicy maker nei confronti del debito sovrano italiano e delle conseguenze della sua attuale traiettoria per l’Eurozona – e non solo. Si tratta di un cambio di prospettiva che implica una prognosi tutt’altro che favorevole sulle possibilità di “guarigione” del nostro Paese.
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Bootle osserva che “l’Italia è molto vicina a quella situazione che gli economisti chiamano ‘trappola del debito’, quando cioè l’indice di indebitamento comincia a crescere in modo esponenziale. Per sfuggire a questa trappola ci sono due possibilità: svalutare la moneta o fare default.
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Evans ritiene comunque che “il debito pubblico italiano raggiungerà un livello pericoloso il prossimo anno”. Pericoloso al punto che “potrebbe essere superato il punto di non ritorno”.
L’articolo di Münchau è il più esplicito e allarmistico: “La posizione economica dell’Italia è insostenibile e sfocerà in un default a meno che non vi sia un’immediata e duratura inversione di tendenza sul piano economico”. E un default, naturalmente, “comprometterebbe il futuro del paese nell’Eurozona e l’esistenza stessa della moneta unica”.
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In un quadro del genere, molti commentatori economici sono (finalmente!) giunti alla conclusione che la crisi in corso è strutturale, e che si può ritornare a crescere solo facendo le “riforme” – un termine che negli ultimi tre anni è divenuto, specie con Renzi, un vero e proprio mantra"

(www.rischiocalcolato.it)

Riforme lente, confuse e tardive.

Ohm... fare le riforme... Ohm... fare le riforme... un mantra che ho già definito senza senso se poi non se ne definisce in modo preciso il significato. E' interessante cosa ne pensa Orsi su questo mantra:

"Se anche ci spostiamo su un piano internazionale, possiamo constatare che le riforme tanto auspicate da BCE, organizzazioni finanziarie, operatori di mercato, nonché autorevoli economisti e giornalisti, sono alquanto vaghe. Il fondato sospetto è che neppure loro abbiano idee precise su ciò che dovrebbe essere fatto in concreto. I suggerimenti forniti restano troppo sfuocati per costituire un’autentica guida politica, come è ad esempio evidente nella famosa lettera che la BCE inviò al governo italiano nell’agosto 2011. Quando Münchau scrive che “l’Italia ha bisogno di modificare il proprio sistema legale, ridurre le tasse e migliorare la qualità e l’efficienza del settore pubblico” offre certamente consigli ragionevoli e condivisibili, ma troppo generici. Quali regole potrebbero funzionare? Come dovrebbero essere attuate? Ci sono i presupposti perché ciò accada? Quali ostacoli andrebbero superati? Quanto poi al suggerimento di “cambiare l’intero sistema politico”, ciò appare impossibile a meno che non si sostenga la rottura della continuità costituzionale e l’ascesa di un “dispotismo illuminato”"
(www.rischiocalcolato.it)

Ovviamente dietro la parola "riforme" si può nascondere di tutto. Per esempio non sono per niente convinto che la riforma delle pensioni (già fatta) e quella del lavoro (secondo le idee renziane) siano utili. Potrebbero essere addirittura peggiorative, nel senso di castrare ancora di più la domanda interna ed aumentare la depressione in corso. Non solo bisognerebbe essere più precisi su quali riforme si debbano fare, ma andrebbe anche aperto un dibattito pubblico su ognuna di esse. Di sicuro il metodo Renzi, del discutiamo poi tanto faccio come voglio, non è un metodo auspicabile.

"A oggi, le proposte di riforma avanzate dai governi italiani che si sono avvicendati negli ultimi anni restano scarsamente ambiziose, prive di una chiara logica e idonee a produrre effetti in tempi troppo dilatati. Del resto, sono proposte in linea di massima legate a dottrine neo-liberal ormai superate. Tutto ciò non sorprende, se si considera che qualsiasi ipotesi di riforma dovrebbe nascere da una visione (oggi inesistente) del futuro del paese, e che comunque questa visione dovrebbe misurarsi con un contesto socio-politico italiano ed europeo che non lascia sostanziali margini di manovra. Il piano inclinato imboccato sta portando a concezioni sempre più astratte e legalistiche (de-politicizzate) della comunità politica che hanno ridotto l’immagine del paese a un puro e semplice documento di bilancio finanziario e fiscale. Lavorare e accettare pesantissimi sacrifici per migliorare uno stato così concepito non ha molto senso.

Al di là di tutte le considerazioni sin qui esposte, le riforme – fossero anche migliori di quelle viste sinora – arriverebbero comunque troppo tardi. Il paese è esausto e si trova sull’orlo di un’irreversibile implosione demografica, economica e sociale. Le riforme dovevano essere fatte vent’anni fa, quando il contesto nazionale e globale era molto più favorevole e si dovevano introdurre i cambiamenti necessari per accedere all’Eurozona ancora in gestazione.
Al punto in cui siamo oggi, le riforme potrebbero addirittura essere tanto pericolose quanto l’immobilismo, spingendo il paese verso un’ulteriore destabilizzazione: la Francia del 1789 e l’Unione Sovietica degli anni Ottanta sono solo due esempi storici di come il tentativo di introdurre riforme fuori tempo massimo possa innescare il crollo del sistema che si vorrebbe salvare.
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In conclusione…
L’Italia potrà essere “tenuta a galla” artificialmente per un periodo di tempo piuttosto lungo, ma non indefinitamente, perché nel frattempo l’economia reale continuerà a deteriorarsi e il rapporto debito/Pil continuerà ad aumentare.
Ci sono anche pochi dubbi sul fatto che l’intera costruzione europea, nonostante gli sforzi di Draghi, continui a mostrare contraddizioni interne che potrebbero benissimo condurre alla sua dissoluzione: i difetti sono purtroppo strutturali, e non potranno essere rimossi senza smantellare l’intera struttura. L’Euro, comunque, non può certamente crollare dalla sera alla mattina
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Potrebbe però verificarsi una graduale transizione verso un nuovo sistema monetario ... per esempio, attraverso l’introduzione di un regime duale in alcuni paesi, la ridenominazione dei debiti nazionali e così via. In realtà, si tratterebbe del primo passo verso l’abbandono del sistema."

(www.rischiocalcolato.it)

La crisi politica intra-europea che verrà

Nel pessimismo generale sulla situazione italiana ed europea, il prof. Orsi concede tuttavia ancora molto tempo all'euro ed all'Italia. Questo è tutto da vedersi, poiché dipenderà anche dalle dinamiche socio-politiche europee come spiega Capece Minutolo.

"La Francia, dove il crollo della confiance in Hollande e nel governo è verticale, ha annunciato che rimanderà al 2017, cioè l’anno delle elezioni presidenziali e legislative, l’obiettivo del 3% di deficit. In realtà Parigi, forte di un debito pubblico molto inferiore a quello italiano nel suo rapporto col pil, ha già goduto di molto tempo e di numerosi sconti sulla via di questo traguardo, ma visto il degrado cui va incontro l’economia del Paese, l’Eliseo ha mandato un messaggio chiaro, prima riconfermando in poche ore un premier filo austerity come Valls come garanzia per Bruxelles e poi chiedendo tempo facendo intendere che se si dovranno attuare i massacri necessari per raggiungere il 3% è possibile che la Francia nel 2017 si troverà governata dagli euroscettici.
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Quasi contemporaneamente anche l’Italia sia pure in maniera ambigua e affidata ai twitter e alle intervistine, quando non alla contraddizione tra Padoan e Renzi, ha detto di voler rispettare il 3% del deficit (visto che il Paese è stato sempre abbastanza virtuoso da questo punto di vista) ma di voler sospendere il pagamento del fiscal compact per il 2015, portando in cambio lo scalpo del lavoro. Sempre per i medesimi motivi di natura elettorale e di tenuta stessa del sistema politico."

(ilsimplicissimus2.wordpress.com)

Ma attenzione, ciò non significa che siamo già nella fase di rigetto dell'euro. Si tratta di segnali, di manometri che segnano il rosso, ma la caldaia non viene ancora spenta, si cerca di attenuare di poco la pressione.

"Queste due posizioni sono state ottimisticamente presentate come un fronte unico, ma in realtà sono del tutto autonome l’una dall’altra, molto diverse tra loro e non osano divenire un fronte comune se non altro perché non si basano su una contestazione radicale delle regole, su una diversa visione dell’economia e della società rispetto al liberismo, quanto su dilazioni a la carte, in attesa del miracolo di una ripresa che non si sa da dove dovrebbe venire. E sono entrambe infognate dentro gli interessi locali delle classi dirigenti.
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Di contro c’è la Germania e la sua muta di Paesi con i conti migliori o apparentemente migliori, che dopo le ultime europee sono diventati non più morbidi, ma molto più rigidi
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la crescita inaspettata del partito anti euro in Germania rende molto più difficile alla Merkel fare concessioni, nonostante che le politiche austeritarie stiano mettendo in difficoltà la stessa Germania Ci troviamo perciò di fronte ad uno scontro senza precedenti e ad una inarrestabile forza centrifuga dei vari Paesi fondatori della Ue, con una Gran Bretagna che è ormai sull’uscio e quindi è tornata a fare l’isola.
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Prima o poi il sistema è destinato ad esplodere, ma nonostante tutto nei Paesi della periferia si fa una gran fatica a violare il tabù della moneta unica visto che una sua dissoluzione colpirebbe banche e finanza le quali si troverebbero alle prese con titoli sovrani destinati a svalutarsi del 20 0 30 per cento nel giro di due anni ... . Ecco perché si tace o addirittura si cerca in ogni modo di giocare sulle’equivoco. Mi ha colpito nei giorni scorsi un intervista all’economista del momento Piketty per fargli dire che lui è favorevole all’euro. Si certo, nell’ambito però di una rifondazione politica dell’Europa che dovrebbe prevedere almeno inizialmente un nucleo di Paesi storici limitato a Germania, Francia, Italia, Benelux e forse Spagna e Austria. Questo significa che sì una moneta comune può esserci, ma azzerando proprio tutto e ricominciando da capo su altre basi, di fatto smantellando questa Ue. E’ evidente che si tratta di una non soluzione visti i tempi lunghissimi e gli scossoni che comporterebbe, mentre il veleno della moneta continuerebbe ad agire portando in coma le economie. Insomma una buona moneta per un’utopia. O una buona utopia per una cattiva moneta."


Ormai è una vecchia canzone che afferma che le soluzioni sono soltanto due, entrambe complicatissime, mentre le vie di mezzo non funzionano. La soluzione radicale e complessa del ritorno alle monete nazionali. La soluzione radicale e complessa della fondazione di una nazione unica europea, democratica e vera (non come l'Unione attuale), con potere di imporre tasse al posto dei governi nazionali, ma anche dotata del meccanismo dei trasferimenti interni tra aree "ricche" ed aree depresse. Entrambe le soluzioni sono osteggiate dalla Germania, per la quale la soluzione migliore è quella attuale, dove lei è avvantaggiata e gli altri paesi affondano nel declino. La Germania approfitterà fino all'ultimo giorno di questa situazione favorevole. Quando la crisi periferica si trasferirà verso il centro, probabilmente il sentire comune tedesco cambierà. Però per noi sarà troppo tardi purtroppo.

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