giovedì 19 giugno 2014

Alcuni prevedono "boom" (cioè deflagrazione dell'euro)


Il boom arriverà. Ma sarà diverso da quello degli anni '60 ricordato da Napolitano a Grillo. Sarà il rumore della frattura dell'euro. Un rumore sordo i cui scricchiolii si sentono già oggi.

Emiliano Brancaccio e Nadia Garbellini dopo aver fatto una disanima statistica dei pro e dei contro la permanenza e l'uscita da un'area valutaria innaturale (vedi: "Il crepuscolo dell’euro e la rinascita della politica"), osservano che la permanenza nell'euro ha già prodotto costi insostenibili per i lavoratori europei che hanno visto decurtati i loro salari.

"Queste tendenze non rappresentano solo un riflesso della recessione. Esse sono anche il frutto di una precisa dottrina, che altrove abbiamo definito di “precarietà espansiva”. Secondo questa visione, sarebbe possibile accrescere la competitività e la connessa solvibilità dei paesi periferici dell’Unione a colpi di ulteriore flessibilità del lavoro e conseguenti riduzioni dei salari, nominali e reali.[7] Stando a questa ricetta, l’Italia in un certo senso sarebbe addirittura in ritardo, nel senso che dovrebbe cercare di adeguarsi più rapidamente alle cadute salariali che già si registrano negli altri paesi periferici dell’Unione. Il recente Jobs Act, del resto, trova la sua ragione di fondo non certo nella fantasiosa pretesa di creare direttamente occupazione, ma proprio nel tentativo di adeguarsi alla linea deflazionista prevalente in Europa.[8]

Quali risultati ci si può attendere da questa linea d’azione? Il caso della Grecia ci pare emblematico: nello stesso periodo in cui attuava una spaventosa deflazione salariale, questo paese ha fatto registrare nuove cadute del reddito nazionale e un aumento conseguente dei rapporti tra debito estero e debito pubblico da un lato e reddito dall’altro.
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la riduzione dei salari non necessariamente corregge gli squilibri ma anzi può accentuarli, e può portare dritti verso una deflazione da debiti.
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Gli interessi prevalenti, in Germania e non solo, sono avversi a qualsiasi inversione di rotta, che sia ad esempio basata su uno “standard retributivo europeo”[10] o che sia pure solo fondata su una generica politica di reflazione. Si insiste pertanto con l’idea perniciosa che la corsa al ribasso dei salari porterà in equilibrio l’Unione.
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Di questo passo, il “monito degli economisti” prevede che la deflagrazione dell’attuale eurozona prima o poi sarà inevitabile.

L’implicazione è chiara: a lungo andare, come è già avvenuto in altri paesi, la reiterazione delle politiche di deflazione salariale potrebbe provocare anche in Italia una caduta dei salari reali e della quota salari persino superiore a quella che potrebbe scaturire dall’abbandono della moneta unica. Ma l’accentuazione della deflazione salariale in un paese grande come l’Italia potrebbe avere effetti ancor più destabilizzanti sulla tenuta complessiva dell’Unione. La conclusione ha un che di ironico: i salari potrebbero subire una doppia decurtazione, in un primo momento dovuta alla deflazione dentro l’eurozona e in un secondo momento dovuta alla svalutazione fuori dall’Unione. Se così davvero andasse, per i lavoratori sarebbe una vera beffa.
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La lezione che possiamo trarre, per l’attuale fase politica, è chiara. Al di là della grancassa mediatica, le divergenze macroeconomiche in atto segnalano che occorre prepararsi a una prospettiva di deflagrazione dell’eurozona. Al tempo stesso, bisogna riconoscere che non vi è molta differenza tra i retori europeisti che propongono di preservare l’eurozona a colpi di deflazione salariale e i gattopardi che esortano ad abbandonare la moneta unica ma non osano mettere minimamente in discussione il mercato unico europeo. Gli uni e gli altri, dopotutto, costituiscono il prodotto di un liberoscambismo manicheo che ha avallato in questi anni una indiscriminata libertà di circolazione internazionale dei capitali e delle merci e che ha già fatto tanti danni. "

(ilsimplicissimus2.wordpress.com)

Più si rimarrà nell'euro e più il rischio sarà di un doppio handicap per i lavoratori: mazziati dall'euro e cornuti dalla svalutazione monetaria successiva all'uscita. I lavoratori dipendenti sono l'anello debole della catena secondo Brancaccio. Ma io temo che anche imprese e professionisti non avranno sorte migliore. Anche loro sono vittime della svalutazione interna di prezzi e stipendi.

Ambrose Evans-Pritchard commentatore economico del Telegraph ci spiega proprio che il rischio maggiore della crisi dell'euro è che la sua deflagrazione, che Brancaccio e Garbellini indicano come inevitabile, avvenga con troppo ritardo. Tale ritardo produrrebbe inutili e laceranti sofferenza alle economie e agli abitanti dei paesi periferici. Quindi se ne deduce che è auspicabile a questo punto che intervenga una crisi imprevista che acceleri tale processo inevitabile.

"Riflettete su questo: a 5 anni dall'inizio della ripresa globale dopo la crisi Lehman Brothers, la disoccupazione giovanile in Italia è al 46%! E' il tragico risultato delle scelte perseguite all'interno dell'Unione Europea e nella zona euro. Detto in altri termini è l'inevitabile suicidio di scegliere contemporaneamente politiche fiscali e monetarie restrittive.
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Per quel che riguarda l'Italia l'errore è proprio quello di considerare solo il Pil reale nelle valutazioni economiche che si compiono: quello che conta per Italia, Spagna, Portogallo è soprattutto il Pil nominale. Il problema è che in un mondo di bassa inflazione o deflazione, il Pil nominale cala drammaticamente e il peso debitorio esistente diventa semplicemente non sostenibile. E' un problema drammatico per l'Italia che oggi ha il debito pubblico al 133% del Pil, mentre quello privato è più sostenibile rispetto a Portogallo e Spagna. La contrazione del Pil nominale italiano negli ultimi due anni e' un fallimento politico di proporzioni storiche e non sarebbe mai dovuto accadere. La riduzione del debito pubblico e privato per i paesi del sud è praticamente impossibile in una situazione di deflazione. Ho intervistato recentemente l'ufficiale del Fmi nelle operazioni della Troika in Irlanda e lui mi ha detto che Italia e Spagna per avere un debito sostenibile nel medio periodo hanno bisogno di un tasso d'inflazione della zona euro al 2% per oltre cinque anni consecutivi.
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Cosa sta facendo la Bce di fronte a questa situazione drammatica? Abbiamo un'espressione in inglese che descrive molto bene la situazione economica paradossale attuale dei paesi del sud: "E' un danno se lo fai ed è un danno se non lo fai". Se la periferia della zona euro ha successo nell'adempiere a quanto prescritto da Bruxelles-Berlino-Francoforte crea una situazione di svalutazione interna e per riguadagnare competitività con la Germania si abbatte il Pil nominale, rendendo fuori controllo la traiettoria del debito. Se raggiungi quello che Bruxelles ti sta chiedendo, in poche parole, vai in bancarotta. E' la conseguenza del "successo". Non so se le autorità monetarie europee si siano mai poste questa domanda: perchè hanno imposto queste politiche ai paesi se il loro successo rende la situazione peggiore di quella precedente? La Bce non rispetta in modo continuativo e con una differenza enorme né il target del 2% di inflazione dell'area, né la quantità di moneta M3 che dovrebbe essere in circolazione. Perchè non rispetta i suoi obiettvi? Esiste una ragione credibile a livello economico sul perché la Bce non vuole raggiungere gli obiettivi di politica monetaria e per un periodo così lungo? No, non c'è.
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Il pericolo sistemico esiste ancora e si può arrivare ad una rottura per ragioni differenti: i paesi del sud vivranno una situazione di depressione economica permanente, che produrrà danni ai settori industriali nevralgici per la vita dei diversi paesi e una situazione politicamente insostenibile nel lungo periodo. Le elezioni di partiti radicali potrebbero quindi forzare il cambiamento e modificare l'intero progetto.
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Ci sono due possibili vie: i paesi della periferia comprenderanno che la permanenza nella zona euro richiede un numero di sacrifici non più tollerabili e decideranno di uscirne; oppure, ad esempio insieme all'Olanda che è in una situazione similare, prenderanno possesso in modo coordinato delle istituzioni che controllano la politica economica dell'UE, imponendo il cambiamento in linea con le loro esigenze. Sarei molto sorpreso se si realizzasse quest'ultima alternativa, ... Ma anche se dovessero riuscirci, il rischio della zona euro sarebbe poi l'opposto, vale a dire un'uscita della Germania, che non accetterebbe mai politiche inflazionistiche.
Il problema centrale all'origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d'interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l'immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione.
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La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti.
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L'alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall'attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni.
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Il rischio vero è che l'euro sopravviva ancora. Ed è un rischio terribile per il futuro delle nazioni europee."
(www.lantidiplomatico.it)


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